“Immaginate una barca carica che, mentre attraversa un fiume, venga urtata da un’altra barca vuota alla deriva; i marinai, anche se fossero gente irascibile, non andrebbero in collera. Ma se nella barca c’è un uomo, grideranno perché si allontani. Se non dà loro ascolto, grideranno una seconda volta; se continua a non ascoltarli, inveiranno con ingiurie. In breve, la barca non eccita la collera se è vuota; la provoca solo quando è occupata. Così, chi potrà nuocere a colui che avrà saputo vuotarsi del proprio io?
Questo brano proviene dal capitolo Shanmu del Zhuangzi (Chuang-tzu), un filosofo daoista che pur non essendo così sistematico come un filosofo buddhista, dice comunque molte cose interessanti; possiamo dire anzi che quest’opera (Zhuangzi ) ha compartecipato, insieme al Buddhismo indiano, alla fondazione del Buddhismo Chan o Zen. Benché Zhuangzi non sia così sistematico come, ad es. un filosofo buddhista, la sua lettura, molto annedotica e divertente, può essere di ispirazione e di rilassante conferma per la pratica del meditante. Una sua ottima traduzione si trova nella collezione Adelphi. Vissuto in Cina in un’epoca per molti aspetti ancora molto primitiva (intorno al 350 a.C., un po’ più di 100 anni dopo il Buddha) egli ha contribuito in maniera notevole alla critica e alla de-costruzione del concetto del sé.
Il discorso della barca, qui sopra, è connesso con il concetto di vacuità. Se le cose sono prive di un sé intrinseco, a che vale arrabbiarsi con loro? Dovremmo vedere tutto come una barca vuota. Essa potrà farci anche più danni di una barca piena di persone ma non ci verrà fatto di creare avversione nei suoi confronti. Vivremo quell’esperienza come un semplice fatto, un fatto avvenuto, un fatto impersonale. Perciò la risoluzione di ogni problema sarebbe cogliere l’impersonalità dei fatti. Questa è l'EQUANIMITA’.
Stamattina, all’inizio della meditazione, riflettevo su un mio amico d’infanzia. L’ho incontrato al bar e ho sentito che parlava di prostatite. Siccome questa è una malattia che tocca la stragrande maggioranza degli uomini, me compreso, sono intervenuto nel discorso chiedendo informazioni sulla sua salute. E’ venuto fuori che dovrà fare una biopsia attraverso un procedimento, credo, anche un po’ doloroso. Siccome è stato un compagno di infanzia e anche se le nostre vite si sono molto allontanate e quasi, direi, essendo l’una il rovescio dell’altra, ho provato dispiacere e affetto per lui. Pensando a lui, mi sono identificato con lui, con il timore che deve provare verso l’ignoto, verso l’avvenire. Benché cercasse di mascherarla, ho colto la paura nel suo discorso apparentemente spavaldo.
Mentre, come dicevo, all’inizio della meditazione pensavo a lui, mi è venuta in mente un’altra persona con lo stesso problema, venuta qualche volta a meditare. Anche questa persona angosciata, uno sguardo come di animale braccato. Anche con lui c’è identificazione, c’è com-passione. E di seguito mi sono venute in mente altre persone, con problemi di salute di altro tipo o, semplicemente, morte, talvolta molto giovani. Per tutte queste persone, oltre alla com-passione, ho sviluppato dentro di me, la irradiazione di equanimità. L’accettazione cioè che ognuno è erede delle proprie azioni. E’ quello che in oriente viene chiamato karma.
Benché a volte le connessioni possano non sembrare così chiare, mi appare ovvio come anche la malattia sia spesso, se non sempre, legata alle nostre azioni, alle nostre predisposizioni mentali, alle scelte che facciamo. In questo si può dire che ciascuno è erede delle proprie azioni o meglio delle proprie disposizioni mentali. Viviamo in un mondo intriso di mente o mentazione e non c’è da sorprenderci che quello che ci accade sia determinato dalla mente. Perciò, tornando all’irradiazione di equanimità, occorre sviluppare questa irradiazione neutra che ha per base l’empatia e la compassione ma che è pura e semplice accettazione. Accettiamo il destino degli esseri, incluso il nostro. E’ come il caso di una barca vuota.
Così ho cominciato a focalizzarmi su questa energia o irradiazione dell’equanimità. Qui ci si può focalizzare in due modi. Il primo è pensare a noi come una divinità che irradia accettazione verso il destino degli esseri. Il secondo, secondo me superiore e tipico non di una semplice divinità ma di un Buddha impersonale (un Buddha è limpersonalità assoluta!) è quello di pensare e vivere l’irradiazione senza però un centro. E’ superato anche il concetto di divinità.
Questa irradiazione sarà allora una pervasione di tutto l’universo non da parte di ‘qualcuno’(una visione irrimediabilmente dualista) ma semplicemente da parte di una forza senza centro in cui si trovano anche le nostre componenti psico-fisiche. Ho fatto questo inglobando nell’irradiazione (o meglio nella pervasione universale senza centro) tutti gli esseri. Poi ho eliminato il concetto di esseri e ho lasciato solo l’irradiazione o pervasione, nella spaziosità creatasi (lo spazio è infinito; la mente è infinita; nulla esiste - dicevano, in quest’ordine, gli antichi meditatori) .
E questo è tutto!