Il tempo purtroppo è padrone delle nostre vite.
Mentre scrivo questo breve articolo mi rendo conto che manca qui una descrizione essenziale del pensiero di Nagarjuna e mi rendo conto che manca anche, in Italiano, un'opera che esamini compiutamente il suo pensiero. L'unica esistente, quella di Murti [1] è ormai superata e abbondantemente criticata dagli studiosi moderni come un tentativo di inquadrare Nagarjuna in una visione di tipo kantiano.
In quanto a Ludwig Wittgenstein (1889-1951) egli si definisce l'ultimo dei filosofi, quantunque filosofi ve ne siano stati dopo di lui. La sua personalità egocentrica e comunque geniale, lo portava a pensare che dopo di lui la filosofia non potesse più esistere [2] . Di lui viene detto che egli fu eminentemente un logico e che la sua soluzione ai problemi della filosofia consistette nel ridurli a logica. Paul Strathern, a cui si deve questo giudizio, dice che tutto il resto fu escluso - la metafisica, l'estetica, l'etica e alla fine perfino la filosofia stessa [3]. Già in questo si vedono le prime somiglianze con Nagarjuna. Quest'ultimo si applicò su base logica a scardinare tutti i luoghi comuni del Buddhismo, non per distruggerlo ma piuttosto per spazzar via i detriti ideologici accumulatisi nel corso del tempo, ad es. in parti dell'Abhidharma, e per riportare alla luce il discorso originale del Buddha, se vogliamo anche in forma più radicale.
Alcune formulazioni di W. Contenute nel Tractatus Logico-philosophicus sono rimaste come perle rifulgenti negli anni, scarne e proprio per questo affascinanti. " Il mondo è tutto ciò che sia il caso che sia.(1.1.) Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose" . Fatti, non cose: questo sembra subito riecheggiare la polemica anti-sostanzialista di Nagarjuna e il discorso buddhista de " le cose come sono venute in essere" . Come scrive Strathern [4] un'affermazione nitida e squillante segue l'altra, correlata dal minimo assoluto di giustificazione o argomentazione: "(1.13) I fatti nello spazio logico sono il mondo", "(1.2) Il mondo si divide in fatti" , per poi concludersi con la famosa frase: " Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere" .
Dio rientra inevitabilmente [5] in questa categoria di cose di cui non è possibile parlare. Non possiamo dire nulla di Dio in quanto il linguaggio non fa che descrivere la realtà. Al contrario di Nagarjuna però, che critica con logica stringente l'idea di un Creatore, Wittgenstein che ebbe una vita piena ora di angosce ed ora di esaltazioni, ritiri di studio quasi mistici e paure (si vedano i suoi Diari del 1930-32 e 1936-37: " Io sono molto spesso o quasi sempre pieno di paura" [6] ) , pensa tuttavia che cose come Dio esistano veramente, solo che non possono essere dette o pensate: " Esistono, in effetti, cose che non possono essere tradotte con le parole. Esse si rendono manifeste .Sono ciò che si dice mistiche".(6.522) Per questo il Tractatus viene definito da Strathern una irresistibile miscela di logica e misticismo .
In effetti di molte delle cose di cui non si può parlare (per non fare metafisica) occorre parlare, un paradosso che ritroviamo spesso negli scritti buddhisti (un altro paradosso è che la tradizione Zen che, a parole, ha rifiutato la trasmissione dottrinale per via scritta ha poi prodotto quasi più testi di ogni altra tradizione) .
Per tornare alle cose di cui non si può parlare, non si può parlare di bene e di male o di giusto e sbagliato. Nagarjuna dice sostanzialmente lo stesso ma ponendo avanti due categorie di verità (non di realtà, si badi bene, in ciò concordando con il discorso sul linguaggio che farà in seguito W.) . Le due verità sono quella assoluta e quella relativa. Se si parla dal punto di vista della verità o discorso assoluto non ha senso parlare di niente, tantomeno di categorie così relative come bene e male ecc; d'altra parte nel discorso relativo di ogni giorno si parla di bene e male, giusto o sbagliato ecc. Ma è chiaro che, se come dice Nagarjuna, il mondo della trasmigrazione ed il Nirvana coincidono, da un punto di vista mistico ha poco senso tenere separati questi due livelli di verità. Ecco perché i libri di aforismi zen sono pieni di cose incomprensibili. Chi parlava parlava da un punto di vista della verità mistica e la trasposizione di questi aforismi nel linguaggio di tutti i giorni mostrava un discorso pressoché incomprensibile. In effetti è solo dall'interno di un'esperienza mistica che si può dire che la buddhità è uno spazzolino per pulire il cesso. Solo chi ha provato questo tipo di esperienza può realmente comprenderlo [7] .
Wittgenstein si trovò ad affrontare il problema del linguaggio. Applicando la logica, una proposizione può essere dimostrata vera o falsa senza preoccuparsi dei suoi elementi costitutivi. Se per es. diciamo: " Questa mela è rossa o non rossa" questa proposizione è sempre vera (tautologia) . Se invece diciamo: " Questa mela non è né rossa né non rossa" otteniamo una contraddizione, cioè la proposizione è sempre falsa. Secondo W. le proposizioni logiche, in quanto tautologie, "non dicono effettivamente nulla" . Perciò egli dichiara il fallimento della Filosofia.
Nell'esperienza logico-mistica di Nagarjuna si fa ricorso al famoso tetralemma , che sembra fare uso del principio di contraddizione. Il tetralemma era stato in realtà già esposto dal Buddha ed è un tipico espediente dell'intelligenza indiana che preferisce usare la negazione (neti...neti... ) invece che l'affermazione. Il tetralemma nega che la realtà ultima sia conoscibile come:
A
Non-A
Sia A che non-A
Né A né non-A
Tre esempi trovati nelle "Strofe del Cammino di Mezzo" (Muulamadhyamakakaarikaa, qui abbreviato in MK ) si dispiegano uno in forma positiva e due nella consueta forma negativa:
Ogni cosa è reale e non è reale,
sia reale che non reale,
né reale né non reale,
questo è l'insegnamento del Signore Buddha
(MK 18:8)
"Vacuo" non dovrebbe essere asserito.
"Non vacuo" non dovrebbe essere asserito.
Né entrambi né nessuno dovrebbe essere asserito.
Essi sono solo usati come nomi
(MK 18:8)
Essendo passato nel Nirvaana, il Vittorioso Conquistatore (il Buddha)
Né trovò evidente l'esistenza
Né trovò la non-esistenza.
Né entrambe né nessuna sono così evidenti
(MK 25:17)
Nell'ultima parte della sua vita Wittgenstein cambiò indirizzo rispetto al Tractatus Logico-philosophicus e pubblicò le Ricerche Filosofiche dove si proponeva di svelare gli errori del nostro pensiero, che poi sono errori linguistici. Il linguaggio non è una descrizione del mondo bensì una sorta di fili di discorso strettamente uniti fra loro e reciprocamente dipendenti.
"La gente dice sempre che la filosofia non fa progressi e che gli stessi problemi filosofici che già impegnavano i Greci continuano ad occuparci anche oggi. Ma chi parla in questo modo non comprende perché le cose stanno così. Il motivo è che il nostro linguaggio è rimasto lo stesso e ci porta sempre verso gli stessi quesiti. Fintanto che esisterà un verbo ‘essere' che pare funzionare come i verbi ‘mangiare' e ‘bere', fintanto che vi saranno aggettivi come ‘identico' , ‘vero' , ‘falso', ‘possibile', fintanto che gli uomini parleranno di uno scorrere del tempo e dell'estensione dello spazio ecc.; fintanto che si verificherà tutto ciò, gli uomini andranno a urtare contro le stesse noiose difficoltà e continueranno a guardare fisso qualcosa che nessuna spiegazione sembra in grado di eliminare" (L. Wittgenstein, The Big Manuscript, p. 424).
Il linguaggio è fuorviante poiché esso può presentare concetti diversi in forme simili. Il verbo ‘esistere' sembra simile a verbi come ‘mangiare' o ‘bere' , però, scrive P. M. S. Hacker, mentre è del tutto normale chiedere quanti studenti non mangiano carne o bevono vino, non lo è altrettanto chiedere quanti studenti non esistano. Essere rosso è una caratteristica che alcuni oggetti hanno e altri no, ma l'esistenza è una proprietà che alcune cose hanno e altre no? [8]
Quindi questi verbi - per estensione le parole- non sono descrittivi della realtà ma agiscono in un contesto autoreferenziale (altri possono avere contesti linguistici diversi) . Cioè quello che usiamo per ‘descrivere' la realtà è un ‘gioco privato' dove i termini sono in reciproca dipendenza ma non corrispondono necessariamente a qualche elemento del reale. Qui le somiglianze del discorso di W. con quello di Nagarjuna sono notevoli. E ancor più in questa asserzione fatta da Hacker:
Le cose possono incominciare a esistere e, successivamente
Cessare di esistere, ma ciò significa che acquisiscono
Una proprietà che inizialmente mancava loro e che più
Tardi perderanno? [9]
Se ricercare la natura di tutte le cose che esistono ha un senso
Non lo ha invece ricercare la natura dell'esistenza
O dell'Essere', per non parlare della non-esistenza
O del nulla.
(come ha cercato di fare Heidegger) .
In filosofia si viene insomma continuamente fuorviati da somiglianze grammaticali che nascondono profonde differenze logiche. Noi siamo intrappolati nella ragnatela delle regole d'uso delle nostre espressioni e il compito della filosofia è quello di conseguire una visione chiara di questo stato confusionale.
Ho sintetizzato il più possibile il discorso di Wittgenstein che è senz'altro degno di essere accostato a quello di Nagarjuna. L'importanza del linguaggio anche nell'esperienza conoscitiva legata alla meditazione è sottostimata. Anni fa scrissi una delle mie Newsletters intitolata ‘Grammatica del vivere ‘ dove facevo notare alcune connessioni pratiche fra la visione profonda e alcune regole grammaticali: (http://sinicus.altervista.org/Testi%20di%20Meditazione/Grammatica%20del%20vivere.htm)
Questo non è certo all'altezza di un discorso di W. o di Nagarjuna ma giusto per rilevare come questa connessione mi fosse già evidente.
Bisogna stare attenti a non interpretare Nagarjuna alla luce di Wittgenstein o interpretare Wittgenstein alla luce di Nagarjuna. I contesti sono assai diversi. Lo scopo di Nagarjuna era l'illuminazione e la liberazione degli esseri viventi, lo scopo di W. è la liberazione dai mali dell'intelletto. Entrambi i metodi servono per curare una malattia i cui sintomi sono simili ma non uguali [10].
Il discorso di Nagarjuna ridotto all'osso è una critica che mostra come, alla luce della logica, ogni concetto possa essere dimostrato incapace di applicarsi alla realtà. In questo le somiglianze (somiglianze) con il discorso di W. sono evidenti. Nagarjuna mostra come si tenda a ‘reificare', a ‘cosizzare' ogni categoria come se esistesse a se stante. In verità il linguaggio non può cogliere la verità ultima. Esso però viene usato poichè è il nostro unico mezzo di espressione. La critica alle singole proposizioni del linguaggio, ai loro singoli concetti (inclusi termini ‘sacri' come Tathagata e Nirvana) può però mostrare cosa questi non sono: termini a cui corrisponda qualcosa di reale.
Ogni concetto esiste in dipendenza da altri concetti, un po' come i ‘privati' giochi linguistici di cui parla W. (ma non esattamente la stessa cosa) . Ogni entità è priva quindi di una sostanza intrinseca che le permetta di vivere in isolamento ma, si potrebbe dire, ogni fenomeno ha i piedi d'argilla basati su altri fenomeni; ogni fenomeno sorge in dipendenza (da cause e condizioni) . Questo è il concetto di Vacuità, vacuità di essenza intrinseca. Lo stesso termine ‘Vacuità' come fa rilevare Richard H. Robinson, Early Madhyamika in India and China, 1967, p. 49 , " non è un termine fuori dal sistema espressivo" cioè è solo un termine non corrispondente a niente di sostanziale. " Quelli che ipostatizzassero la vacuità confonderebbero il sistema simbolico con il sistema dei Fatti. Nessun fatto metafisico può essere stabilito da fatti del linguaggio" .
W. faceva rilevare come " i limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo" mentre in forma analoga (ma non uguale) prima di lui Nagarjuna asseriva che" i limiti del Samsara sono i limiti del Nirvana" .
Che singolare somiglianza!
[1] Edita da Ubaldini con il titolo, mi sembra, La Filosofia Centrale del Buddhismo .
[2] Seguo, per una rapida elaborazione su di lui, Paul Strathern, I Grandi Filosofi, Filosofia, Oscar Saggi, Mondadori, 171-199; P.M. S. Hacker, Wittgenstein , I Filosofi, Sansoni, Milano, 1998; Hilary Putnam, Rinnovare la Filosofia , Garzanti, 1992; Ludwig Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916 , Biblioteca Einanudi1964 >1998; L. Wittgenstein, Quodlibet. Movimenti del Pensiero. Diari 1930-1932/1936-1937 . La bibliografia sarebbe in realtà sterminata.
[3] Strathern, op. cit., 171.
[4] Ibid. , p. 184.
[5] Strathern, 186.
[6] Quodlibet , 26.4.30, p. 17 della versione ital. citata.
[7] Per inciso questo è quello di cui mi sembra povera la tradizione più antica (come quella Theravada) . In effetti la tradizione Zen è molto più ricca di sprazzi sulla verità ultima e, a mio parere, molto più utile al praticante.
[8] P.M.S. Hacker, Wittgenstein , Sansoni, 1998, p.non numerate (secondo capitolo) .
[9] Ciò mi ricorda in qualche modo il famoso koan zen: ‘ Come era il tuo volto originario prima di nascere?'
[10] Per questo cfr Andrew P. Tuck, Comparative Philosophy and the Philosophy of Scholarship. On the Western Interpretation of Nagarjuna , Oxford University Press, 1990, pp. 74-93 (cap. 4, Buddhism after Wittgenstein)