lunedì 19 dicembre 2005

Mancanza di controllo

Quello che possiamo conoscere realmente del mondo, al di l delle ideologie religiose costruite sulla base delle nostre predisposizioni mentali, basato sulla nostra esperienza. Sulla base di questa vediamo che tutto si risolve in insoddisfazione, sofferenza. Abbiamo, ad es., una bella situazione e con consapevolezza ci rendiamo conto che siamo felici, abbiamo tutto per essere felici( in verit anche questa consapevolezza rara: la maggior parte delle persone tende a lamentarsi in ogni occasione) ed ecco che tutta un tratto questa situazione cambia, si trasforma, crolla, ci frana sotto i piedi. Tentando di afferrare quello che possiamo, ci accorgiamo di soffrire perch le cose non vanno come vorremmo. Questa un'esperienza frustrante che senz'altro abbiamo sperimentato tutti. Ma da cosa viene tutto questo soffrire? Ancora pi importante: perch questo soffrire si trasforma in depressione, talvolta cronica e la gente deve ricorrere ai veleni della chimica moderna per curarsi?

Partiamo dalla depressione. Perchè ci deprimiamo? Non lo facciamo forse perch tutto ci sfugge sotto i piedi, perch sentiamo di non avere alcun controllo della nostra vita? Facciamoci caso: questa la verit che vogliamo tenere pi nascosta, che celiamo agli altri vergognandocene, che celiamo ai nostri figli per paura che vedano la vita per quello che : una massa di insoddisfazione intrecciata a tutti gli altri momenti del vivere, inscindibile da essi. Bisogna dire che lideologia del secolo, quella del successo, dello stare bene, del giovanilismo, del vincitore, non aiuta. Di fronte al continuo bombardamento di immagini di persone felici perch hanno quel telefonino o il vestito firmato, stare male decisamente fuori moda. Tutti sono felici meno noi? Ci sentiamo come degli straccioni in un mondo ricco ma questo gravissimo, non va mostrato, pena lemarginazione: chi vuole stare con una persona depressa? Cosa facciamo allora? Invece di affrontare apertamente questa massa di insoddisfazione e di sofferenza, la nascondiamo sotto il tappeto, adottiamo qualche maschera, oppure ci lamentiamo:

perchè proprio a me?

Le stesse ideologie religiose o new-age ci servono poco: possiamo cercare di vedere tutto rosa, tutto positivo, pensare a qualche disegno misterioso che permea la storia umana e che ci impone di soffrire per poi ricevere un premio, non fossaltro unevoluzione (che per, possiamo osservare, non sempre avviene: ho anzi molti esempi di involuzione sotto gli occhi); possiamo darci a comprare questo e quello e riceverne una misera soddisfazione momentanea, possiamo metterci a fumare furiosamente, a bere o a drogarci. Per inciso vedo spesso, nella sigaretta accesa nervosamente, un esempio di fuga dalla situazione spiacevole, una fuga che diventa unabitudine addormentante col tempo e che sar poi a sua volta fonte non pi di piacere ma di estreme sofferenze.

Mi chiedo allora: invece di nascondere sotto il tappeto tutta la miseria del vivere, perch non trovare il coraggio di guardarla in faccia, di indagarla, di servirsene per vedere le cose come sono, cio appunto una massa di insoddisfazione? Perch non ammettere francamente, con noi e con gli altri, che sì, in effetti l'esistenza implica la sofferenza, tanto più gravemente perchè non vi abbiamo alcun controllo?! Lasciamo da parte tutti gli anestetici che usiamo normalmente (sport, mode, fumo, droghe, politica, religione ecc.) e usiamo la sofferenza per scardinare la sofferenza. Ma come possiamo sconfiggerla se non sappiamo da cosa viene? Se non la indaghiamo? Perchè si soffre? L'origine della sofferenza è il fatto che il nostro desiderare non soddisfatto; oppure che, una volta soddisfatto, l'abitudine al desiderare spinge a cercare qualcosaltro, in una corsa infinita, oppure ancora, che una volta soddisfatto, il sè si ritrova con una situazione che d'improvviso cambia, senza il suo volere! Si soffre, in sostanza, perchè ogni cosa dipende da ogni altra cosa ed ogni altra cosa dipende da ogni altra cosa e cos via allinfinito; non c un centro, non c stabilit da nessuna parte, non c nulla di sostanziale. DIPENDENDO DA ALTRE COSE, OGNI COSA E ESTREMAMENTE INSTABILE, E SEMPRE SULLORLO DELLA MUTAZIONE, ANZI MUTA IN CONTINUAZIONE. E come un gigantesco gioco del domino, dove il crollo di una carta modifica lassetto del tutto. Perci appare come il desiderare sia la fonte del soffrire: il desiderare fa sorgere lafferrare, lattaccarsi alle cose o situazioni, il creare lillusione di una loro sostanzialit, ma lattaccarsi vano poich ci a cui ci attacchiamo CONDIZIONATO da una serie di altri fattori fuori dal nostro controllo.

VIVIAMO SULLE SABBIE MOBILI. Ma se tutto dipende da tutto, se tutto perciò è instabile, se non c'è un un centro, è mai possibile che noi invece siamo stabili, un sè completo, eterno, indistruttibile (si noti che questo è il concetto di anima)? O non è forse il caso di pensare che anche il nostro sè, dipendendo da mille fattori, condizionato da mille fattori, sia sostanzialmente un fluire di vari elementi psico-fisicitenuti insieme dalla forza centrale delluniverso, il desiderare- ed in particolare il desiderare di esistere? Si rifletta e si indaghi su questo, non si accetti nessuna soluzione a priori ma ci si affidi appunto allindagine. In ci potr essere utile il cominciare a vedere le cose che accadono in noi- sensazioni fisiche, percezioni, il pensare- in maniera un po pi impersonale, cose se assistessimo ad un film: c una sensazione fisica , c una percezione, c un pensare. Solo distaccandosi un po possibile osservare le cose in maniera pi oggettiva, senza il condizionamento dellenostre propensioni. Allora cominceremo forse a vedere, a vedere realmente come si muovono le cose, come si condizionano reciprocamente e che non c bisogno

di soluzioni metafisiche per comprendere luniverso. Scopriremo forse che la sofferenza, linsoddisfazione, sorgono dal nostro continuo voler afferrare, il voler credere solido, duraturo ci che in realt non ha sostanza. Poich noi stessi non siamo duraturi, permanenti ma partecipiamo dellinsostanzialit di tutto luniverso, non sar forse il caso di smettere di voler afferrare, di imparare a lasciar-andare, a lasciarsi andare, a fluire con la mobile insostanzialit del tutto? Non sar forse in questo accettare, la via all'essere liberi? Si noti bene: essere liberi non significa essere indipendenti: perfino il Buddha, Gesù, l'idea di Dio ecc. sono dipendenti, non sorgono in maniera indipendente dall'interdipendenza generale dell'universo. Essere liberi vuol dire aver pacificato i tre condizionamenti del desiderare, dell'avversare e dell'illusione, per cui , senza più lo spettro del sè, si fluisce con le cose. Vuol dire stare nel mondo senza essere toccati dal mondo. Ma riuscite ad immaginare realmente una cosa del genere? Siete mai stati realmente liberi?

LIBRI:

Rune E. A. Johansson, La Psicologia del Nirvana, Ubaldini ed. ,L. 12000.

Nonostante la bruttezza del titolo questo è uno dei libri più interessanti che siano stati scritti sulla questione del Nibbana/nirvana; l’autore è un buon conoscitore della lingua antica pali ( ha scritto Pali Buddhist texts, An Introductory Reader and Grammar, Curzon, 1973) ed il testo è pieno di citazioni in pali e in traduzione. E’ un libro estremamente interessante.

Consiglierei anche : Nagarjuna, Le Stanze del Cammino di mezzo (Madhyamaka karika), Boringhieri. Lo faccio esitando per la sua difficoltà ma è un testo davvero importante.
Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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