lunedì 9 settembre 2019


Devo fare un’autocritica che riguarda la mia attività di insegnamento di Taiji quan e Kungfu. L’autocritica riguarda il mio essermi schiacciato a un livello medio durante la pratica, in ciò non differenziandomi da tanti altri corsi che vi sono in giro. Livellandomi, in sostanza, a un livello di istruttore invece che di maestro. Che poi sia bravo (o meno) ha poca importanza. Cos’è un maestro rispetto a un istruttore? E’ un maestro sì dell’arte che insegna, ma principalmente deve essere un maestro di vita. Sorge allora la domanda: perché mi sono volontariamente limitato? La risposta, sta, a mio parere, nella profondità della mia pratica meditativa. Sono 32 anni che pratico meditazione e in questo lungo periodo ho avuto esperienze anche, talvolta, di livello superiore ma soprattutto ho dato, alla mia pratica meditativa, il praticare già, qui ed ora, quello che è lo scopo finale della stessa: la liberazione, che poi è la libertà. Essendo profondamente impregnato da questo concetto, mi sono fatto un dovere di non limitare mai la pratica di vita e di pensiero di altre persone, sentendo un mio intervento nelle loro vite come un’imposizione. Riducendo così il mio insegnamento ad una (quasi) pura esposizione tecnica, con poche tracce di quella che è la mia visione spirituale e del mio modo di essere e di praticare più intimo. Questo, negli anni, mi ha anche portato a varie crisi personali, quando mi chiedevo: cosa ha a che fare la mia pratica e visione più interna, personale, con l’insegnamento, ad es. , del Kungfu? Risolvevo poi queste crisi in varie maniere, una delle quali era: fare kungfu mi diverte, fare Taiji mi piace e finché mi piacciono li faccio. Era un modo di esorcizzare il problema che però spesso si ripresentava, magari in maniere leggermente differenti. Bene, credo di essere arrivato a un punto in cui non posso / non voglio più eludere il problema. Il senso di questa mia svolta sta nella frase: SALIRE (e FAR SALIRE) A UN LIVELLO SUPERIORE.
La mia pratica meditativa è scarna: non vi sono altarini, né incensi, né divinità, né capi, né dei né dio. Pure, e anzi forse proprio in virtù di questo, può portare veramente in alto. A stadi di assorbimento meditativo che non solo NON ESCLUDONO DAL MONDO ma anzi fanno, della pratica nel mondo, il loro asse portante. E quello che ho scoperto è che possono innescare meccanismi di AUTOGUARIGIONE, cosa che io stesso ho sperimentato in varie occasioni durante la vita. Recentemente alcune persone mi hanno chiesto di aprire un corso di Qigong. Avrei anche potuto farlo, anche perché sotto questo nome si può mettere di tutto, ma la mia razionalità ed onestà mi impedivano di scegliere una via in cui realmente non credo. Non credo, ad es. , nella pratica dei 6 suoni. Credo però che la mente possa portare anche a pratiche semi-miracolose. Il metodo meditativo che pratico può portare a livelli di assorbimento mentale profondi, a produrre insomma un livello di onde mentali alfa. Quando si è a quel livello, poiché corpo e mente non sono separati, si può volgere la mente all’autoguarigione. Anche di recente mi è capitato di farlo. Ma il sentiero meditativo è contraddittorio: se cerchi risultati non li ottieni. La mente va perciò purificata abbandonando la ricerca di risultato. E questa è anche la via dell’illuminazione, della liberazione. Perciò bisogna prima guarire la mente e solo dopo si può pensare al corpo con efficacia.
Ad ogni modo non propongo miracoli: certe cose le può guarire solo la medicina. Su altre si può lavorare. Quello che mi interessa comunque, per la mia stessa salute mentale, è lavorare a un livello superiore, infischiarmene di avere allievi o addirittura non averne, lavorare per quei pochi che sentono il bisogno di un livello superiore. Perciò mi auguro di riuscire a cambiare i miei corsi, in corsi di maggiore qualità. Finora il mio scopo era divertirmi: guardando a mie allieve ed allievi del passato che, specialmente nel Taiji, cercavano qualcosa di più elevato rispetto a una semplice arte marziale (ce ne sono tante) , mi viene il rimorso, la consapevolezza di averne tradito le aspettative. Certo non voglio perdere il divertimento e la piacevolezza che vengono da una pratica bene svolta: ma non voglio più limitarmi, voglio passare a DARE QUALCOSA DI PIU’! Voglio venire incontro al desiderio, spesso inconscio, di coloro che si avvicinano al Taiji (e al Kungfu) di accedere a qualcosa di veramente eccellente, a una pratica straordinaria che cambia la vita.


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