"Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti che è il Buddha."
”Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti che è il Dharma.”
“Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti che è il Sangha.”
Questa è la formula con cui inizio la mia meditazione. Apparentemente una formula dogmatica, invece essa svolge un ruolo importante. Vi si parla del Buddha, del Dharma (la Legge o dottrina buddhista) e del Sangha (la comunità) ma vi se ne parla in termini direi negazionisti: queste cose sono vuote, non bisogna attaccarvisi! Non solo: vi si parla della Vita!
Partiamo dall’inizio. E’ precisamente perché le cose e i concetti non hanno una sostanza reale, stabile, che si può dire che questo è il Buddha, che noi stessi siamo dei Buddha (incapaci di riconoscerci tali). Il Buddha non si pose mai come una divinità. Fu un aspetto storico-peggiorativo adottato dal Mahayana o Grande Veicolo quello di divinizzarlo, più o meno inconsciamente. La storicità irrompe nelle religioni quasi sempre in senso peggiorativo o comunque trasformativo. “ Gesù non ha mai detto di voler fondare una religione, una Chiesa, che portassero il suo nome; mai ha detto di dover morire per sanare con il suo sangue il peccato di Adamoi ed Eva, per ristabilire cioè l’alleanza fra Dio e gli uomini; non ha mai detto di essere nato da una vergine che lo aveva concepito per intervento di un dio; mai ha detto di essere l’unica e indistinta sostanza con suo padre, Dio in persona, e con una vaga entità immateriale denominata Spirito. Gesù non ha mai dato al battesimo un particolare valore; non ha istituito alcuna gerarchia ecclesiastica finché fu in vita; mai ha parlato di precetti, norme, cariche, vestimenti, ordini di successione, liturgie, formule, mai ha pensato di creare una sterminata falange di santi….” Lo stesso è accaduto in tutte le religioni, ivi incluso il Buddhismo. La stessa formula adottata nel Buddhismo, io prendo rifugio nel Buddha ecc., presente già nei testi più antichi ma riferito a un periodo in cui il Buddha era effettivamente presente come persona fisica, ingenera / può ingenerare l’equivoco di una sostanzialità, di un’esistenza reale, assoluta, sostanziale del Buddha, del Dharma e del Sangha. In realtà questo va contro il messaggio del Buddha che non trovava in nessun luogo del mondo una ‘sostanza stabile’, nemmeno in se stesso o nel suo messaggio. Fece infatti la profezia che la sua stessa dottrina ad un certo punto (storicamente) avrebbe cominciato a corrompersi per poi sparire dal mondo: questo perché niente in questo mondo è eterno, ivi inclusi Buddha, Dharma e Sangha.
Quindi la mia stessa ‘presa di rifugio’ è contraddittoria perché ha poco senso prendere rifugio in qualcosa che non ha sostanza. Ma proprio in questo vi è la forza di questa formula; essa presenta un paradosso e chi medita sa da molto come il paradosso sia una pratica costante e direi necessaria poiché esso ci presenta una riunificazione degli opposti.
Quindi prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti.
Ma questa è la Vita! L’assenza di sostanza stabile della mia vita mi fa perdere ogni illusione al riguardo e mi prepara a quello che sono: un fenomeno di passaggio (la chiamano anche impermanenza). L’assenza di sostanza reale di ogni concetto poi, mi fa prendere le distanze da ogni assolutismo, anche nelle piccole cose della vita di tutti i giorni. Qualcuno si irrita con me per il mio relativismo. Una mia amica in particolare dice: ‘Facile per lui! Tanto tutto è relativo!’e non a caso questa mia amica è assolutista anche nelle più piccole cose, scontrandosi in continuazione e frontalmente con il mondo in cui viviamo in nome di concetti astratti. E non a caso un assolutista come Ratzinger è così spesso all’attacco del relativismo. Eppure sono stati geni come Darwin ed Einstein ad introdurre il relativismo nella Scienza ed è stata la Chiesa stessa ad ammettere la fallacia del proprio assolutismo quando ha riconosciuto che la favola di Adamo ed Eva era appunto una favola e che (bontà sua) l’evoluzionismo storico non era in contrasto con la dottrina della Chiesa- che si ricordi, sosteneva che Dio creò il mondo e l’uomo da un momento all’altro!
E’ presente nella natura dell’uomo il desiderio di conseguire qualcosa, di dare stabilità e senso alla sua esistenza. Questo fa parte della tendenza più generale all’afferrare, al desiderio che vuole ‘afferrare’ , sia rivolto a cose concrete che a concetti. Ecco perché la preghiera, anche la più spirituale, è inquinata (a volte molto sottilmente). Perché essa non vede il desiderio (grossolano o sottile) dell’ego che la produce, non vede che il desiderio produce ‘afferramento’ e ‘nascita delle situazioni’. Ecco perché invece nella meditazione dobbiamo metterci nello stato di animo di non voler ottenere niente. Io lo uso proprio come formula meditativa, che mi ripeto nella mente: ‘Senza scopo, senza direzione’. Perché questa è una delle tre Porte della Liberazione, insieme alla vacuità e al senza-segno.
Certo c’è in questa formula un paradosso: proporsi di non avere uno scopo è di per sé avere uno scopo. Ma questo è appunto un paradosso mistico, la presentazione di un dualismo che si riunifica!
SENZA SCOPO - E SORGERE IN DIPENDENZA.
Si può praticare il ‘senza scopo’ durante la meditazione ma anche nella vita. C’è un rapporto complesso tra i due momenti. Nella seduta meditativa ci possiamo proporre il mantra ‘senza scopo / senza direzione’ ma possiamo anche chiederci da dove provenga questa parola d’ordine. Il meditatore sano non deve approdare a nessuna dogmatica.
Cosa c’è dunque a monte di questa frase?
Ricordo un fatto del mio inizio meditativo. Dopo due anni che praticavo, quindi nel 1989, mi accorsi ad un certo punto di come ci fosse qualcosa di sbagliato nello sforzo meditativo che facevo. Non che la tecnica fosse sbagliata: allora ero molto più ‘tecnico’ di ora, con una pratica di consapevolezza più strutturata. Mi accorsi comunque che c’era in essa qualcosa di malsano, questo desiderio di essere consapevolmente attento e preciso mi creava una certa tensione. Sentivo che c’era un desiderio forte che, pur avendo una valenza positiva ‘spiritualmente’, si volgeva in negativo, creandomi appunto tensione. Meditazione e tensione non vanno d’accordo. Illuminazione e tensione, me ne sarei accorto anni dopo, sono antitetici. Perciò l’ideale meditativo è quello di una presenza vigile ma non tesa.
In questo episodio isolai un elemento che era di fastidio. Come chiamarlo se non desiderio? Benché questo desiderio (di attenzione, di consapevolezza) fosse apparentemente positivo, esso, per sua natura, diveniva negativo implicando costrizione e repressione. Un dualismo fra l’essere e il dover essere insomma. In base a questo ho in seguito capito meglio la ‘genesi condizionata’ spiegata dal Buddha. Questa genesi condizionata indica gli elementi dinamici (non statici) che fanno sorgere i vari tipi di situazione. Al centro di questa rete di condizionamenti vi è appunto il DESIDERARE. E’ sulla base del desiderare che sorge ogni situazione nel mondo degli esseri viventi (di ogni tipo - al contrario delle dottrine teiste / dualiste, il Buddhismo non prende in esame solo l’uomo ma tutti gli esseri viventi).
A sua volta il desiderare ha a monte qualche altra componente che ne determina il venire in essere. Non si desidera qualcosa se questo qualcosa non ci ha prima, in qualche occasione, fornito una SENSAZIONE piacevole, sia pure entrando in contatto semplicemente con gli organi di senso, anche solo con la vista o l’udito. Quindi il Buddha, il Risvegliato alla verità delle realtà [questo significa il suo nome] ,asserì che tutto nel mondo, incluse le speculazioni intellettuali, deriva dalla sensazione. E’ la sensazione (piacevole o spiacevole) che fa nascere il desiderio (o il suo rovescio, l’avversione).
Il desiderio implica voler afferrare o realizzare quello che si desidera (‘Ma la passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie’ – F. de Andrè) . Questa è la fase dell’AFFERRAMENTO che a sua volta dipende dal DESIDERARE che a sua volta dipende dalla SENSAZIONE. Ecco, ho spiegato con pochi concetti una teoria assai più complessa, quella del SOEGERE DIPENDENTE.
Una volta capito cos’è il sorgere dipendente o genesi condizionata, possono sorgere vari interrogativi alla persona intelligente. Mi spiego: se questo mondo ha la sua nascita in questa serie di legàmi, come si può pensare che sia una pratica di liberazione, dalla miseria di questo stesso mondo, quella che ha implicito qualcuno di questi elementi?
Lo dicevo l’altro giorno, facendo jogging, ad una mia amica. Mi parlava criticando quelli della Soka Gakkai, con il loro discorso basato sul cercare di ottenere ciò che si desidera. A parte che io ritengo che non tutti gli esseri umani siano uguali come predisposizioni e che quindi per qualcuno vada bene anche questo (meglio che niente), facevo rilevare come questo avesse poco a che fare con il discorso originario del Buddha (loro si dichiarano buddhisti) con questo loro insegnare una sorta di preghiera per conseguire i propri desideri. Le dicevo anche di aver conosciuto, tra l’altro, delle persone che ne erano rimaste molto deluse non essendo, in effetti, riuscite ad ‘afferrare’ ciò che desideravano. E questo ha a che fare qualcosa con l’eliminazione della sofferenza che era il vero discorso del Buddha? Il desiderio alimenta il desiderio e prima o poi si incappa nell’insoddisfazione. “Tutti i tipi di preghiera” asserivo “ hanno in sé questo elemento impuro, il desiderare, il voler soddisfare qualcosa”.
“ Ci sono tipi di preghiera” disse lei” che non sono necessariamente così” .
“ Credo comunque che ci sia sempre un dualismo, un porsi verso ‘qualcosa’ o ‘qualcuno’ che poi si risolve in una creazione concettuale. Si crea un’entità inverificabile e ci si pone in sua adorazione. Io penso invece che tutti i fenomeni e tutti i concetti siano privi di una verità assoluta; perlomeno quello che viene costruito in questo modo non ha niente di verificabile” .
Ecco il perché del ‘senza scopo / senza direzione’, senz’altro la pratica più povera e più scarna che esista. La pratica senz’altro più difficile, il deserto di tutti i concetti e, quando questi si presentino, la loro verifica tramite questa unità di misura: ‘E’ questo concetto senza scopo o ha uno scopo, dipendendo quindi dal desiderare?” . Questo crea davvero il deserto concettuale. Non solo: questo crea un tipo di meditazione che non ha nulla a che fare con gli scopi di questo mondo.