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sabato 19 aprile 2008

UN’ESPERIENZA NEL LATO NIRVANICO DELLA NOSTRA MENTE

Potete vedere e udire l'autrice di questo discorso su:


http://www.ted.com/index.php/speakers/view/id/203


Ringrazio Nicola Mei per avermelo segnalato. L'ho tradotto in quanto lo ritengo interessante per capire meglio certi aspetti della realizzazione.


Loriano , 4 Aprile 2008


12 March 2008


Stroke of insight: Jill Bolte Taylor on TED.com


Neuroanatomist Jill Bolte Taylor had an opportunity few brain scientists would wish for: One morning, she realized she was having a massive stroke. As it happened -- as she felt her brain functions slip away one by one, speech, movement, understanding -- she studied and remembered every moment. This is a powerful story of recovery and awareness -- of how our brains define us and connect us to the world and to one another. (Recorded February 2008 in Monterey, California. Duration: 18:44.)




Cominciai a studiare il cervello perché ho un fratello a cui è stato diagnosticato un disturbo mentale, la schizofrenia. E come sorella e come scienziato, io volli capire perché posso prendere i miei sogni, posso connetterli alla mia realtà, e posso fare realizzare i miei sogni --cosa ne è del cervello di mio fratello e della sua schizofrenia, perché egli non può connettere i suoi sogni ad un terreno di proprietà comune, la realtà condivisa, e così essi divengono invece inganni?
Quindi dedicai la mia carriera ad indagare sulle malattie mentali gravi. Mi trasferii dal mio stato dell' Indiana a Boston dove lavoravo nel laboratorio del Dott. Francine Benes, nel Reparto di Psichiatria di Harvard. E nel laboratorio, noi ci ponevamo la domanda: qual è la differenza biologica tra i cervelli di individui che sarebbero diagnosticati come normali in confronto ai cervelli di individui diagnosticati con schizofrenia, schizoaffettività, o disturbo bipolare?

Quindi noi essenzialmente stavamo riducendo a mappa il microcircuito del cervello, quali cellule stanno comunicando con quali cellule, con quali elementi chimici, e poi con quali quantità di questi elementi chimici. C'era quindi molto significato nella mia vita perché io stavo compiendo questo genere di ricerca durante il giorno. Ma poi di sera e nei fine-settimana io viaggiavo come un sostenitore di NAMI, l'Alleanza Nazionale per la Malattia Mentale.
Ma nella mattina del 10 dicembre 1996 io mi svegliai per scoprire che io personalmente avevo un disturbo al cervello. Un vaso di sangue esplose nella metà sinistra del mio cervello. E nel corso di quattro ore io guardai il mio cervello deteriorarsi completamente riguardo alla sua capacità di trattare le informazioni. Nella mattina dell'emorragia io non potevo camminare, parlare, leggere, scrivere o richiamare alcunché della mia vita . Io essenzialmente divenni un infante nel corpo di una donna.
Se avete mai visto un cervello umano, è ovvio che i due emisferi sono completamente separati l'uno dall'un l'altro. Ed io ho portato per voi un vero cervello umano. [Grazie.] [Nota di traduzione: questo è tratto da un video dove evidentemente viene effettuata questa azione ]

Così, questo è un vero cervello umano. Questa è la fronte del cervello, il retro del cervello con una corda spinale che pende in giù e questo è come sarebbe posizionato nella mia testa. E quando voi guardate il cervello, è ovvio che le due cortecce cerebrali sono completamente separate l'una dall' altra. Per quelli di voi che capiscono di computer,il nostro emisfero destro funziona come un microprocessore parallelo, mentre il nostro emisfero sinistro funziona come un microprocessore seriale. I due emisferi comunicano l'uno con l'altro attraverso il corpo calloso che è fatto di circa 300 milioni di fibre assonali (?). Ma, a parte questo, i due emisferi sono completamente separati. Perché essi trattano differentemente le informazioni, ogni emisfero pensa a cose diverse, essi si curano di cose diverse, e ,oserei dire, hanno personalità molto diverse. [Mi scusi. Grazie. È stato una gioia.]
Il nostro emisfero destro è tutto basato su questo momento presente. E' del tutto qui e ora. Il nostro emisfero destro pensa in immagini ed apprende kinesthetically (?) attraverso il movimento dei nostri corpi. Informazioni nella forma di energia irrompono simultaneamente attraverso tutti i nostri sistemi sensori, poi esplodono in questo collage enorme di quello che sembra questo momento presente. Ciò di cui questo momento presente profuma o di cui ha il gusto. Io sono un'energia che è connessa all'energia tutta intorno a me attraverso la coscienza del mio emisfero destro. Noi siamo esseri di energia connessi l'uno all'altro attraverso la coscienza dei nostri emisferi destri come una famiglia umana. E proprio qui, adesso, tutti noi siamo fratelli e sorelle su questo pianeta, qui per rendere il mondo un luogo migliore . Ed in questo momento noi siamo perfetti. Noi siamo interi. E noi siamo belli.
Il mio emisfero sinistro è un luogo molto diverso. Il nostro emisfero sinistro pensa linearmente e metodicamente. Il nostro emisfero sinistro è tutto basato sul passato, e è tutto basato sul futuro. Il nostro emisfero sinistro è progettato per prendere quel collage enorme del momento presente e poi comincia a scegliere dettagli e più dettagli e più dettagli su quei dettagli. Categorizza poi ed organizza tutte quelle informazioni. Le associa con tutto quello che abbiamo appreso nel passato e proietta nel futuro tutte le nostre possibilità. Ed il nostro emisfero sinistro pensa in un linguaggio. È quel continuo chiacchierio mentale che connette me ed il mio mondo interno al mondo esterno. È quella piccola voce che dice a me, "Ehi, devi ricordarti di prendere le banane durante il ritorno a casa, e mangiarle in mattinata." È quell'intelligenza calcolatrice che mi ricorda quando io devo lavare la mia biancheria. Ma forse più importante, è quella piccola voce che dice a me, "io sono. Io sono." Ed appena il mio emisfero sinistro dice a me "io sono", io divengo separato. Io divengo un solo individuo solido separato dal flusso di energia intorno me e separato da te.
E questa era la porzione del mio cervello che io ho perso nella mattina del mio infarto.
La mattina dell'infarto, io mi svegliai per un dolore martellante dietro il mio occhio sinistro. Ed era quel genere di dolore, dolore caustico che provi quando mordi un gelato. Ed esso subito mi afferrò e poi mi rilasciò. Poi di nuovo mi afferrò e poi mi rilasciò. Ed era molto insolito per me sperimentare un genere di dolore, così io pensai: OK, comincerò la mia routine normale. Quindi mi alzai e saltai sopra il mio cardioglider che è una macchina per esercizio fisico intenso. Ed io sto bloccandomi su questa cosa, ed io sto comprendendo che le mie mani sembrano artigli primitivi che afferrano la sbarra. Io pensai : "Questo è molto strano" , guardai giù al mio corpo e pensai, "whoa, io sono una ‘cosa' di aspetto strano". Ed era come se la mia coscienza si fosse spostata via dalla mia percezione normale della realtà, dove sono la persona sulla macchina che ha l'esperienza , ad un po' di spazio esoterico dove io sto osservando me stesso avere questa esperienza.
Ed era tutto molto particolare ed il mio mal di testa stava divenendo solo peggio, così io scendo dalla macchina, e sto camminando attraverso il mio pavimento di soggiorno, e comprendo che ogni cosa dentro mio corpo si è rallentata. Ed ogni passo è molto rigido e molto intenzionale. Non c'è fluidità nel mio ritmo, e c'è questa compressione nella mia area di percezioni così io mi sono concentrata solo sui miei sistemi interni. Ed io sto in piedi nel mio bagno, pronta ad entrare nella doccia e davvero potei sentire il dialogo dentro il mio corpo. Io sentii una piccola voce dire, "OK , muscoli, contraetevi, muscoli rilassatevi."
Ed io perdo il mio l'equilibrio e vengo sbattuta contro il muro. Guardo in giù al mio braccio e comprendo che non posso definire più i confini del mio corpo. Io non posso definire dove io comincio e dove io finisco. Perché gli atomi e le molecole del mio braccio si sono mescolati con gli atomi e le molecole del muro. E tutto ciò che io potevo sentire era questa energia. Energia. E mi sto chiedendo: " Che c'è di sbagliato in me, cosa sta succedendo?" Ed in quel momento, il discorsio del mio cervello , il rumore dell'emisfero sinistro del mio cervello divenne totalmente silenzioso . Proprio come se qualcuno avesse preso un telecomando e avesse spinto il bottone'muto' --silenzio totale.
E all'inizio io fui scioccata nel trovarmi in una mente silenziosa. Ma poi immediatamente fui incantata dalla magnificenza di energia intorno a me. E poiché io non potevo identificare più i confini del mio corpo, io mi sentii enorme ed espansiva. Io mi sentii tutt'una con tutta quella energia che c' era, ed era bello là.
Poi all'improvviso il mio emisfero sinistro ritorna on-line e mi dice , "Ehi! Abbiamo un problema, abbiamo un problema, abbiamo bisogno di qualche aiuto." Quindi è come, OK, OK, abbiamo un problema, ma poi, immediatamente, andai di nuovo alla deriva fuori dalla coscienza, ed io mi riferii affettuosamente a questo spazio come la Terra di 'La-la'. Ma era bello là. Immaginate come sarebbe essere totalmente sconnessi dal discorsìo del vostro cervello che vi connette al mondo esterno. Quindi qui io sono qui in questo spazio ed ogni stress riferito a me, al mio lavoro, è andato. E mi sentii più leggera nel mio corpo. Ed immaginate tutte le relazioni nel mondo esterno ed i molti fattori stressanti riferiti ad alcune di quelle, erano svaniti. Io sentii un senso di pace. Ed immaginate come ci si sentirebbe a perdere 37 anni di bagaglio emotivo! Io sentii euforia. L'euforia era bella--e poi il mio emisfero sinistro viene on-line e dice "Ehi! Devi prestare attenzione, dobbiamo trovare aiuto", ed io sto pensando, "Devo trovare aiuto, Devo concentrarmi". Quindi esco dalla doccia , mi vesto meccanicamente e sto passeggiando per il mio appartamento, e sto pensando, "Devo andare a lavorare, devo andare a lavorare, Posso guidare? Posso guidare? "
Ed in quel momento il mio braccio destro divenne totalmente paralizzato al mio fianco. Ed io compresi, "Oh ,mio dio! Sto avendo un infarto! Sto avendo un infarto! " E la prossima cosa che il mio cervello mi dice è, "Wow! Questo è così fico. Questo è così fico. Quanti scienziati del cervello hanno l'opportunità di studiare il loro proprio cervello dall'interno? "
E poi attraversa la mia mente: "Ma io sono una donna molto occupata. Io non ho tempo per un infarto! " Quindi è come, "OK, io non posso fermare l'infarto dall'accadere così io farò questo per una settimana o due, e poi io ritornerò alla mia routine, OK."
Quindi io devo chiamare aiuto, devo chiamare il mio posto di lavoro. Io non potevo ricordare il numero di lavoro, così io ricordai che, nel mio ufficio, avevo una scheda di impegni col mio numero su . Quindi vado nella mia stanza di affari ed estraggo un pila alta tre pollici di schede di impegni. Sto guardando in cima alla scheda , e quantunque io potessi vedere chiaramente con l'occhio della mia mente quello che sembrava la mia scheda di impegni, io non potevo dire se questa fosse la mia scheda o no, perché tutto ciò che potevo vedere erano pixels (puntini). Ed i pixels delle parole si mescolavano coi pixels dello sfondo ed i pixels dei simboli, ed io non potevo dire niente. Ed avrei dovuto aspettare quello che io chiamo un'onda di chiarezza. Ed in quel momento, io sarei stata capace di riattaccarmi alla realtà normale ed avrei potuto dire, quella non è la scheda, quella non è la scheda, quella non è la scheda. Mi occorsero 45 minuti per scendere di un pollice in quella pila di schede.
Nel frattempo, per 45 minuti l'emorragia sta divenendo sempre più grande nel mio emisfero sinistro. Io non capisco numeri, io non capisco il telefono, ma è l'unico piano che io ho. Quindi io prendo il blocco del telefono e lo metto proprio qui, prendo la scheda di affari, la metto proprio qui, e sto assimilando la forma degli scarabocchi sulla scheda alla forma degli scarabocchi sul blocco del telefono. Ma poi io vado alla deriva di nuovo fuori nel paese di La-La, e non ricordo, quando ritorno, se io già avessi composto quei numeri.
Quindi io dovevo maneggiare il mio braccio paralizzato come un ceppo, e contrassegnare i numeri man mano che li scorrevo e li pigiavo, così che una volta tornata alla realtà normale io sarei stata capace di dire, sì, io già ho composto questo numero. Infine tutti i numeri furono composti, ed io sto ascoltando il telefono, ed il mio collega alza il telefono e mi dice , "Whoo ,woo, wooo, woo, woo, woo" [ risata] Ed io penso tra me, "Oh mio dio, sembra un cane da riporto ! " E così gli dico, chiaramente nella mia mente io dico a lui: "Questa è Jill! Ho bisogno di aiuto! " E ciò che viene fuori dalla mia voce è"Whoo ,woo, wooo, woo, woo." Io sto pensando, "Oh mio dio, sembro un cane da riporto." Quindi io non potevo sapere, io non seppi che io non potevo parlare o capire il linguaggio finché io non tentai.
Quindi lui riconosce che io ho bisogno di aiuto, e mi trova aiuto. Ed un po' più tardi, io sto correndo in un'ambulanza da un ospedale attraverso Boston fino al Mass General Hospital. E mi arriccio in una piccola palla fetale. E proprio come un pallone con solo gli ultimi residui d'aria , proprio fuori del pallone io sentii la mia energia alzarsi e sentii la resa del mio spirito. Ed in quel momento io seppi che io non ero più il coreografo della mia vita . E, o i dottori salvano il mio corpo e mi danno una seconda opportunità di vita o questo forse era il mio momento di transizione.
Quando mi svegliai più tardi quel pomeriggio, fui scioccata nello scoprire che ancora ero viva. Quando io sentii la resa del mio spirito, dissi ciao alla mia vita, e la mia mente ora è sospesa tra due piani molto opposti della realtà. La stimolazione che entra attraverso il mio sistema sensorio entra come dolore puro. La luce scottava il mio cervello come fiamma e i suoni erano così forti e caotici che io non potevo estrarre una voce fuori dal rumore di fondo e volevo solo scappare. Poiché io non potevo identificare la posizione del mio corpo nello spazio, io mi sentii enorme e grandiosa, come un genio appena liberato dalla sua bottiglia. Ed il mio spirito volò in alto gratuitamente come una grande balena che scivola attraverso il mare di una euforia silenziosa. Armonico. Ricordo di aver pensato che non c'è modo di comprimere di nuovo l'enormità di me in questo piccolo, piccolo corpo.
Ma compresi: "Ma io sono ancora viva! Io ancora sono viva ed ho trovato il Nirvana. E se io ho trovato il Nirvana e ancora sono viva, allora ognuno che è vivo può trovare il Nirvana." Io mi dipingo un mondo riempito con le belle, pacate, compassionevoli, amorose persone che avessero saputo di poter venire a questo spazio in ogni momento. E che esse potessero scegliere intenzionalmente di avanzare a destra del loro emisfero sinistro e trovare questa pace. E poi mi resi conto di quale regalo tremendo questa esperienza potrebbe essere, che colpo di insight questo potrebbe essere su come noi viviamo le nostre vite. E questo motivò la mia ripresa.
Due settimane e mezza dopo l'emorragia, i chirurghi entrarono (nel cervello) e rimossero un grumo di sangue della grandezza di una palla da golf che stava spingendo sui miei centri del linguaggio. Qui io sono con mia mamma che è un vero angelo nella mia vita . Mi occorsero otto anni per recuperare completamente.
Quindi chi siamo? Noi siamo il potere della forza vitale dell'universo, con destrezza manuale e due menti cognitive. E abbiamo il potere di scegliere, momento per momento chi e come vogliamo essere nel mondo. Proprio qui e adesso io posso avanzare nella coscienza del mio emisfero destro dove noi siamo --io sono-il potere della forza vitale dell'universo, e il potere della forza vitale dei 50 bilioni di bei geni molecolari che costituiscono la mia forma. Questo è un tutt'uno. O io posso scegliere di avanzare nella coscienza del mio emisfero sinistro. dove io divengo un singolo individuo, un solido, separato dal flusso, separato da voi. Io sono il Dott. Jill Bolte Taylor, intellettuale, neuroanatomista. Questi sono i "noi" dentro di me.
Quale scegliereste? Quale scegliete? E quando? Io credo che più tempo noi passiamo scegliendo di percorrere il circuito di pace interno e profondo del nostro emisfero destro, più pace noi proietteremo nel mondo e più pacifico il nostro pianeta sarà. Ed io pensai che era un' idea degna di essere diffusa.

UN BREVE COMMENTO:
Questo testo mi sembra molto significativo. Forse l'autrice è buddhista, forse no (ma l'accenno all'idea di Nirvana lo farebbe pensare) ad ogni caso quello che trovo interessante è il fatto che una volta fatto tacere-volente o nolente- il lato sinistro della mente, si perda ogni dualismo: non esiste più un sé, un io e un mio, ma un tutto, una massa di energia di cui facciamo parte. Questo mi ha riconnesso a un problema sulla natura del Nirvana: alcuni- in particolare la tradizione Theravada- lo vedono come una quasi dimensione separata, invece da questa esperienza possiamo rilevare come la fine del discorrere mentale porti in contatto con la vera realtà, un campo di energia appunto. Quindi Nirvana e samsara non sono due realtà separate. Ciò è ben rappresentato dal discorso di Nagarjuna:" Non vi è alcuna differenza fra Samsara e Nirvana....".
La differenza è solo di interpretazione, potremmo dire, realtà assoluta e realtà corrente sono la stessa cosa (le cose come sono stra-citato) , non vi è niente da raggiungere, siamo già dove dovremmo essere.

Questo è davvero interessante e fa capire come ogni dualismo sia fuori luogo.

mercoledì 19 marzo 2008

La mia gatta e la meditazione

Lo scopo attuale della mia pratica meditativa è il superamento della dualità, la consapevolezza di vivere in una spazialità che non ha distinzione fra l'io e il mio da una parte e ‘l'altro' dall'altra (bisticcio di parole) . Quando si conquista questa spazialità ( o spaziosità o spazio, uno dei più antichi oggetti di meditazione) si intuisce che ogni elemento che vi si trova è sullo stesso piano, che non vi è qualcosa di più o di meno importante ma tutto concorre alla formazione del qui e ora, delle cose come stanno. Per parlare francamente e con un linguaggio illuminato, che trascende e nello stesso tempo coincide con la realtà come la viviamo, tutto vi è ugualmente importante e niente vi è importante in assoluto. Così ogni essere, ogni fenomeno, ogni cosa con cui in qualche maniera siamo in relazione, concorre in maniere più vicine o più lontane ma tutte egualmente importanti al ‘come siamo' o meglio alla totalità di cui facciamo parte e al ‘così com'è'. Questa consapevolezza parte da una base materiale, non astratta. Esistono dei corridoi sensoriali che mettono in relazione i nostri sensi con i fenomeni nello spazio. Se questi fenomeni con cui i sensi entrano in contatto - e che noi classifichiamo erroneamente come persone, cose, il mondo- non esistessero, decadrebbero immediatamente anche gli organi sensoriali preposti a percepirli. Per dirla chiaramente, occhi, orecchi, contatto, papille gustative, recettori olfattivi ecc. semplicemente scomparirebbero. Questa è una cosa che nessuna religione ci dice, escluso il Buddhismo (e la scienza) . Ci parlano di anima ma che sarebbe l'anima se non esistessero i fenomeni cosìddetti esterni, gli organi sensoriali e la relazione che si crea tra loro? Niente oggetti percepibili, niente organi di senso; di conseguenza niente coscienza o anima. Scopriamo così che la cosìddetta supremazia dell'uomo nell'universo va a farsi benedire. Siamo in realtà così dipendenti da altre cose che in loro assenza semplicemente non esisteremmo, non esisterebbe la nostra coscienza, non esisterebbe la nostra anima. La relazione è valida anche in senso inverso. Senza organi sensoriali capaci di percepire altri oggetti e senza la relazione con questi, la loro esistenza semplicemente non avrebbe senso. Sarebbe nulla, nihil .

Dunque nella spaziosoità di cui facciamo parte tutto è importante. O meglio le relazioni che abbiamo sono importanti, come fondamenta del reale che viviamo. E' questo che non aveva capito il ragazzo del film ‘Into the Wild' . Vivendo in un mondo di concetti astratti (ideali, l'ideale del vivere in isolamento, l'ideale della vita naturale ecc.) , solo in fondo si è reso conto che solo nella relazione poteva trovarsi la vera felicità; e se ne è accorto dopoché, anche suo malgrado, era entrato nel mare di relazioni della vita. Peccato se ne sia accorto quando il suo karma, diciamo così, lo aveva ridotto alla disperazione.

Anche altri esseri non umani fanno parte delle relazioni che viviamo. Fra questi vi sono gli animali. La mia gatta Prilla per esempio. Prilla vive in simbiosi o quasi con me. E' molto ‘umana', prova gelosie, rabbie e gioie come noi umani. Quando io da solo o noi (il sabato) siamo in meditazione, Prilla si presenta e va a cercare Doretta o Silvia. Percepisce probabilmente la calma, la quiete, di queste persone in meditazione e trova che sia piacevole dormire fra le loro braccia. Lo stesso fa con me quando sono da solo (quando siamo in diversi preferisce Doretta o Silvia) . Comunque trovo che gli animali sono l'ideale per fare sorgere la gioia. La gioia è uno dei fattori dell'illuminazione. Coltivarla è necessario. La presenza di esseri piacevoli non umani è l'ideale per la coltivazione della gioia (piti ) .Con gli esseri umani le relazioni sono più complicate, avendo per lo più a che fare con la sensualità, il profitto, il potere ecc.. Con gli animali domestici, essendovi relazioni più semplici, è più facile il sorgere di una gioia pura, disinteressata. Perciò lungi dall'essere una distrazione, consiglio a tutti la presenza di un animale nella pratica meditativa.

Ricordo ancora una volta, tanti anni fa, sulle mura. A quel tempo meditavamo per un'ora ogni domenica mattina, sulle mura di Lucca. Un giorno arrivò un cane abbaiando. Noi restammo tranquilli. Il cane si avvicinò incuriosito e avendoci visti tranquilli, si strusciò a me e si accovacciò. Bene, questo fece sorgere in me la gioia, e sorgendo la gioia entrai nel primo Jhana o Dhyana, uno stato di assorbimento meditativo. Un effetto simile mi fa Prilla. Viene e mi abbraccia, nel senso che si alza sulle zampe posteriori e artiglia il mio maglione al petto; è poi attratta dalla cavità semichiusa della mia ascella e cerca letteralmente di scavarvi la sua tana. A volte vi penetra , credendo di trovare chissà quale tana o profondità misteriosa... per poi ritrovarsi dall'altra parte. Questo fa sorgere il sorriso in me, fa sorgere la gioia. E poiché è una gioia non sensuale è ottimo espanderla e prenderla come base meditativa.

Questo fa capire come la meditazione non sia un ritirarsi da mondo (creando un dualismo) ma un apprezzare le relazioni e accettare tutto quello che c'è come base costituente della nostra realtà. L'accettazione di tutto quello che c'è così come si presenta è la base del superamento del dualismo. La pratica della gioia viene di conseguenza.

mercoledì 19 dicembre 2007

Un Maestro interessante: Huangbo

Riguardo alla pratica meditativa ho fatto altre volte l’esempio di uno che sta immerso in un lago e grida: “Ho sete! Datemi da bere”.

Con questo voglio dire e più volte ho ripetuto che è già tutto qui quello che ci serve, siamo già immersi nella realtà ultima, è inutile che andiamo a cercarla chissà dove. Un mio amico, Iano, mi ha scritto di recente un commento fatto di domande rispetto all’ultimo numero della newsletter. Potete trovare il testo della news intervallato dalle sue domande critiche sul forum di questo sito.

In particolare c’era una sua domanda a cui è stata data una certa risposta che forse qualcuno troverà inconsueta.

IANO: " Ma la domanda che mi viene di farti è, come sono le cose e che cosa sono le cose?
Cosa vuol dire trascendere le cose?"

Loriano: "Poiché mi sembra di ricordare che sei credente, proverò a risponderti con termini evangelici. Trascendere le cose vuol dire trovare qui in terra il regno dei Cieli. Non quindi in un'altra dimensione ma esattamente qui.
In quanto alle "cose" non posso risponderti in termini evangelici ma ti dirò che pur usando questo termine lo riconosco come improprio.

Non ci sono cose. Ci sono fenomeni, tutti passeggeri anche se hanno continuità nel loro divenire. Tutti questi fenomeni dipendono da altri fenomeni e così via. Questa è la vacuità, la mancanza di una sostanza stabile inerente alle "cose" .

Ritorno a "trovare qui in terra il regno dei cieli" . Accettare la transitorietà di tutte le cose è pacificarsi con il reale così com'è, giusto tale e quale. Questo è trovare il regno dei Cieli. Ma ragionare così significa far cessare ogni dualismo. Né bene né male, né bello né brutto, né positivo né negativo. In termini convenzionali, dualistici, noi tutti usiamo questa terminologia. Riconciliarsi con il mondo ed accettarlo com'è significa invece non riconoscerla [la terminologia] che in termini provvisori. Il regno dei Cieli non ha nè bene nè male.”

Ecco, questo è un esempio di quello che volevo dire all’inizio con la parabola dell’assetato. E questo risponde in parte anche ad un’altra questione, non posta da Iano ma che comunque appare qua e là nei discorsi della gente, cioè la validità di una esperienza di un praticante.

Praticando la meditazione si hanno talvolta esperienze di vario tipo, inclusi fenomeni di “risveglio temporaneo” . Non è una novità. Nel Canone Pali si parla di saamaykaa cetovimutti cioè “temporanea liberazione della mente” e si riporta il caso di Godikha che per sei volte raggiunse questa liberazione per poi decaderne; alla settima volta, mentre si trovava nello stato di liberato, pose fine alla propria vita evitando così di ricadere fuori dalla Liberazione.

Ora credo che nessuno di noi voglia giungere a questo estremo. Ma ho raccontato questo episodio per fare capire che questi stati non sono infrequenti per chi medita. Mentre la tradizione Theravada è piuttosto avara nel raccontarli, essi sono frequenti nella letteratura Chan/Zen. Il problema di queste esperienze è di non reificarle, di non farne un feticcio ma di lasciarle andare, per importanti che ci sembrino.

Il mio orientamento iniziale quando ho cominciato a meditare era strettamente (direi quasi: settariamente) Theravada che è, in effetti, la più antica fra le tradizioni attualmente presenti ma, con l’andare del tempo e dopo certe esperienze, mi sono aperto anche verso altre correnti di pensiero; così la tradizione Madhyamika di Nagarjuna e la tradizione del Chan o Zen (Chan è la forma originaria cinese, Zen quella giapponese: entrambe le forme derivano da Dhyana/Jhana, “meditazione profonda” ) .

Ci sono nello Zen alcune impostazioni teoriche con cui non concordo (ad es. una certa sostanzializzazione della Mente che sembra appunto creare una sostanza là dove non ne appare il bisogno) ma l’impostazione meditativa è molto simile, per certi versi, a quella più antica, ad es. ha somiglianze con quella delle tre Porte della Liberazione e cioè la vacuità, il non-segno e la non-direzionalità.

E’ una bella liberazione non essere strettamente legato ad una tradizione. Puoi indagare, puoi cercare, non hai i limiti che una tradizione sempre pone. Si dice che il Dharma sia come un diamante con 84000 sfaccettature. Ognuno può guardare dalla sfaccettatura che preferisce, arriverà sempre verso il centro.

Un maestro antico che trovo molto interessante è il maestro Chan Huangbo (vissuto intorno all’850 d.C. e rappresentante della tradizione Chan di Hongzhou). Questo maestro avrebbe sconcertato più di un ‘credente’ buddhista. E’ mia intenzione pubblicare un articolo su di lui su “Emptiness” ma nel frattempo voglio citare qualche suo passaggio. Da una parte egli sostanzializza un po’ troppo, a mio parere, il concetto di “Mente” , facendone in qualche modo un’entità sostanziale ma per quanto riguarda l’aspetto meditativo mi sembra un maestro eccellente che ruppe con un assetto tradizionale avendo il coraggio di portare avanti idee nuove, rivoluzionarie.

Secondo Huangbo poiché noi risiediamo già nella realtà ultima (egli la chiama la Via, il Dao) , “non c’è niente che dobbiamo fare” : L’illuminazione è perciò semplicemente il risvegliarsi a questo fatto. “ Risvegliandovi improvvisamente voi arrivate a capire che la vostra mente è il Buddha, che non c’è niente da essere raggiunto né alcun atto da compiere. Questa è la vera via, la via del Buddha” .

Egli quindi svolge una critica verso la pratica concepita come una serie di stadi da raggiungere. Potremmo dire che ha una visione olistica ed immanente della illuminazione (un po’ come lo stesso Dogen, secoli dopo) . “Il Buddha reale – egli asserisce- non è un Buddha a tappe” . Se la propria mente è già nella realtà ultima allora le pratiche religiose ordinarie che presuppongono una separazione dualistica fra se stesso e lo scopo della pratica, di fatto ostacoleranno il risveglio. Perciò Huangbo chiede che si silenzino tutti i pensieri che creano una separazione fra la mente e la realtà. “ La (vera) mente non è una mente di pensiero concettuale... Se eliminate il pensiero concettuale ogni cosa sarà realizzata” .

Huangbo portò l’idea di non-attaccamento alle sue più logiche conseguenze. Come scrive Dale S. Wright, cercare il Nirvana era considerato la via alla salvazione. Di fatto questo nel tempo aveva portato a creare una “cosa” del Nirvana stesso (ad es. nell’Abhidharma) finché qualcuno (Nagarjuna fra i primi) cominciò a rendersi conto che questa stessa ricerca correva sul sentiero del desiderio di un oggetto che tale non era (il Nirvana) .

Perciò secondo Huangbo la liberazione è il risveglio dal desiderio di cercare di essere risvegliato (al proposito si leggano “L’altro lato della collina” ed anche “Esperienze 3” sul sito Emptiness... – per inciso “Esperienze 2 “ verrà pubblicato quando possibile) .

L’alternativa al “cercare” è vivere spontaneamente senza attaccamento.

lunedì 19 novembre 2007

Evoluzione / reazione

L’ultimo numero di questa News ha suscitato qualche approvazione e qualche discussione.
La discussione è sorta sul problema linguistico, se cioè occorra o no accettare il cambiamento anglofono che sta avvenendo nella nostra lingua con l’introduzione di una notevole quantità di parole inglesi.

Questo potrà sembrare un tema piuttosto secondario e poco ‘congruente’ con una News (ancora!) chiamata ‘Meditazione’ ma lo è invece molto in quanto riguarda la nostra visione delle cose, la visione che abbiamo del mondo. Una mia collega, peraltro progressista, non ha esitato a definirsi (benevolmente) reazionaria rispetto a questo.

Il fatto è che mentalmente, da Aristotele in poi, siamo portati a ‘reificare’, a ‘cosizzare’, a costruire ovunque ‘sostanze’ più o meno immaginarie e IMMOBILI (nella nostra fantasia) laddove invece esistono solo processi, processi dinamici in continua trasformazione /evoluzione.

Questo è anche testimoniato storicamente: la Chiesa pensava che Dio, nella sua perfezione, avesse creato il mondo ‘così com’era’ , come cioè appariva, già bell’e apprestato, con gli animali che c’erano, gli uomini che c’erano (Adamo, Eva e la loro discendenza, già uguali a noi come siamo ora), il paesaggio che c’era... Ogni idea di evoluzione contraddiceva l’immobilità della perfezione.

Per questo la Chiesa si oppose violentemente a Darwin e a tutt’oggi certi fondamentalisti (ad es. i testimoni di Geova) la negano. Ora, l’evoluzione è importante e non è limitata solo alla specie umana o al mondo animale ma è avvenuta prima ancora nel mondo vegetale e ancor prima a livello cellulare. Riguarda ogni aspetto della Vita.

Poiché insegno in una Terza Elementare, mi capita spesso di parlare di evoluzione e cito, a volte, questo esempio:

Il nostro dito ‘piccolo’ del piede sta scomparendo ed è probabile che fra qualche migliaio di anni (ma forse anche meno) esso sia scomparso del tutto. Il motivo è semplice: scesi dagli alberi quando eravamo scimmie, questo dito cominciò a servire sempre meno. Anche grandi imperi che si immaginavano eterni, con la missione di civilizzare il mondo, sono crollati e scomparsi (anche noi siamo stati testimoni di uno di questi crolli, quello dell’Unione Sovietica e stiamo assistendo, sembra, al declino di quello americano) .

Un altro caso: se l’evoluzione, invece di essere un processo impersonale e indifferente ai risultati fosse una forza/Dio o guidata da uno spirito divino, il tentativo medioevale del Papato di diventare una entità governante gli uomini del mondo intero in nome di Dio, sarebbe pienamente riuscito.

Cosa ci sarebbe stato di meglio, di superiore rispetto a un governo gestito, sia pure indirettamente, da Dio? Poiché, però, questo presunto agire in nome di un’entità superiore non aveva nulla a che fare con le motivazioni reali che muovono il mondo e con l’impersonalità dei suoi processi, il Papato come entità fisica e politica ha fatto la fine miserabile di tutti gli altri imperi, riducendosi a pochi edifici in Roma.

L’evoluzione, si potrebbe dire, è l’impermanenza descritta con altro nome. Essa ha caratteristiche particolari: tutto ciò che è utile o comunque capace di adattamento al mutare delle circostanze (le ‘condizioni’ di cui si parla nel discorso meditativo) sopravvive, tutto ciò che è inutile o non adattabile scompare.

L’evoluzione è un processo impersonale, non è un ENTE che distingua tra ciò che è buono e ciò che è cattivo: è una forza impersonale o meglio, non è nemmeno questa: c’è il rischio di reificarla, cosizzarla, renderla un ‘qualcosa’.

Si pensi a quando, anche parlando in termini evoluzionistici, diciamo: la Natura ha provveduto a dotare l’animale X di artigli ecc. per cacciare e difendersi. Come si vede il linguaggio non è neutro: la dove esistono forze anonime in movimento permanente, abbiamo involontariamente creato un Ente, la Natura.

Ma l’avete mai vista la Natura, con la N maiuscola? Eppure il nostro inconscio crea in continuazione entità astratte: ci sembra di vederla la Natura, appena nascosta dietro il velo delle cose, una matrona seduta (è di genere femminile) che dice: “ A te servono artigli: che ti spuntino!”, “ A te non serve più la coda; che scompaia!”. Simpatica scenetta, no? Personalmente mi rendo conto che il mio inconscio la vede così. Ciò è significativo e può far riflettere su come facilmente sorgano le religioni teiste (poli- o mono- che siano). Viviamo in un mondo di costruzioni mentali, un mondo immaginario che copre e vela il reale. E’ un mondo dove il pensiero e il linguaggio giocano ruoli fondamentali.

Si pensi a come un pensiero o una parola hanno cambiato le nostre vite o quelle del mondo. Se ci accorgessimo dell’oceano concettuale che oscura il reale, potremmo apprezzare la lotta ai ‘punti di vista’, alle costruzioni mentali che ci accecano.

Qui torno al discorso della lingua. Le lingue dominanti sono, normalmente, quelle degli imperi dominanti. Al tempo dei Romani era il Latino. Oggi l’impero dominante è quello americano. L’affermazione sempre più rapida dell’Inglese è dovuta a questo ma anche a una sua modalità particolare: l’Inglese è ‘semplice’ e, come tale, trova facilità di adattamento alle circostanze.

Vi sono parole utili e pressoché insostituibili. Con cosa sostituiremmo software? Insomma, la sua ‘condizione’ lo rende adatto al mutare delle condizioni.

Anche le lingue non sono cose, sostanze, ma fenomeni in continua evoluzione. Non esiste una ‘cosa’ chiamata Italiano: esistono processi linguistici definiti come ‘Italiano’. Ci può dispiacere che l’Italiano cambi, ma solo perchè abbiamo una visione possessiva (io, mio, il mio paese, la mia lingua, statica e ‘cosistica’ della realtà. Perché allora non ci lamentiamo dell’intrusione di parole italiane nelle altre lingue? Perfino in Cina dicono ‘pizza’ e una volta, all’aereoporto di Hongkong, volendo chiedere degli spaghetti, chiesi dei ‘noodles’ e mi dissero: “Spaghetti?”. E non è, tutto sommato, meglio se l’umanità va verso una maggiore integrazione, anche linguistica, superando le forme egoistiche del passato che tanto male (guerre, odio) hanno provocato?

Tutte le cose, tutti i fenomeni e tutti i concetti, sono privi di sostanza reale. La lingua non fa eccezione, anzi forse è uno dei fenomeni più labili fra la labilità dei fenomeni. Anch’essa dipende da cause e condizioni. Paradossalmente è così difficile accettare questo! Chi pratica la ‘visione profonda’ non può essere ‘reazionario’, creare attrito con l’evoluzione dell’esistente. Ma se ci accorgiamo che questo attrito c’è, OK (dai!), accettiamo anche questo (la furbizia del meditante: con la visione profonda si riesce a salvare capra e cavoli).

Meditazione senza saggezza?

Può esistere una meditazione che miri alla liberazione ma che sia priva dell’aspetto conoscitivo?

Per qualcuno sembra che la meditazione possa essere solo una specie di limbo più o meno piacevole. Sempre per qualcuno l’impegno conoscitivo rispetto al reale andrebbe evitato. Soprattutto non sarebbe necessario né auspicabile mettersi in crisi, esplorare a fondo quelli che sono i propri bagagli culturali...non sarebbe necessario per esempio vedere come i propri bagagli culturali siano in realtà una congerie informe di contenuti che vanno dalla scientificità alla superstizione, il tutto mescolato in proporzioni variabili, e come , quindi, non vi sia prova certa o dimostrata dei contenuti che proponiamo. In sostanza si vuole salvare capra e cavoli. Datemi un bel rilassamento che non mi faccia pensare (non a caso molte persone, parlando, ci dicono: “ Tu, che sei esperto di rilassamento....” ) .

Invece noi pensiamo che meditare debba servire soprattutto come un modo per migliorare il vivere ( e sicuramente qualche manciata di minuti di rilassamento non basta-subito dopo i problemi si ripresentano) e per darci una prospettiva sulla realtà ultima, una prospettiva che non abbia a che fare con i concetti. Quest’ultima frase può sembrare contraddittoria con il fatto che siamo qui ad usare una logica concettuale stringente ma certamente noi, come tutti, dobbiamo fare uso del linguaggio per comunicare. Però non abbiamo nessun concetto da propagandare o da difendere- non chiediamo a nessuno di credere in qualcosa, offriamo solo un metodo di lavoro. Non chiediamo di credere in un Dio, in un Gesù, in un profeta, in un guru, in un Buddha; non accendiamo incenso e non alziamo altari né Gonzohon; non chiediamo di aderire a Cristianesimo, Islam o Buddhismo. Volutamente non abbiamo nemmeno un Centro di Meditazione vero e proprio, “professionale” per intenderci ma solo un ritrovo casalingo. Non proponiamo paradisi o inferni. Proponiamo una pratica scarna che porta a cercare la trascendenza non in altri mondi, paradisi o dimensioni, ma una trascendenza nelle cose, la trascendenza delle cose come sono. A chi pratica chiediamo solo di realizzare in sé un’esperienza di osservazione interiore, di cercare di vedere ciò che c’è davvero, non quindi dei contenuti ma il brulicare incessante del dualismo contenutistico e chiediamo di separare con la maggior chiarezza possibile l’esperienza dai concetti: questa è l’esperienza di un dato fisico (contatto, rumori, vista) , questi sono i concetti conseguenti ai dati sensoriali; questo è il corpo, questa è la coscienza e, nello stesso tempo, questo è il complesso corpo-coscienza.

Cominciando a vedere così, cominciamo forse a renderci conto delle volte in cui la concettualizzazione entra in campo e trasforma (inquina) l’esperienza. Ecco che le cose non sono più “come sono” ma “come le vediamo”- in genere come le vogliamo vedere o come siamo condizionati a vederle. Cominciamo forse a vedere il momento in cui i concetti sorgono. Potremo forse cominciare a chiederci come sorgono i concetti – buffo come la conoscenza si alimenti con nuova conoscenza; è come quando comprai il primo computer. Timoroso com’ero posi subito dei limiti: “ questo computer mi servirà solo come macchina da scrivere” – ma subito dopo i primi impauriti tentativi, man mano le nuove conoscenze spingevano verso nuove conoscenze.

Poiché i concetti hanno generalmente a che fare con giudizi di valore (positivo o negativo, bello o brutto, spirituale o materiale e così via) possiamo probabilmente dedurre che questo schema di valori sorga dalle nostre predisposizioni vicine, lontane e più che lontane. Se queste predisposizioni (che hanno origine dalla sensazione, piacevole o spiacevole) ci portano a concetti dualistici (buono, cattivo ecc.) e sono in noi così radicate e inquinanti, com’è possibile che esse non entrino in ciascuna delle nostre idee, credenze, fedi, visioni del mondo?

E’ questo che rende ciechi tutti gli “aderenti” a qualcosa. Aderiscono, si afferrano a qualcosa. Questo qualcosa è qualcosa che a loro piace (sensazione gradevole) , qualcosa che dà quindi loro consolazione, che permette anche, in una certa misura, di vivere meglio. Come tali queste predisposizioni non hanno sempre un valore negativo. Vanno però colte nel loro aspetto relativo: “ Io, X tal dei tali, abitante in Y, con la posizione sociale Z, vedo le cose così e così” . Questo per far capire che la “verità” espressa da questa persona X sarà relativa, determinata dalla sua condizione sociale, dalla sua cultura, persino dalla sua posizione geografica. Sempre per chiarire: Berlusconi vede una realtà diversa da quella di Follini e ancor più diversa da quella di Prodi o Fassino. Buffo: partecipano tutti della stessa situazione geo-socio-culturale eppure ognuno la vede con occhi diversi. E sono tutti sinceri! E lo stesso ci accade nella vita di ogni giorno. Una persona in salute, con un buon lavoro, vedrà le cose in maniera molto più “bella” di chi sia angosciato dalla mancanza di salute e/o di lavoro. Ecco come si spiegano le varie visioni del mondo, incluse quelle politiche e religiose. Ecco che qualcuno, in una determinata posizione, potrà pensare: “ Il mondo è meraviglioso, Dio ci vuole davvero bene e ci fa provare sensazioni splendide” mentre qualcun altro, un pastore eritreo alla fame per la siccità incalzante, con i propri animali pelle e ossa e i propri cari morenti di fame e malattia, potrà pensare che questo mondo è un inferno, magari raccomandandosi allo stesso Dio, in questo caso stranamente indifferente.

Perciò tutto è relativo e in relazione alle predisposizioni ed alle condizioni esistenziali di chi dà il giudizio. La stessa verità è relativa, nonostante tutta la polemica attuale contro il relativismo, portata avanti dal nostro buon conterraneo, senatore Pera. L’’unica verità assoluta sembra essre la mancanza di una verità assoluta o, detto meglio, che proprio la relatività dei vari tipi di verità è la verità. Ma anche questo è solo un concetto e va accettato nella sua relatività (vedo già che questo scatenerà la voglia di discussione di molti lettori) .

Ci sono persone che praticano la meditazione da anni e che nonostante ciò sono portatori di contenuti vari, accettandoli acriticamente o quasi senza neanche rendersene conto, essendosi accostati alla pratica con la tazza già piena e senza la voglia di svuotarla per cui continuano ad asserire qualcosa. Tutti asseriamo qualcosa nella vita quotidiana però il problema è se siamo consci della sua relatività o se dentro di noi la consideriamo una verità assoluta. Se siamo su questo piano non potremo mai metterci in discussione, la nostra tazza sarà sempre piena di contenuti ed avrà poco a che fare con il silenzio della mente. Anche questo comunque è un giudizio e come tale relativo.

venerdì 19 ottobre 2007

HO VISTO LA VOLPE / standing in the shadow

Ieri sera, tornando dalla palestra, passando attraverso il paduletto di Massa Macinaia, con la coda dell'occhio ho intravisto, infrascata nei cespugli alla mia sinistra, la volpe. E' tanto tempo che non vedevo una volpe e così mi è venuto in mente di tornare indietro per darle da mangiare. Tengo sempre nella bauliera della macchina una scatola di carne per i casi di emergenza (un cane randagio affamato ad es.). Quando questo pensiero si è formato ero però già lontano e ho deciso che probabilmente la volpe se n'era già andata. Mi è tornato in mente quello che facevo nei primi anni di meditazione. Lasciavo sempre del cibo dove sapevo che vi erano i passaggi della volpe.

Mi è venuto da fantasticare che se avesse trovato il barattolo di carne forse si sarebbe saziata e, per quella sera, avrebbe risparmiato altri piccoli esseri viventi. Non mi manca di venire in mente, in questi casi, il fatto che la volpe è un predatore e che ogni sera che esce deve trovare qualche altro essere con cui riempirsi la pancia. Offrirle la carne avrebbe forse fatto risparmiare qualche altro essere. D'altra parte la carne della scatola viene a sua volta da un altro essere ancora, predato a sua volta da quello che è il più grande predatore del mondo, l'uomo. Apparentemente c'è una contraddizione nel voler risparmiare la vita di altri esseri con la carne di altri esseri. Però, questo è il mondo. Il nostro è un mondo di predatori dove tutti depredano tutti. E' un mondo di ferocia insomma, ben lontano da quel mondo ‘bello' di cui parlano i religiosi, i poeti e tutti gli illusi in genere. L'accettazione di questa verità (che poi è la prima nobile verità del Buddhismo: ("Al mondo c'è la sofferenza"), crea l'equanimità, cioè l'accettazione delle cose come sono: e cioè che al mondo c'è sofferenza e che nessuno, proprio nessuno, nemmeno un Buddha o un Gesù, può sfuggire alla sua dose. Mi vengono in mente i bambini quando, a scuola, vengono da me lamentandosi per una piccolissima ferita e io gli dico: "Ma non è niente!" e loro rispondono: " Sì, ma a me fa male!". Ognuno vede la propria sofferenza come massima!

Tornando al discorso della volpe, sorge in me sofferenza anche per lei. Più che sofferenza però la chiamerei com-passione. Io partecipo cioè della sua terribile necessità di nutrirsi ogni sera a spese di qualche altro essere. Naturalmente partecipo allo stesso modo alla necessità di qualche altro essere di non far parte di questa soddisfazione della fame della volpe. E allora? C'è un'apparente contraddizione: devi scegliere, o la volpe o gli altri. In realtà non devo scegliere, devo semplicemente ACCETTARE, accettare che la realtà è questa, complessa e senza scampo, e che ognuno partecipa del destino generale di questo mondo predatore. Il che non toglie che io possa far qualcosa per alleviare la sofferenza di chi soffre. Non ho ucciso un essere per dare la carne in scatola alla volpe: semplicemente utilizzo quello che questo mondo mi offre. Ma non c'è partecipazione volontaria all'uccisione di altri esseri.

Lo scopo principale della meditazione è l'accettazione, l'accettare. Questo non è indifferenza. L'accettare è l'equanimità, dovuta all'accettazione del fatto che vi sono cause e condizioni per cui il soffrire esista, ma ciò non toglie che io non possa cogliere la sofferenza degli esseri e parteciparvi. Mi piace la storia ma ogni volta che leggo di battaglie, di guerre, mi viene alla mente tutta la terribile sofferenza di un campo di battaglia: le morti atroci, le gambe amputate, la lentezza stessa di certe morti, le sofferenze mentali dopo la guerra. E i genitori, le mogli, i figli che soffriranno per la mancanza del loro figlio, marito, fratello ecc.

Osservo criminali storici come Giulio Cesare (che all'assedio di Alesia fece volontariamente morire di fame una parte della popolazione della città che voleva andare via), come Napoleone, che per la propria ambizione egoistica sacrificò le vite di un'intera generazione di giovani europei. Come Hitler che fece uccidere milioni di Ebrei, comunisti, zingari, come Mussolini (che cinicamente entrò in guerra perché occorreva mettere sul piatto delle trattative ‘la morte di qualche migliaio di Italiani'), come Stalin che fece massacrare milioni di contadini. E tuttavia, anche pensando a questi episodi storici, non posso non vedere anche la sofferenza individuale di questi stessi personaggi.

Venendo al mondo d'oggi, riguardo a tutti i casi stravaganti di omicidio che si vedono o di cui si legge, sono tendenzialmente dalla parte dei sospettati: una Franzoni o quel ragazzo (Alberto?) sospettato a lungo dell'omicidio di Chiara - dove? Mi sfugge ma non ha importanza. E sono tendenzialmente con loro non perché sia innocentista: magari sono davvero colpevoli, che ne so. Ma perché credo e penso che la sofferenza e lo spaventoso stress che essi subiscono in queste inchieste e processi devono essere terribili e, se il caso, già una terribile punizione. Semplicemente partecipo della loro sofferenza. L'obiezione più semplice è: ma allora tu non provi pietà per coloro che sono stati assassinati. Certo che sì, ma questo ormai è passato! Io vivo nel presente e, nel presente, vedo queste persone che soffrono. Il motivo mi interessa poco. Vedo queste persone che soffrono, ora. E' la sofferenza che mi colpisce, non capire chi ha ragione o torto.

D'altra parte cerco di stare nel mondo con il piede in due staffe; da una parte la staffa della partecipazione: tutti, in qualche maniera, partecipiamo alla vita di questo mondo; dall'altra la staffa dell'equanimità e dell'accettazione, per cui tutto è come deve essere (per lo meno in questo preciso attimo storico; fra un altro attimo sarà già diverso). Ma quello che è importante, in ultima analisi, è vedere il mondo dal punto di vista dell'equanimità, dell'illuminazione.

Essere illuminati, come dice il termine stesso, significa avere chiarezza e questa chiarezza è riferita ovviamente al mondo e a noi stessi come processi inseriti in altri processi. Avere questa chiarezza è vedere la causalità negli avvenimenti: questo avviene perché è avvenuto quello, questo non avviene quando non sia avvenuto quello. E' la meraviglia dell'ovvio. Se si vede questo (chiamato anche ‘coproduzione condizionata') il mondo è perfetto (nella sua imperfezione assoluta), è così com'è e va preso e accettato com'è.

De Mello in un suo libro diceva che l'essenza della meditazione è: consapevolezza, consapevolezza, consapevolezza. Io aggiungo: l'essenza della meditazione è: accettare, accettare, accettare. Se si accetta, va tutto bene, si è in armonia con le cose come sono (e che devono necessariamente essere così. Ho messo il titolo mezzo in italiano e mezzo in inglese volutamente: ho un'amica infatti che si irrita per gli anglicismi nella nostra lingua. Ma il mondo va così, anche la nostra lingua cambia e questo va accettato senza rimpianti. Questo vale anche per tutti coloro che si lamentano per ‘la decadenza dei valori'. Ma i valori non sono assoluti, anch'essi sono condizionati ed è naturale che mutino col mutare delle cose.

Resistere al cambiamento significa mettersi in attrito col mondo, creare avversione verso il mondo, spesso e volentieri essere dei reazionari brontoloni.

Lasciare i punti di vista, discernere il reale

Parlando con persone che sono interessate alla visione del mondo, siano esse religiose o agnostiche o altro, e poiché io esercito la critica verso tutte le posizioni , mi viene invariabilmente chiesto : “ Ma allora cosa dici tu?”, al che io rispondo che non dico nulla, che non asserisco nulla. E’ vero questo? Sapendo che il mio background è buddhista,le persone sospettano naturalmente che la mia sia una posizione strumentale, cripto-buddhista si direbbe, un modo astuto per criticare gli altri e portare al Buddhismo l’interlocutore. In realtà non occorre essere cripto-buddhisti, fingere di non dire nulla, poiché questo è esattamente il cuore del Buddhismo. Cioè che non c’è nulla da dire. Qualcuno, nella tradizione mahayana, arrivò a quello che sembra un estremo, a dire che in tutta la sua vita di predica della visione del mondo buddhista, il Buddha realmente non disse nulla! Per questo si può essere d’accordo con mia zia che, volendo screditare il Buddha (il cui insegnamento peraltro non conosce come non lo conosce quasi nessuno) disse una volta che il Buddha non sapeva di nulla.

Possiamo dire questo, enunciare questi paradossi, perché il cuore della metodologia buddhista è la visione analitica del reale. Se si va ad un’analisi approfondita del reale, come fanno ad es. i fisici o come si arriva a fare nella meditazione di visione profonda, ci si accorge che realmente non c’è nulla... o meglio non c’è nulla di stabile in questo mondo, che tutto dipende da cause e condizioni e che poiché queste sono continuamente mutevoli, come sabbie mobili, si può effettivamente dire che nulla esiste, che cioè nulla esiste come intrinsecamente esistente, intrinsecamente stabile. Se possono bastare alcuni gradi in più di aumento del clima a distruggere forse l’intera razza umana, ci rendiamo conto di come la nostra orgogliosa esistenza sia proprio basata sulle sabbie mobili di cause e condizioni continuamente mutevoli e quindi sul nulla.... “Castelli di sabbia che sbatto giù...” diceva anni fa una canzone (per inciso è notevole come a volte i poeti offrano forse involontariamente spunti eccezionali di critica del reale: un’altra canzone mi sembra dicesse: “Ho scritto t’amo sulla sabbia,e il vento a poco a poco se l’è portato via con sé”,  esprimendo così una critica ad uno dei concetti base della nostra civiltà-l’eternità di una sensazione- ed una notevole visione profonda del reale...) . E’ perciò questa visione profonda, che cioè esistono solo cause e condizioni (e nient’altro) per l’esistenza di tutti i fenomeni, una posizione quindi che non trova alcunché di stabile nel mondo (l’impermanenza) , che non trova alcuna sostanza stabile in esso (l’insostanzialità, la negazione che esista una sostanza stabile nei fenomeni, nelle cose) che viene chiamata vacuità, cioè assenza di un sé. Ma il sé esiste, potrà dire ciascuno di noi. Lo tocchiamo, lo verifichiamo giornalmente! Ma se andiamo un po’ più in là nella riflessione ci rendiamo conto di saper bene di essere impermanenti, di essere sottoposti a degrado, declino, morte e di come basti il mutare di qualche condizione vitale per mettere in pericolo la nostra esistenza.

Da questa comprensione che tutto è vacuo, che tutto è in movimento continuo come diceva già Eraclito (“tutto scorre” ) , mi è sorta, nel tempo, l’intuizione che TUTTO E’ GIA’ QUI, che non ci può essere la separazione che la mente dualistica crea fra il mondo reale e l’assoluto, sia esso chiamato Paradiso o Nirvana (c’è il mondo terreno,questa prigione corporea in cui la sostanza-anima sarebbe trattenuta e c’è invece un mondo celeste di felicità in cui, liberatasi dalla prigione, l’anima andrebbe) . Non ci può essere un passaggio da un mondo in cui niente ha vera sostanza ad un mondo sostanziale, oppure anche se l’altro mondo fosse privo di sostanza stabile vorrebbe dire che non vi è separazione reale fra i due, che entrambi sono lo stesso mondo sotto forme diversificate....Ci avevate mai pensato? Che cosa voglio dire, in sostanza? Che la visione tradizionale, dualistica, crea due mondi o totalmente diversi e quindi incomunicabili o totalmente uguali e dove quindi non avviene alcun passaggio. In entrambi i casi non è possibile la Liberazione. Non solo: questa concezione mette in crisi anche tutta una serie di altre idee. Idee. Quali? Tutte le idee sulle quali la mente dualistica ha costruito nei secoli . Non dirò quali perché ricevere le soluzioni spiattellate non è il miglior modo per crescere e perchè  l’ego, il sé si sentirebbe attaccato nelle sue auto-convinzioni e nel suo continuo ri-assicurarsi di esistere in forma assoluta.

In realtà in questa intuizione sono stato influenzato dalla critica radicale che il filosofo buddhista Nagarjuna portò verso i primi secoli dell’era cristiana a tutto il mondo delle idee e delle concezioni possibili in campo metafisico. Egli distrusse tutti gli assoluti dualistici propri sia delle filosofie tradizionali sia di quelle buddhiste, predicando la via di Mezzo fra questi assoluti, Madhyamika.

Mi si dirà che sono aspro in questa critica, ma mi chiedo come si possa risvegliarci continuando a sognare ad occhi aperti, basandoci su concetti dualistici vecchi di secoli e storicizzabili come sorti in società primitivo-pastorali. Certo questo va apparentemente contro un’immagine di tolleranza e di accettazione. Ma dare pane al pane è intolleranza? Io accetto, credo, tutti; capisco, credo, perchè cause e condizioni abbiano portato le persone ad essere così come sono! Ma posso dire (specialmente se richiesto) che il bagaglio di secoli di credenze che ci portiamo dietro è gonfio di sentito dire, superstizione e inverificabilità? Senza criticare le persone, che sono condizionate, posso però criticare la cecità, l’addormentamento? Se andiamo a rileggere il Canone buddhista possiamo renderci conto di come i discorsi del Buddha fossero, ad esempio, una critica radicale del mondo di credenze in cui si trovava a vivere. Criticava le credenze dei Brahmini dell’India che è un po’ come criticare la chiesa cattolica qui da noi. Ma non le criticava riproponendo una diversa teoria. No, lui proponeva la visione profonda del reale e invitava tutti a sperimentarla, non a credere! Dopo il Buddha, Nagarjuna radicalizzò ancor più la critica. Eppure è opinione comune oggi, al contrario di quanto si pensava un tempo, che egli semplicemente approfondisse il discorso del Buddha. E il centro di questo discorso, o meglio di questa visione, è la vacuità. Cogliendo la vacuità di tutto il mondo fenomenico, non c’è niente che si possa proporre, non c’è nessuna teoria da abbracciare, da difendere. Nel Vigrahavyavartani Nagarjuna , rispondendo all’accusa di riproporre egli stesso una teoria e quindi un errore, dice:

Se io avessi una qualsiasi proposizione

Allora anch’ io avrei quell’errore

Poiché io non ho alcuna proposizione

Io non ho alcun errore.

Ma sia chiaro, questo non è un modo di fare i furbi (non dico niente così non mi puoi attaccare) . No. Non dico niente perchè ogni asserzione è vuota, è espressione di un punto di vista che ha come riferimento il sé e poichè il sé (con tutte le sue esigenze di autoconsolazione e di autoconferma ) non esiste come sostanza stabile, ecco che non c’è nulla da asserire se non la critica stessa. Esistono cause e condizioni, esiste un inter-essere di tutti i fenomeni per cui esistendo quello esiste questo e non esistendo più quello cessa di esistere anche questo.

D’altra parte non si può entrare in contatto con “le cose come sono” se la nostra mente è piena di concetti a cui attaccarci. Per questo è importante abbandonare i punti di vista, le sottili ossessioni che creano il nostro modo di essere. E’ importante arrivare al silenzio della mente e solo allora la mente diverrà libera, avrà fatto pulizia. Per questo è importante praticare la meditazione: perché solo così si arriva al silenzio mentale. Certamente si può arrivare al silenzio mentale in una seduta meditativa ma nella vita di tutti i giorni daremo giudizi, si dirà. Ma forse i giudizi che verranno da una mente più silenziosa e più attenta saranno più precisi e meno inficiati da quello che una mente consapevole definisce subito come avversione. Tutti i mistici hanno elogiato il silenzio mentale ma questo silenzio deve essere esteso anche al non avere alcuna teoria, alcun punto di vista perché sono tutti relativi e basati sul sé, costruiti come autoconferma del sè. Ecco perchè la filosofia indiana usa la doppia negazione (né...né) : per mettere a tacere le concettualizzazioni, usando una critica negazionista verso gli assoluti, negando il dualismo degli assoluti (il bene e il male per es.) e coltivando la Via di Mezzo (Madhyamika) .




DISCUSSIONE SU “LASCIARE I PUNTI DI VISTA...” (1)

Mi fa piacere quando ricevo lettere riguardo a ciò che scrivo, soprattutto quando sono ‘intriganti’ come lo sono quelle qui sotto riportate. Queste lettere oscillano garbatamente tra l’ironia, la presa in giro e l’approfondimento. Perciò, anche le più brevi, sono per me un esempio di ricchezza mentale e mostrano che coloro che le hanno scritte hanno una riflessione non comune sulla realtà.

1)

From: M. Maria Antonietta

piccola riflessione: anche il pensiero del Buddha è vecchio di secoli.

E quella canzone di Franco 1 e Franco 4 era veramente fenomenale. Bentornato,

baci,

mam

Anche l'uomo è vecchio di secoli. Il pensiero del Buddha è solo un metodo: come dire che sommare 2 e 2 si farà sempre allo stesso modo.

Lo

2 )

From: Cattalini

Franco IV e Franco I; me li ero quasi scordati.

Se esiste una via di mezzo, a che è in mezzo, negando il dualismo degli assoluti (il bene e il male per es.) ?

Risposta: “Appunto a il bene e il male egli altri dualismi. Questo significa non negare che esistono realtà convenzionali. Esse esistono ma sorgono in dipendenza. A queste realtà siamo tentati di dare il valore di assoluti (ad es. il Bene e il Male) e in nome di questi assoluti presunti si fanno le guerre (per gli Arabi gli USA sono il male assoluto; per gli USA Bin Laden è il male assoluto (in precedenza era il Comunismo)). Trovare il Mezzo è rifiutare questi assoluti. Nota che non si afferma nulla, si usa una metodologia negativa. Questo porta al relativismo contro cui si schiera per es. oggi Ratzinger. Ovviamente questa potrebbe essere una visione riduttiva e in una certa misura lo è. Dove si trova il Mezzo? Anche questo è relativo. Non esiste un mezzo assoluto, potrà esistere solo un mezzo dipendente, dipendente dalle cause e condizioni in essere. Il discorso della Vacuità arriva anche a negare se stesso e quindi a coincidere con l'esistente, le cose come sono appunto. Ma è la qualità dell'osservazione che è diversa.”

3) From:  Sandro G.

”Delle due l' una:
a) Dio c'è (Dio, Jeova, Allah, Shiva, eccetera)
b)dio non c' è
per l'ipotesi b) non ci sono problemi, abbiamo risolto
tutto, non ci possiamo nemmeno sfogarci a bestemmiare.

per a) si può meramente constatare tutti, indistintamente (sfido chiunque, di
qualsiasi religione a dimostrare il contrario) che Dio (con la D
maiuscola) fa di tutto per non rivelarsi, per nascondersi. Quindi,
perchè non accontentarlo?S.
Risposta: Uhm, mi trovo stranamente d'accordo con te!
4)

From: Silvia

..."non ci può essere passaggio da un mondo in cui niente ha vera sostanza ad un mondo sostanziale , oppure anche se

l'altro mondo fosse privo di sostanza stabile vorrebbe dire che non vi è separazione reale tra i due , che entrambi sono lo stesso

mondo sotto forme diversificate .."..."la visione dualistica crea due mondi o totalmente diversi e quindi incomunicabili o totalmente uguali e dove quindi non avviene nessun passaggio.In entrambi i casi non è possibile la Liberazione."

Stavo pensando ...i due mondi di cui parli non potrebbero essere semplicemente dati da livelli di percezione diversi , separati sì

ma uniti , nello stesso tempo , attraverso la capacità di percezione che ognuno di noi possiede e può sviluppare , la quale capacità ti permette di vedere oltre questa realtà ( certamente insostanziale, certamente sostanziale)...? Perchè , mi chiedo , la

consapevolezza dell'esistenza di più dimensioni , non certo solo due , dovrebbe impedirmi la strada alla Liberazione ,o alla Liberazione stessa ,come la chiami tu ?

Queste autoconvinzioni dell'ego , di cui fai spesso menzione, non potrebbero essere semplicemente date dai livelli di

percezione diversi ? Oltre alla visione analitica , utile fino a un certo livello , non ci potrebbe essere anche una visione intuitiva ?

Riguardo alla soluzioni spiattellate , che preferisci non comunicare,...mi hai messo una certa curiosità...i miei soliti giochi

dell'ego..ha ha...

ps

quest'ultima lettera l'ho trovata interessante e un pò seriosa

Risposta: Cara Silvia

la tua lettera permette di approfondire qualcosa. Cito:

"i due mondi di cui parli non potrebbero essere semplicemente dati da livelli di percezione diversi , separati si

ma uniti , ". Separati o uniti? Questi due termini sono antitetici ed autoescludentisi. Non che non capisca il senso di relativismo che vuoi loro dare ma a volte questo senso di relativismo può portare o deriva dal voler salvare capra e cavoli . Cerco di spiegare meglio: qui si parla di due cose opposte: ad es. l'anima è intesa come sostanza (materiale, spirituale, sottile o come vuoi ma sempre sostanza) oppure come insostanziale? E il mondo di là, la Liberazione, è inteso come un mondo sostanziale (Paradiso diciamo) o insostanziale? Cerchiamo di stabilire le relazioni due a due.

1) L'anima è sostanziale. Anche il mondo di là è sostanziale. Come dici tu, possono esserci vari livelli di materialità e quindi nessuna obiezione a che la nostra coscienza possa percepire altri livelli di sostanzialità. Con gli strumenti adeguati possiamo ad es. percepire le onde radio, gli ultrasuoni ecc. , cose che normalmente non sono a disposizione della nostra percezione. Però in questo caso - e come è il caso per gli ultrasuoni ecc.- il mondo al di là di cui si parla fa parte del nostro stesso universo e poiché noi e il nostro universo siamo condizionati, cioè nasciamo dall'interazione continua di cause e condizioni (e questo è difficilmente negabile) ne deriva che questo mondo al di là è anch'esso un mondo condizionato, un'altra dimensione, come giustamente dici tu, di un universo condizionato. Non è l'incondizionato.

2) L'anima è sostanziale ma il mondo di là è insostanziale. Come può una sostanza entrare in una non-sostanza? I due termini si escludono. La nostra mente, che notoriamente vuol salvare capra e cavoli, alzerebbe delle obiezioni a questo ma se ci pensiamo bene andiamo a finire o nel punto 1 o in uno degli altri punti.

3) L'anima è insostanziale ed il mondo di là è insostanziale. Ma come possono comunicare in qualche modo due non-sostanze?

4) L'anima allo stesso tempo è sia sostanziale che insostanziale. Ma i due termini si escludono a vicenda.

5) L'anima allo stesso tempo nè è sostanziale né insostanziale. Come è possibile ciò? Certo, si può dire tutto, ma dobbiamo avere una base razionale quando ci si mette a discutere, altrimenti si può dire qualunque cosa.

Ecco, questi sono i termini con cui ragionava Nagarjuna nella sua critica alle affermazioni correnti nel nostro linguaggio. Faccio mia questa serie di sillogismi non per negare che esista un eventuale mondo al di là o per negare qualsiasi altra cosa. Altri mondi sono certamente possibili, probabili. Quello che importa è superare i limiti di un universo condizionato. I Buddhisti chiamano questo stato- se così si può convenzionalmente definire, col nome di Nirvana. Però anche questo stato può essere sottoposto a critica se lo reifichiamo, se ne facciamo cioè una sostanza. La soluzione è che è precisamente il sorgere condizionato, è la vacuità del sorgere condizionato,è insomma questo stesso mondo che è il Nirvana. Visto con altri occhi.

C'è un altro paradosso infatti che ti voglio sottoporre. A cosa può corrispondere la vacuità della stessa vacuità?

Loriano

5) SILVIA :

Subject: risposta

Chi ha detto che si deve avere una base razionale quando si parla ?

Razionale rispetto a che cosa? forse alla nostra percezione?

E se ogni individuo percepisce in maniera diversa dove sta la base razionale ?

Se io vedo cose che tu non vedi , per esempio , e tu mi parli della vacuità , della insostanzialità ,

forse e dico forse mi dovrei far vedere da un medico , oppure fingere ?

Forse , per esempio ,sono schizofrenica e non mi sono mai curata ? chissà...può essere

Come vedi invece di rispondere alla tua domanda , aimè per me incomprensibile e un pò

inutile formulo altrettante domande , non si finisce mai ...

Loriano: Se io dico: "Dio è un maialino rosa, ne sono sicuro" tu potrai obiettare quello che vuoi ma io o resterò ugualmente della mia idea o addirittura potrò portare a sostegno quelle che sono le mie 'intuizioni' in proposito. Quindi è implicito in ogni discussione che occorre usare criteri di razionalità accettati da entrambi. Questo ha dei limiti ma è il criterio necessario per discutere di qualcosa.

Riguardo alla percezione mi sembra che tu abbia colto il nocciolo del problema. Dici:

"E se ogni individuo percepisce in maniera diversa dove stà [a proposito, si scrive senza accento] la base razionale ?" . Infatti. La percezione, come ogni altra cosa non ha valore assoluto ma è dipendente da cause e condizioni (per es. una malattia visiva, come dici tu) . La razionalità a cui mi riferivo non è la percezione ma solo un sistema comunicativo, un uso del linguaggio su basi comuni minimamente accettate (ad es. tutti, credo, accettiamo la legge di causa-effetto) . Per il resto la percezione soffre della solita malattia di tutte le cose mondane: non ha un'esistenza e una validità proprie , ma sorge determinata das cause e condizioni. E' vuota di sostanza stabile!

Per questo ho sempre criticato il basarsi su propie percezioni. Non è un criterio valido. Perciò, come vedi, su questo siamo d'accordo. O no?

Lo

PS. La vacuità della vacuità corrisponde a “ sole cono me ceso” . Anagrammalo




DISCUSSIONE SU “LASCIARE I PUNTI DI VISTA...” 2 ( continuazione)



LA DISCUSSIONE SULLA NEWSLETTER DI SETTEMBRE HA EVIDENTEMENTE APPASSIONATO POICHE’ SONO ARRIVATI ALTRI CONTRIBUTI. SONO TUTTI INTERESSANTI. DISPIACE PER IL TONO FORTE DI QUALCHE LETTERA MA OCCORRE ACCETTARE LE COSE COME SONO. MI RENDO CONTO CHE E’ FACILE PER ME AVERE L’ULTIMA PAROLA MA....

ANDREA SPIEZIA: X Sandro:

(Sandro dice:) per a) si può meramente constatare tutti, indistintamente (sfido chiunque, di qualsiasi religione a dimostrare il contrario) che Dio (con la D
maiuscola) fa di tutto per non rivelarsi, per nascondersi. Quindi,
perchè non accontentarlo?S.

Hai dato per scontata una cosa assolutamente relativa, il fatto che Dio fa di tutto per nascondersi e' frutto di quello che la tua mente ha costruito. Posso perfettamente, nella mia "illusione" affermare il contrario: Dio fa di tutto per rivelarsi, noi facciamo di tutto per non ascoltarlo. gesu' ripeteva sempre : " Chi ha orecchi intenda "
Ciao,

Andrea

SANDRO (risposta): Se così fosse, vorrebbe dire che la mia mente è uguale a quella di dio, per cui io posso competere con lui....... cazzo, non mi credevo così
dotato!
Comunque, se hai un figlio (io ne ho uno) o, comunque, provi ad
immaginare di averne uno, cosa faresti se ("pervaso da immenso amore
per lui") tu lo vedessi in pericolo, lo lasceresti fare aspettando che
si perdesse solo perchè lui non ti ascolta, solo perchè gli hai
conferito il "libero arbitrio"?
Chi ha dannato Adolf Hitler? Qualcuno me lo vuole spiegare?
Perchè lui è stato il figlio di puttana che è stato? Che colpe ha avuto? Io lo avrei salvato, non lo avrei fatto
nascere, lo avrei fatto morire da bambino.....

Rifletti, giuggiolone,
e non ti crogiolare nelle frasi fatte.
ps
Gesù perlomeno era coerente, immaginati se il papa si comportasse secondo i suoi dettami, ne vedremmo delle belle!

DANIELA: Caro Loriano visto che ti fa piacere ricevere lettere riguardo a ciò che scrivi , avrei anche io un mio "punto di vista". Sono favorevole alle varie tecniche di meditazione che aiutano a contattare la nostra essenza più profonda, ma il disquisire su certe faccende "spirituali" mi sembra un deviante bisogno dell'ego/mente che ha tanta paura di essere destabilizzato . Se ci si lasciasse semplicemente andare al sentire....

Con affetto, Daniela

LORIANO: E perchè mai il sentire dovrebbe essere una garanzia, visto che è condizionato (inquinato) da ciò che vogliamo sentire?

DANIELA: la mente (che mente) con le sue paure tenta di impedirci di sentire la nostra essenza più profonda, ma se, magari con l'ausilio delle tecniche meditatve, riusciamo a distaccarcene per un attimo, in quell'attimo di abbandono possiamo sentire la Verità,non ti è mai successo?

LORIANO: sì, certo.

DANIELA: ...dunque "Dio" non fa di tutto per restare nascosto, la nostra mente limitata non può comprenderlo ma---si può "contattarlo" con qualcosa di immenso!!!

Hai notato che Gesù viene dipinto nel gesto di indicarsi il cuore?

LORIANO: Cara Daniela , la mia risposta alla tua domanda diceva di sì , nel senso che la mente concentrata può arrivare a livelli di intuizione notevoli (ma non sempre sicuri) . Il resto sono concetti mentali che la nostra mente opera a nostra consolazione. Certo, ognuno può mettere sull'esperienza i cappelli che vuole. io penso che sia meglio limitarsi all'esperienza e diffidare di queste concettualizzazioni.

Ciao

MAINATO: Caro Loriano,la via di mezzo è il tanden. Ognuno può guardarselo e bearsi mentre sta seduto. Il mondo fuori è terribile. Che male c'è?

LORIANO: Giusto

CLAUDIA SOLDATICH: (CON RISPOSTE DI Loriano nel testo in maiuscolo)
> Ho letto casualmente la sua news letter di settembre, concordo sul fatto
> che nulla esiste, come intrinsecamente esistente e stabile...non c'è nulla
> di stabile.
> Mi trovo a pensare..... liberarsi dai condizionamenti vorrebbe dire andare
> verso la libertà, ma penso a quanto sia difficile sfuggire ai
> condizionamenti! PIU' CHE GIUSTO!
> Affermare che nulla esiste come intrinsecamente esistente, mi riporta
> all'immagine dualistica (immagine probabilmente determinata da idee
> condizionate) del nulla contrapposto all'esistenza, come parlare di
> silenzio e di suoni, non si può parlare di suoni senza ammettere
> l'esistenza del silenzio, come di esistenza senza ammettere l'esitenza del
> nulla e viceversa.

ATTENZIONE. NON SI DICE CHE NULLA ESISTE. SI DICE CHE
OCCORRE EVITARE L'ESTREMISMO DEGLI ASSOLUTI (CIOE'
DELL'ESISTERE E DEL NON-ESISTERE) . SI USA UNA FORMA NEGATIVA:
LE COSE NE' ESISTONO NE' NON ESISTONO. SI DICE CHE NON
ESISTONO IN FORMA ASSOLUTA MA CERTAMENTE ESISTONO
IN FORMA RELATIVA. COME DICI GIUSTAMENTE, ESISTERE E
NON-ESISTERE SONO RECIPROCAMENTE DIPENDENTI.
> Mi sorge un pensiero: potrebbe invece l'essere, essere disposto come su di
> un continuum rispetto al nulla?

CREDO CHE ANCHE QUI SIA VALIDO IL DISCORSO PRECEDENTE.
STIAMO REIFICANDO QUESTI DUE CONCETTI DELL'ESISTERE E
DEL NON ESISTERE. E' UN'ANTICA TENDENZA UMANA
CHE VIENE DAL TIMORE DELL'ANNULLAMENTO. MA ESISTERE
E NON-ESISTERE NON ESISTONO IN FORMA ASSOLUTA
COME GIUSTAMENTE FACEVI NOTARE PRIMA NE' TANTO
MENO ESISTE UN CONTINUUM DI FRONTE A UN NULLA.
ESISTENZA E NON ESISTENZA SONO RECIPROCAMENTE
(CONCETTUALMENTE) DIPENDENTI.
L'esistenza sarebbe un continuo tendere al
> nulla o meglio "esistere sarebbe come de si-tuarsi da questa puntualità
> (l'impermanenza di cui lei parla), disporsi nel cammino dell'assenza, ove
> è possibile rinvenire un senso"...(Galimberti). Mi rendo anche conto che
> questa visione potrebbe nascere da un punto di vista che ha come
> riferimento il se', ma un sè instabile, in tensione. In questo momento di
> tensione verso il nulla, momento di espressione della "vitalità"
> dell'uomo, non potrebbe esservi la liberazione?
UN SE' INSTABILE, IMPERMANENTE, è CORRETTO.
TENSIONE VERSO IL NULLA E'
A MIO MODO DI VEDERE SBAGLIATO. ASSOLUTIZZA IL NULLA.
FORSE E' PIU' CORRETTO DIRE TENSIONE CONTINUA
FRA ESISTENTE E NON ESISTENTE. MA NEMMENO
QUESTO MI SEMBRA CORRETTO. REIFICA/ASSOLUTIZZA
QUESTI DUE CONCETTI, NE FA DELLE ENTITA'.
> Non so se sono stata comprensibile, subito la newsletter mi è apparsa
> molto chiara, ma in un secondo momento mi ha fatto sorgere tutta una serie
> di pensieri, in parte anche contraddittori, che ho sentito la necessità di
> comunicarle.
BELLO QUESTO. "SUBITO LA NEWSLETTER MI E' APPARSA MOLTO CHIARA" .
UN LAMPO INTUITIVO.
TI RINGRAZIO PER QUESTA LETTERA CHE MOSTRA UNA FORTE TENSIONE A CAPIRE....

mercoledì 19 settembre 2007

IL SILENZIO DI DIO, LA VACUITA’ DELLA METAFISICA

In questi giorni alcune persone hanno espresso la loro meraviglia perchè “io non credo a nulla” . In realtà questo non è esatto. Io sono profondamente religioso ma la mia religione potrebbe essere definita (come per il monaco Zen Dogen) un ‘realismo mistico’ .




E’ un atteggiamento religioso che parte dalla constatazione che viviamo in un mondo di concetti e parole e poiché tutto, anche la nostra mente, si esprime con concetti e parole, tutto è falsificabile e questo avviene perchè la nostra mente è condizionata dalle sue ‘predisposizioni’ (samskara ) , predisposizioni che ci vengono letteralmente inculcate fin dai primi giorni di vita e forse anche prima. Perciò tutti i concetti che diamo per scontati sono irrimediabilmente falsi o falsificabili e il mondo come lo vediamo è irrimediabilmente falso e illusorio. L’unico atteggiamento religioso che vedo possibile è quello di purificazione dalla concettualità: detto terra terra, di fare pulizia, di ripulire completamente la nostra stanza, lo scenario della nostra esperienza, dalle concettualizzazioni (che per farlo io usi concetti è una contraddizione più apparente che reale) .



Mi si accusa anche di usare la razionalità in un campo che non le sarebbe appropriato, quello della religiosità. In realtà sono esattamente gli appartenenti alle ‘religioni’ che tentano disperatamente di razionalizzare ciò che è irrazionalizzabile. Creano concetti e nomi per cose di cui dovremmo semplicemente tacere. Danno nomi a cose che non possono avere un nome, parlano di cose di cui semplicemente non si può dire nulla. Ad es. il fatto per cui c’è qualcosa invece che niente ha spinto questi ‘religiosi’ a dare le risposte più incredibili. Invece di tacere semplicemente su questo in quanto irrilevante per la nostra libertà, come fece ad es. il Buddha, hanno creato concetti su concetti (si veda ad es. il mito della creazione, come se qualcuno fosse stato là ad assistere), puntualmente smentiti dall’evoluzione dell’umanità. Parlano di amore divino, di un Dio personale, di una redenzione che sarebbe stata fatta da Gesù rispetto a un presunto ‘peccato originale’ e non riescono a vedere come la realtà, quello stesso reale che secondo loro sarebbe creato da un essere superiore, li smentisca.

Questo è apparente anche dal fatto che non uno solo dei loro concetti metafisico-religiosi può sopportare l’urto della ragione: un enorme castello di sabbia creato e alimentato da milioni di menti illuse, una costruzione che appare, per questo, talmente reale da essere divenuta parzialmente reale.

Ecco dunque, che la metafisica (la presunta scienza dell’oltre il mondo fisico) crea sostanza e significato. Crea sostanza stabile e assoluta [eterna quindi] (l’anima ad es., Dio ecc.) quando non si vede nel mondo nulla che non DIPENDA DA QUALCOS’ALTRO: questo mondo è dunque il mondo dell’instabilità e della dipendenza reciproca generale. Pretende di dare un senso alla storia quando questo non è riscontrabile; si veda ad es. il concetto della salvazione umana da parte di Gesù. Se questo è avvenuto, come sono stati possibili i campi di sterminio dove MILIONI di persone sono state torturate e annientate? In cosa si verifica, in cosa si realizzerebbe questa salvezza? (Questo, per inciso, è stato il punto di angoscia di molti mistici cristiani contemporanei, risolto con vari espedienti mentali e autoconsolatori) .

Il mondo è in effetti quello che è. E basta. Questo è il senso indicibile e allo stesso tempo meraviglioso. La realtà ultima è questa stanza dove scrivo, è la tastiera su cui scrivo, è la testa che mi ritrovo. Non se ne vedono altre. Forse esisteranno altre dimensioni dello spirito ma certamente anch’esse faranno parte del nostro universo. Se vogliono avere capacità di espressione dovranno basarsi ad es. su vari tipi di corporeità. Ma questo implica dipendenza, dipendere da.

So che qualcuno mi dirà: ma perché critichi la credenza in queste cose? La mia risposta è che viviamo in un mondo interconnesso dove quello che fa un altro o quello che faccio io interessano tutti. Tutti siamo reciprocamente dipendenti. E’ un fatto, questo sì accertato, che in questo mondo la sofferenza esiste. Esistono sofferenza fisica e mentale. Quest’ultima a volte è talmente potente da portare alla depressione, al suicidio ecc.; perciò non mi si dica che scrivere queste cose è ininfluente (naturalmente per chi ha voglia di leggerle e soprattutto di usarle come riflessione) . Nonostante quello che i ‘religiosi’ pensano, la metafisica, le costruzioni concettuali, costituiscono una fonte di ignoranza tale da FAR SOFFRIRE le persone. Essendo basate su forme di desiderio (ad es. il desiderio di Dio), queste forme concettuali creano una forte sofferenza quando si urtano contro una realtà di vacuità e di assenza. Questa stessa realtà di vacuità e assenza potrebbe essere la base della loro libertà. Poiché invece queste persone sono fortemente attaccate alle illusioni che hanno accettato acriticamente, cadono in quella cosìddetta buia notte dell’anima di cui molti parlano.

Da ‘La Nazione’ , Domenica 26 Agosto 2007:

A pochi anni dal decimo anniversario della morte, sono comparse alcune lettere, scritte di pugno da Madre Teresa di Calcutta che rivelano un’incredibile e sconcertante crisi di fede che la suora, beatificata nel 2003, avrebbe sofferto per più di 40 anni....Nelle lettere rivela come da Dio si è sentita abbandonata, fin dall’inizio delle sue grandi opere di carità, che pure la portarono al Premio Nobel per la pace nel 1979, oltre a una beatificazione record dopo la sua morte nel 1997, a 87 anni.


Poco dopo aver cominciato i suoi primi lavori missionari a Calcutta, nel 1948, la suora - nata a Skopje da genitori albanesi - scrive:

Dov’è la mia fede? Anche dentro nel mio più profondo non c’è che vuoto e oscurità. Se c’è Dio per favore, aiutatemi” .



In un’altra occasione la beata scrive:




“ Sento solo un fortissimo dolore per aver perduto, per non essere voluta da Dio, per Dio che non è Dio, per Dio che non esiste veramente” :



In un’altra lettera, Madre Teresa parla di come il suo sorriso solare non è altro, per lei, che “ una maschera” , “ un velo”, che cela la sua voragine di fede, e si dà addirittura dell’”ipocrita” :




“ Il sorriso è una maschera, un mantello che copre tutto" - scrive la suora - "Ho parlato come se il mio stesso cuore fosse innamorato di Dio, pieno di un amore tenero e personale. Se tu fossi stato lì, avresti detto: “ Che ipocrita!”.


La lettera, come diverse altre, è indirizzata al suo amico e confessore spirituale, don Michael Van Der Peet, a cui Madre Teresa scrive anche:




“ Gesù porta un amore speciale per te. Per me, invece, il silenzio e il vuoto sono così enormi che io guardo e non vedo, ascolto ma non sento. La lingua si muove (in preghiera) ma non parla”...



Una volta, quando le fu chiesto da dove traesse la sua straordinaria forza morale, Madre Teresa aveva risposto:




“ E’ semplice: prego. Attraverso la preghiera divento una cosa sola nell’amore di Cristo. PregarLo   è  amarLo” .



Ma dentro, nel profondo della sua anima, la suora soffriva e combatteva per riconquistare una fede messa a dura prova dagli orrori quotidiani che la circondavano, come dimostrano queste straordinarie lettere che Madre Teresa, in realtà, voleva fossero distrutte.




Per che cosa mi tormento?” si chiede la futura beata in uno scritto del 1956. “ Se non c’è alcun Dio - è la sua disarmante risposta - non c’è neppure l’anima e allora anche tu, Gesù, non sei vero” .

Quasi un atto d’accusa sancito da un’altra struggente confessione:




“ Io non ho alcuna fede, nessun amore, nessuno zelo” .


(Da Repubblica, stesso giorno).


Meditazione ogni sabato a S. Andrea di Compito, via della Torre n. 9, dalle ore 15,30 alle 16,10 circa con un seguito di condivisione. La partecipazione è libera e gratuita. Tel. 0583977051

La morte all'orizzonte

Passati i cinquanta, la morte comincia ad apparire all’orizzonte, come una luna che spunta piano piano. Già ha fatto delle incursioni nella nostra vita e ci ha portato via amici e familiari ma è come se ora ella fosse là fissa che ci guarda. La vita ci appare come un territorio dove qua e là sono disseminate “cose” e più in là come vi fosse il suo sguardo.

Che cosa proviamo in proposito?Sgomento? Timore? Speranza in un mondo oltre? Speranza di rinascere? L’oblio?

Sono tutte concezioni mentali, inclusa la morte stessa. C’è davvero un confine tra la vita e la morte o moriamo e rinasciamo ad ogni istante senza accorgercene? Mi viene in mente la storiella raccontata da Anthony de Mello (in Messaggio per un’Aquila che si crede un pollo, p.143) : “Per es. io sono Indiano. Ora, supponiamo che io sia prigioniero di guerra in Pakistan e i Pakistani mi dicano: ‘ Bene, oggi ti porteremo alla frontiera per farti dare un’occhiata al tuo paese’ . Così mi portano alla frontiera, io guardo al di là del confine e penso: ‘Oh, il mio paese, il mio magnifico paese. Vedo dei villaggi, degli alberi, delle colline. Questo è il mio paese natale!’ Dopo un po’ una delle guardie mi dice: ‘ Scusa, abbiamo fatto un errore. Dobbiamo spostarci di altre dieci miglia” –

Dunque, conclude De Mello, a cosa stavo reagendo? A un nome. “ In effetti non esistono né confini né frontiere.: sono stati posti in essere dalla mente umana” . Per inciso si sente che De Mello ha praticato Vipassana (con Goenka) e per questo la Chiesa ufficiale lo guarda un po’ di traverso, così come faceva verso il 1300 verso Meister Eckhart – che si scampò il rogo solo per la fortuna di essere morto prima.

Tornando alle concezioni sulla vita e sulla morte… perché stabilire questo confine? Non c’è nessuna separazione fra esse. Il nostro essere che ci sembra così stabile è teatro di un continuo rimpiazzarsi di cellule che muoiono e vengono sostituite da altre. Siamo dunque gli stessi di dieci anni fa? Né gli stessi né differenti. Siamo un fluire di avvenimenti fisici e mentali che in miliardi di anni è riuscito ad autoorganizzarsi in relazione ad un fluire di altri innumerevoli fenomeni che formano l’ambiente intorno a noi. Le cose interagiscono.

Certo che dal punto di vista relativo di questo essere la morte “esiste”: questo aggregato di aggregati psico-fisici verrà un giorno o l’altro a finire. Ma mentre da un punto di vista relativo il “passare via” esiste, dal punto di vista della realtà assoluta non esiste niente del genere e tanto meno un confine tra vita e morte. Se le cose avessero sostanza stabile non ci sarebbe un confine tra un fenomeno chiamato vivere e un fenomeno chiamato morire. Tutto vivrebbe e basta e tutto sarebbe ovviamente immobile. Se le cose invece non hanno sostanza stabile, ugualmente e proprio per questo non si può stabilire un simile confine. Non in senso ultimo per lo meno: si tratta solo di una modificazione da un modo di essere fenomenico in un altro. Si dirà che questi sono sofismi intellettuali. E’ vero. Ma forse non regoliamo la nostra vita in base alle nostre concezioni mentali? Si veda la storiella sopra citata del confine.

Chi pratica la visione profonda si sposta continuamente fra i due livelli di verità, quella assoluta e quella relativa. Gli Illuminati parlano normalmente dal livello di realtà assoluta. Per quello le risposte degli antichi maestri Zen, i famosi koan , erano incomprensibili. Essi o parlavano dal livello di realtà ultima o tentavano di trasportarvi a quel livello. In entrambi i casi quello che dicevano appariva privo di senso alla mente comune. Questo perché ci basiamo su concetti e parole. Si può sentire dire a volte che il nostro è un mondo basato sulla mente ma occorrerebbe aggiungere che è anche un mondo organizzato dalla parola. Questo è molto profondo se ci si riflette. Sembra una banalità ma è molto, molto profondo.

Così, tornando alla “morte all’orizzonte”, non c’è realmente nulla del genere. Quello che c’è davvero è solo un concetto, dettato da consapevolezze e attaccamenti.

Mescolando i due livelli (assoluto e relativo) , in questo territorio di mezzo che è il ‘mio’ vivere, devo dire che non sento paura del fenomeno ‘morire’. L’idea che ho di me stesso e degli altri è simile a quella di un fiore. Un fiore sorge la mattina e forse già a sera appassisce e muore. E’ un fenomeno. Ci si lamenta della morte di un fiore? Ci può dispiacere un po’ ma la vita continua indifferente. Anche noi siamo fenomeni , complessi ma sia pure fenomeni. Nel quadro della vita la nostra comparsa, durata e scomparsa è altrettanto importante e preziosa quanto quella di un fiore e altrettanto poco importante.

Lo stesso vale per le persone care. E’ nella natura di questo fenomeno complesso che chiamiamo essere umano (o animale) provare sentimenti di attaccamento e quindi di conseguenza amore e dolore. Possiamo provarli del tutto intensamente ma se riusciamo a staccarci, a porci come osservatori, a pensare al paragone del fiore, potremo avere un senso di quello che accade, a cogliere la relatività anche del nostro dolore. In sostanza e ancora una volta, dobbiamo ACCETTARE, anche perché è questa la realtà e non ci possiamo fare nulla. Possiamo trovare conforto nei vari concetti che la mente umana ci ha posto a disposizione nei secoli ma sono solo concetti. “ Caro Belluomini” mi disse il Direttore Didattico di Camaiore quando spiegai che non intendevo insegnare anche Religione, “ la Religione è una grande consolazione!” . Appunto. Nei secoli l’uomo ha sviluppato tanti modi di consolarsi, di provare meno terrore o meno dolore. Ma hanno a che fare con la verità? Ognuno risponda come crede.

Occorre accettare il dolore, la perdita, la sofferenza come naturali, intrinseci alla nostra realtà. Nessuno può sfuggirvi, nemmeno i ricchi (“Anche i ricchi piangono”, titolo significativo di una vecchia serie televisiva) . Il Buddha, l’Illuminato, enumerò questa come la prima verità.
Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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