mercoledì 28 dicembre 2011

LEGGI, QUESTO E’ IMPORTANTE: FARE RICAPITOLAZIONE

“Qualunque sia il limite del Nirvana
Quello è il limite dell’esistenza ciclica (samsara ) .
Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro
E nemmeno la cosa più sottile”
(Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika 25)



Fare ricapitolazione è qualcosa che non metto in atto spesso e che, secondo me, è una pratica avanzata che presuppone alcune conoiscenze di base sul sorgere in dipendenza (ne ho parlato in altre news). Fare ricollezione implica, tra l’altro, un riportare alla mente le motivazioni più importanti della pratica meditativa, ammesso che le si abbiano chiare. E’, parafrasando un vecchio titolo, guardare l’altra faccia della collina. Che significa questo?

Capita talvolta di perdere un po’ le motivazioni della pratica, di subire una perdita di significato. Come mai, ci si chiede, non provo più l’entusiasmo di una volta? Ci si può accorgere, allora, di come le influenze mondane si siano infiltrate nella mente e ci abbiano portato a una perdita di senso. Ciò è, forse, ancor più facile nella pratica buddhista dove l’autogratificazione è vista con sospetto e dove, spesso, l’attenzione all’accettazione delle cose come sono, porta a chiedersi: se devo accettare le cose come sono, quindi come sono già, a che scopo sottopormi a questa che resta pur sempre una disciplina e che, come tutte le discipline, ha senz’altro un aspetto più o meno costrittivo? E, ancora, sempre parafrasando la famosa frase di Nagarjuna posta all’inizio di questa Newsletter, se Samsara, la vita mondana, e Nirvana non hanno un limite di separazione, per che cosa sto lottando con me stesso? In fondo il Nirvana è già qui. Ma anche senza queste considerazioni, il mondo edonistico in cui viviamo, ci spinge a dirci: ma chi me lo fa fare di mettermi qui seduto a perdere mezz’ora del mio tempo?!? Il tempo è prezioso. Altre cose mi gratificano senza dubbio di più.

Ed è così che, dopo le prime volte di incontri, il numero delle persone scema. Ma è, forse, sempre stato così.

Torniamo alla ricollezione. Anche il meditante più avanzato può subire una crisi di senso. Come dicevo più sopra gli aspetti mondani piano piano si infiltrano nella pratica. Si continua a praticare, ma c’è una perdita di significato. Si stringono i denti e si continua ma sempre più ci si interroga: cosa sto facendo? Mi sto autoingannando? Ho perso la Via?

Questo tipo di dubbi, se può essere di consolazione, ha sfiorato prima o poi tutti i meditatori o perfino i grandi mistici, di tutte le tradizioni religiose. Diciamo pure che il dubbio, anzi, fa parte della via. A patto che lo sappiamo usare.

Così, mentre pratichiamo, anche se ci diamo come mantra la formula ‘senza scopo, senza direzione’, una formula che già di per sé dovrebbe essere risolutiva e chiara nella sua indicazione di un percorso che è un non-percorso, pure i residui egoici, più o meno evidenti, più o meno frequenti, possono venire a galla con un senso sottile di insoddisfazione. E allora, chi ha avuto esperienze meditative particolari, si trova in difficoltà nel suo tentativo di reiterarle. Chi ha praticato i JHANA o DHYANA vorrebbe entrarvi di nuovo; chi ha avuto un satori o esperienza di risveglio vorrebbe provarla ancora; chi ha provato il gusto della Liberazione vorrebbe tornare a gustare di nuovo la libertà. Poiché però proprio il desiderare è nemico di queste esperienze ed esse non sono riproducibili a volontà come qualcosa di scientifico, si insinua in noi un sottile senso di insoddisfazione. E allora, quando serve, facciamo ricollezione. 

Nell’ultima parte della meditazione, esaminiamo proprio la nostra esperienza. Da dove viene questa insoddisfazione? Dal non ottenimento. MA, MA, MA…ma non è proprio questo non-ottenimento che volevamo ottenere (mi si perdoni il gioco di parole) ? Osserviamo a fondo questa cosa. Non ho ottenuto nulla. Bene. L’ottenere è legato, determinato dal desiderio, dal desiderare. E non è questo desiderare la matrice di tutti i nostri guai? E se nella pratica meditativa non ottengo nessuna esperienza particolare, non è questa la vera libertà? Posso sprofondarmi in questo non-ottenere, posso guardare con soddisfazione l’altro lato di questa collina? Se non ottengo nulla non ho nulla a cui attaccarmi, nulla da difendere, nulla da proporre, nulla… Certo, dal punto di vista normale, questo è riduttivo, richiama la pseudo saggezza (o vera saggezza?) della volpe che, riguardo all’uva a cui non può arrivare, dichiara: ‘Tanto è acerba’. 

Ma la ruota del ‘sorgere in dipendenza’ pone proprio il desiderio come cardine del sorgere di ogni nostro spetto della vita e l’afferrare come suo anello successivo. Ed ecco che, meraviglia delle meraviglie, mi accorgo che ero già dove volevo arrivare, al non-ottenere. Chi non vede la semplicità di questo risultato, che è un non-risultato, può andare a cercare mille maestri di meditazione ma non capirà mai che deve SEMPLICEMENTE ARRIVARE DOVE GIA’ SI TROVA!!! Che però, si badi, non è affato credere che questo si identifichi con la vita stolta ordinaria. Il liberato, il risvegliato è simile allo ‘scemo del villaggio’ ma lo scemo del villaggio non è un liberato, un risvegliato. Riflettiamo su questo!

NOTA: Questo è davvero un testo importante, uno dei testi più importanti da me prodotti in questi anni. Riflettiamoci sopra!

NON E’ MAI TROPPO TARDI PER IMPARARE LA MEDITAZIONE!


NON C’E’ NULLA DI DIFFICILE NELLO STARE SEDUTI E GUARDARSI. A S. ANDREA DI COMPITO, IN VIA DELLA TORRE 9 (FINCHE’ C’E’ BEL TEMPO ALL’APERTO, IN VIA COL DEL MORO, QUINDI EVENTUALMENTE TELEFONATE, 0583.977051). CHIEDETE L’ISCRIZIONE ALLA NEWS E ANCHE PER AMICI E SE CAMBIATE INDIRIZZO E-MAIL SEGNALATECELO.


AVVISO

Da venerdì 2 Dicembre, ore 21,15, è iniziato un corso di meditazione anche a Lucca. Indirizzo: via del fosso 132, a dx uscendo da piazza San Francesco, verso via dei borghi, lato dx., campanello F.Donati. Poi il sabato vi è la solita seduta di meditazione a S. Andrea di Compito, via della Torre 9, ore 15,30. Si ricorda anche che come ogni anno, dal 2 al 6 gennaio, si può partecipare al ritiro di meditazione a S. Andrea di Compito.

mercoledì 30 novembre 2011

LA PURA ATTENZIONE


“Qualunque sia il limite del Nirvana
Quello è il limite dell’esistenza ciclica (samsara ) .
Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro
E nemmeno la cosa più sottile”

(Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika 25)
AVVISO 
Da venerdì 2 Dicembre, ore 21,15, inizia un corso di meditazione anche a Lucca. Indirizzo: via del fosso 132, a dx uscendo da piazza San Francesco, verso via dei borghi, lato dx, campanello F. Donati. Poi il sabato vi è la solita seduta di meditazione a S. Andrea di Compito, via della Torre 9, ore 15,30.Si ricorda anche che come ogni anno, dal 2 al 6 gennaio, si può partecipare al ritiro di meditazione a S. Andrea di Compito.


LA PURA ATTENZIONE

Una guida di base alla meditazione di consapevolezza (SATI) . 

Una mente concentrata è una mente pulita, non distratta. Al contrario di quanto comunemente si possa pensare, concentrazione non è sinonimo di costrizione, di repressione e quindi di star male. Al contrario, la concentrazione porta ad uno stato di piacevolezza, di percezione della pulizia della mente e da questo sorge gioia.

Il testo che si occupa della meditazione di consapevolezza e visione profonda è il Satipatthana Sutta (sutra) : 

La strada…
ad un’unica meta, alla purificazione degli esseri,
al superamento del pianto e del lamento,
all’allontanamento del dolore e della sofferrenza,
al comparire del giusto metodo
per la realizzazione dell’estinzione
è quella dei
Quattro Pilastri della Consapevolezza.


Le quattro basi della consapevolezza sono:
1) L’attenzione al corpo
2) L’attenzione alle sensazioni
3) L’attenzione alla mente
4) L’attenzione agli oggetti mentali.
Naturalmente (qui cito, brevemente, dal libro di Mahasi Sayadaw, La Pratica dell’Insight , Ubaldini) , questa via è fatta per coloro che sono alla ricerca della felicità attraverso la purificazione dalle contaminazioni mentali, che sono la causa della sofferenza. Domandiamo a chiunque se vuole liberarsi da sofferenza e dolore, pianto e afflizione: risponderà certamente di sì. Quindi la pratica delle quattro basi della consapevolezza è vantaggiosa per tutti.

Ma come si praticano le quattro basi della consapevolezza? La pratica generalmenter usata è quella delle NOTE MENTALI. Facciamo qualche respiro, osserviamo che c’è questo oggetto di attenzione, il respiro. Osserviamno l’addome che si espande e contrae, osserviamo il respiro che va su e giù. Facciamo una nota sulla nostra lavagnetta mentale: SU e GIU’. Attenzione. Il respiro è sempre presente e perciò TORNIAMO SEMPRE AL RESPIRO. Se anche, durante la meditazione, ci siamo rivolti ad altri oggetti di attenzione, nei momenti ‘vuoti’ torniamo al respiro. Il respiro ha, tra le altre qualità, quello di essere calmante. ‘Fai un bel respiro’ , si dice nelle situazioni di emergenza.

Io suggerisco un altro accorgimento. Osservate il su e giù del respiro come se fosse una ruota, ‘SU’ lungo la colonna dorsale, GIU’ lungo la linea mediana anteriore del corpo. Vi accorgerete come questo espediente dopo breve tempo produrrà una calma meravigliosa della mente. Anzi, anche dopo che il respiro diverrà sempre più rarefatto, rimarrà questa immagine mentale del cerchio del respiro. Concentrandosi su questa immagine mentale si aprirà la via a stati di meditazione profonda.

Attenzione sul respiro, dunque. Ma attenzione sul respiro è, da subito, attenzione al corpo. Notate se la vostra posizione è cvonfortevole o spiacevole, se vi sono sensazioni fisiche , pruriti, doloretti ecc. Se vi è possibile, non vi grattate, non vi spostate. Le cose che provate sono un oggetto dell’attenzione. Portate l’attenzione a questi ‘oggetti’ (prurito, dolore o altro) , sprofondatevi in quella sensazione. Oppure, più semplicemente, fate una nota mentale : SENTIRE, il verbo tipico delle sensazioni. Usate sempre verbi all’infinito presente quando fate le note. Il verbo ‘sentire’ può essere usato quasi sempre, anche perché, in Italiano, ‘sentire’ implica attenzione alle sensazioni e anche all’udito. E difatti arriveranno quasi subito rumori vari . Annotate: SENTIRE. Quindi l’attenzione al corpo e alle sensazioni si svolgerà principalmente con l’uso della nota ‘Sentire’.

Quasi subito sarete invasi da pensieri. Le cose successe, quelle che dovete fare, le preoccupazioni, dubbi su quello che state facendo. Non c’è problema, la nostra mente è fatta per pensare, dare giudizi ecc. Però queste cose ci distrarggono dalla consapevolezza, dopo un solo attimo di attenzione al singolo pensiero siamo risucchiati, senza quasi accorgercene, in un vortice di diecimila pensieri. Non è che allora dobbiamo reprimere i pensieri. In fondo sono i nostri cari oggetti di meditazione. Dobbiamo però adottare la modalità dell’osservatore. Immaginate di essere dietro di voi e vedere la vostra mente che produce questi pensieri. 

Questa è la modalità dell’osservatore. Ma il modo più semplice è quello di vedere i pensieri come fossero i titoli di coda di un film: li vedete apparire, perdurare brevemente e scomparire (che è già un accenno della visione profonda!) . E la nota mentale da fare? Semplicemente ‘PENSARE’. Potete usare anche altri verbi: ‘discorrere’ ecc. ma ‘pensare’ va bene in generale. Mentre fate questo lavoro, osservate anche la mente. All’inizio vedrete una grande attività di chiacchiericcio, dopo un po’ questa scemerà, finché la mente sarà calma e concentrata.

Un aiuto poi, se c’è il pericolo di un’eccessiva distrazione (a proposito: nota mentale: DISTRAZIONE), è la ripretizione di un Mantra, una formula. Niente di strano o esoterico tipo OHM; AHUM ecc., il Buddhismo è pratico, qui abbiamo qualcosa di perfettamente comprensibile, semplicemente PURA ATTENZIONE. Questo, unito alla ‘ruota del respiro’ vi porterà verso un mare di calma.


NON E’ MAI TROPPO TARDI PER IMPARARE LA MEDITAZIONE!
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sabato 22 ottobre 2011

GIUSTIZIA SOCIALE ED EQUANIMITA’


“Qualunque sia il limite del Nirvana
Quello è il limite dell’esistenza ciclica (samsara ).
Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro
E nemmeno la cosa più sottile”
(Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika 25)


Qualche tempo fa era appena uscita la nuova ‘stangata’ o finanziaria di questo governo con un mucchio di nuove misure che ci colpiscono nella sanità e nei servizi sociali in generale. Mi trovavo al bar e dissi ad una coppia di miei conoscenti qualcosa come ‘si mettono male le cose per tante persone’. Questi due, che sono due ‘cristiani’ a modo loro, forse anche un po’ influenzati da un certo berlusconismo, si sentirono in dovere di tornare dopo un po’ e di dirmi: ‘ma come, tu dici che bisogna accettare e poi…’. La mia risposta fu: ‘Io sono per accettare qualsiasi cosa, a livello personale. Ma qui siamo a livello sociale. Ci sono persone che vivono con 600 euro di pensione - tra queste un mio amico - che con 800 euro devono pagare l’afffitto. Una cosa è il livello personale, una cosa è il livello sociale’.

Ci sono ideologie un po’ sul tipo New-Age che vogliono vedere ‘tutto bello’ e che in nome di questo perdono ogni visione della realtà e della compassione. Max Weber a suo tempo faceva notare come anche le ‘ideologie religiose’ siano influenzate dalla nostra posizione sociale. L’ebraismo ad es., con la sua visione dualistica del mondo, è nato in una comunità di pastori, in mezzo a guerre, ladrocini e altro e non poteva, a mio parere, che sviluppare un’ideologia dualistica - il Bene e il Male - , un po’ come molte altre religioni antiche (anche il Cristianesimo, sia pure con qualche superamento dei tratti più arcaici dell’ebraismo). In un ambiente borghese ci si concentra sul proprio ‘star bene’ e si perde di vista la complessità sociale. Allora si accetta quello che ci piace e ci torna comodo accettare. 

Allo stesso modo ci si indigna per la violenza in alcune manifestazioni e non si vede la violenza più impersonale che il capitalismo opera in questa società. Questa è una violenza che non si sporca le mani ma che mette sul lastrico lavoratori anziani senza alcuna possibilità di ritrovare lavoro o due generazioni di giovani precari; una violenza che poi ha i suoi incappucciati nei vari ‘corpi speciali’ (non ho mai capito perché i cosìddetti tutori dell’ordine si travestano come banditi), nei servizi segreti che hanno promosso le stragi degli ultimi cinquant’anni, nel pensiero ‘unico’ che parla di un ordine sociale che appare ingiusto, dove un dieci per cento della popolazione possiede quasi il 90 % della ricchezza nazionale.

Tornando alle persone che vedono ‘il Creato’ come tutto bello, che parlano di vedere la bellezza della creazione ecc., mi è sempre venuto in mente come nel più bel paesaggio si perda di vista la complessità della vita. Se si va a scavare, se si usa cioè un metodo analitico superando le impressioni o le emozioni, anche il più bel paesaggio ha in sé nascosti crudeltà e sopraffazione. In quella bella collina, sotto quelle verdi foglie, quanti animali piccoli o grandi stanno assalendo altri animali, quanti animali stanno soffrendo sotto l’aggressione o nel TERRORE di essere divorati, quanti esseri stanno soffrendo la fame? Si vuol vedere la bellezza del creato ma se si va a vedre, si potrebbe percepire tutta la violenza e la sofferenza che vi sono nel cosiddetto creato.

Ho riflettuto molto in questi giorni su un episodio che vedo ogni tanto accadere nel mio bagno. Qualche falena o anche qualche mosca vi si introduce e poi rimane attirata dalla luce, vi si appiccica, perde probabilmente ogni visione e dopo un po’ addirittura muore per il calore di quella lampada che tanto l’attira. Questa è davvero una metafora della sofferenza. Siamo attratti da cose che a volte ci fanno soffrire fino al punto di morirne (lo si vede dai vari delitti che i giornalisti sciacalli ci propinano a giornate intere in televisione). Quando vedo queste falene che addirittura penetrano all’interno dell’involucro della lampada per essere più vicine alla luce che le attira e le acceca, il paragone con l’esistenza umana mi appare in tutta la sua evidenza. Ho pensato anche di salvarle, queste falene o mosche, ma ad ogni modo sono già condannate, cieche come sono. Con un po’ di sofferenza accetto il loro destino.

Ogni tanto, oltre alla meditazione di gentilezza amorevole che rivolgiamo a tutti gli esseri, noi pratichiamo anche la meditazione sull’equanimità. Si può dire che equanimità ed accettazione siano quasi la stessa cosa. Fra i sette fattori che portano alla liberazione l’equanimità è il fattore più elevato. Non va confuso con l’indifferenza perché è bilanciato dai fattori della benevolenza, della compassione e della gioia per la gioia altrui ma ha qualche somiglianza. L’equanimità è basata sulla ‘visione’, la visione delle cose come sono, la visione che nel mondo esiste la sofferenza e che essa deriva dall’avidità e dall’attaccamento ai piaceri sensoriali - la falena ne è un bell’esempio! Nella meditazione di equanimità noi partiamo da lontano (tutti gli esseri viventi) prendendo atto che ‘tutti gli esseri sono eredi delle proprie azioni’ (o, più correttamente, della proprie intenzioni) e man mano restringiamo il campo finché arriviamo alle persone più care. Qui è difficile accettare il destino (‘qualunque esso sia’) delle persone più care: se le cose vanno bene, OK, ma se le cose vanno male, se una persona cara soffre, è assai più difficile accettare. Pure dobbiamo farlo. 

Io dico sempre che mentre da una parte dobbiamo fare tutto il possibile per ‘spostare qualche virgola', nel senso di fare il possibile per il bene di queste persone, per migliorarne la condizione o alleviarne le sofferenze, pure ‘non possiamo spostare i punti’ che sono poi la condizione oggettiva della vita umana. L’unica cosa che resta da fare, per la nostra stessa salute mentale, è l’accettazione, l’equanimità. Irradiare senza scopo è allora la pratica meditativa dell’equanimità. Vale lo stesso nei nostri confronti. Dobbiamo accettare che non siamo eterni e che siamo esposti a tutte le possibilità negative di questo mondo. Mentre non possiamo evitare la sofferenza fisica, possiamo però evitare la sofferenza mentale.
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NON E’ MAI TROPPO TARDI PER IMPARARE LA MEDITAZIONE!

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giovedì 8 settembre 2011

La Visione profonda

“Qualunque sia il limite del Nirvana
Quello è il limite dell’esistenza ciclica (samsara ) .
Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro
E nemmeno la cosa più sottile”
 (Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika 25)

Praticare la meditazione deve servire a vivere meglio, diciamo con consapevolezza e accettazione. Ma non vi può essere accettazione se non vi è visione profonda. Visione profonda. Che vuol dire? Vuol dire penetrare al di là delle cose, restando nelle cose. Anche per chi pratica meditazione, capitano periodi di offuscamento di questa visione profonda. Succede quando invece di avere la visione delle cose, le cose, i fatti, prendono possesso di noi. La vita di tutti i giorni sta lì a testimoniarcelo: l’amore, la famiglia, la situazione economica, la crisi… sono tutti fattori che portano a quell’offuscamento di cui dicevo prima. Sia chiaro, non sto dicendo che bisogna trovare una via di fuga da tutto ciò. Sto dicendo che bisogna penetrare i fattori del reale e accettarli pur mettendo in atto le strategie del cambiamento.
Sedere in meditazione è il primo passo. Non si vedono le cose come sono realmente se ci affanniamo ad agire e pensare. Non si possono fare BENE due cose per volta. Si possono fare, ma non bene, non andando a fondo. Bisogna rallentare, bisogna trovare quel momento in cui, nella non attività fisica, nella seduta in cui non c’è niente altro da fare, possiamo portare il nostro occhio mentale più in profondità alla nostra situazione. Possiamo fare quello che viene chiamato ricollezione, richiamare cioè alla mente tutti i dati del nostro essere attuale, vedere quali sono gli elementi di confusione (e quindi di sofferenza), intuirne le cause e accettare il tutto. Sì, se io, in questa particolare situazione, sono così è perché vi sono cause e condizioni precedenti. Potrei dunque essere, io qui e ora, diverso da quello che sono qui e ora? Evidentemente no. Quella tale causa X, quella tale condizione Y, hanno creato quello che sono io ora e quello che sto sperimentando io ora. E, si badi bene, la sofferenza è sempre colpa nostra, un problema nostro,  inutile dare la colpa a questo o  a quello. E’ come noi reagiamo a quello che accade. Quindi è qualcosa che è dentro di noi. Sono le nostre tendenze più o meno evidenti, più o meno nascoste, che ci fanno reagire come reagiamo, soffrire come soffriamo. Gli altri o i fattori esterni in genere sono solo LE CONDIZIONI per fare venire alla luce quella che è la nostra reazione. LE CAUSE stanno in noi.
Quale altro creatrore di religioni, a parte il Buddha, il Risvegliato, ha fatto una tale analisi psicologica dell’essere umano? Tutti hanno parlato di peccato, di un dover essere così e cosà ma non vi è nessuna analisi approfondita dell’essere umano. Invece il Buddha ha detto: dovuto alla nostra ignoranza di base, condizione generale dell’essere umano, ignoranza più o meno voluta riguardo alla vita e a come si svolgono davvero le cose, sorgono da essa condizionate le nostre predisposizioni mentali (sankhara) da cui a sua volta è condizionato il sorgere della nostra coscienza (vinnana): La nostra coscienza è quello che davvero ci forma, sia fisicamente che mentalmente (nama-rupa), mentalità e fisicità-sì, il Buddha aveva visto già 2500 anni fa come perfino la nostra fisicità sia condizionata dalla coscienza). Questa mentalità e fisicità influenza anche l’azione delle nostre sfere sensoriali (salayatana, cioè la sfera di azione dell’occhio, dell’orecchio ecc.  e dei vari tipi di coscienza che si creano da esse) e da queste è condizionato il contatto (phassa) con l’esterno da cui sorge a sua volta una sensazione (vedana), piacevole o spiacevole, che a sua volta condiziona la ‘sete’ (tanha) o il suo rovescio, l’avversione. La sete condiziona l’afferramento (upadana) che a sua volta condiziona il venire in essere, o divenire (bhava) di una nuova situazione che si sviluppa poi attraverso nascita (jati) , deterioramento e morte o scomparsa. Questi 12 anelli costituiscono nell’analisi del Risvegliato la catena del SORGERE CONDIZIONATO.
Ci dimentichiamo di questa mirabile analisi ed ecco che, tutto a un tratto, ci troviamo in situazioni ingarbugliate e di sofferenza. La stragrande maggioranza delle persone dà la colpa ad altro: una persona, una situazione ecc., ma in verità la colpa è sempre nostra. Noi abbiamo desiderato afferrare una situazione, noi l’abbiamo afferrata e in base alle nostre predisposizioni siamo entrati nella sofferenza. Ci troviamo lì dove siamo perché, favorite da certe condizioni sia interne che esterne a noi, le nostre predisposizioni ci hanno portato in quel certo particolare modo della nostra mentalità-fisicità ad entrare in contatto, a provare o riprovare quella sensazione (o avversione) che ci ha proiettato verso l’afferramento  e verso poi il sorgere della situazione attuale.
Si può essere diversamente da quello che siamo qui e ora? Nella ricollezione che facciamo, viste le cause e condizioni che hanno creato la situazione attuale, si può solo vedere la nostra foto del momento. Possiamo cambiare una fotografia? Sì, potremmo, al giorno d’oggi ci sono tanti programmi di fotoritocco. Ma la persona così com’è stata ripresa dalla nostra fotografia mentale, quella è proprio così, non possiamo farci niente. E allora accettiamo: io sono così, sono proprio così, ci sono cause per cui in questo momento (e solo per questo momento) non posso essere che così. Ma vediamo anche che essere così come siamo ci fa star male. Ci sono allora due possibilità: o accettiamo fino in fondo di essere come siamo ora o cominciamo a cambiare. A noi la scelta. In ogni caso, in entrambi i casi, dobbiamo essere consapevoli e accettare.
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venerdì 20 maggio 2011

Rompere le barriere

Praticare la meditazione di benevolenza non è solo quella pratica secondaria che molti pensano: in realtà essa può essere assunta come pratica integrale in cui sono incluse consapevolezza e visione, amore ed equanimità/accettazione, liberazione della mente.

Giorni fa, praticando la benevolenza nella maniera particolare in cui noi la pratichiamo, mi sono reso conto con sorpresa che, anche pensando a persone che nella vita normale sento in opposizione, a forza di ‘diventare loro’, di prendermi a cuore la loro persona e i loro punti di vista, non provavo più alcuna avversione per loro, le accettavo come semplici varianti di me stesso. Bene, la mia mente era libera, avevo rotto le barriere che mi separavano da queste persone.

Però questa liberazione è data per lo spazio di una seduta di pratica formale, ci si accorge poi come l’avversione sorga e risorga per questo o quel personaggio. Spesso medito su personaggi pubblici, soprattutto della politica o dello spettacolo: lì si vede tanto egocentrismo ed è difficile non sentirsene irritati. Vi sono trasmissioni come quelle della De Filippi nel pomeriggio (Uomini e donne, mi sembra, mi capita di vederne spezzoni nell'assistenza a mia zia che la guarda a pomeriggi interi), come Forum, Il Grande Fratello e numerose altre che portano avanti un’educazione del pubblico basata sulla rissosità, sull’egocentrismo più sfrenato, perché è questo che fa spettacolo – si pensi a un personaggio come Sgarbi, il cui egocentrismo è talvolta così forte da essere infantile. Si vedono, per converso, rari personaggi come Fabio Fazio che portano avanti una TV educativa e allo stesso tempo piacevole, cosa davvero rara –anche se la Littizzetto a volte sembra rientrare più nelle caratteristiche precedenti.

Comunque ho meditato a lungo su Berlusconi e altri del suo entourage e sento di poterne comprendere la mente e per certi versi li vedo come estremizzazioni di noi stessi. In chiunque di noi sono presenti i semi dell’egocentrismo. Io penso che Berlusconi e altri personaggi simili siano ottimi oggetti di meditazione. Si può arrivare, pur non condividendone le idee, a comprenderli, a provarne com-passione, ad accettarli come persone semplicemente con punti di vista diversi dai nostri.

E’ vero che una cosa è la pratica seduta e una cosa è la vita di tutti i giorni (questo corrisponde al dualismo esistente fra verità relativa e verità assoluta) . Quando questa separazione verrà meno, vi sarà liberazione assoluta: allora la vita normale, la vita quotidiana sarà il nirvana, realizzando ciò che dice, in un famoso passo, Nagarjuna: “ Non vi è alcuna separazione fra samsara [il mondo] e Nirvana e nemmeno la più piccola differenza”. Insomma la realtà ultima è già qui, è solo questione di ‘sgrosssarla’ dalle incrostazioni dell’ego.

In questo, la pratica della benevolenza e dell’equanimità, servono a rompere le preoccupazioni dell’ego e le barriere fasulle che ci separano dal ‘tutto’.

La visione dualistica che abbiamo del mondo e di noi in rapporto al mondo si pone, in effetti, come una barriera, una separazione fra noi e il mondo, fra noi e ‘l’altro’. A livello religioso questa è l’immaginazione che esistano due forze contrapposte, il Bene e il Male che sarebbero in lotta fra loro in uno scenario di cui noi facciamo parte; a livello individuale è l’immaginazione che noi possiamo esistere senza gli altri, o che, semplicemente, noi siamo al centro del mondo; a livello politico-sociale, e come derivazione diretta delle altre due idee, è l’idea che l’altro sia appunto ‘altro’, talvolta un inferiore, talvolta il nemico, talvolta una forza del male. Si appiccicano allora etichette: comunista o fascista, anche a chi non ha nessuna di queste posizioni; se si è in guerra l’altro è ‘l’impero del male’ (sia che a dirlo siano, al giorno d’oggi, gli americani, sia che siano gli islamici ); insomma bisogna demonizzare l’altro. Tra l’altro la creazione di capri espiatori è tipica dei sistemi chiusi, sia che si tratti di un ambiente di lavoro, sia che si tratti di un’istituzione chiusa, come l’esercito (ne so qualcosa), la prigione o simili.

E’ evidente come l’evitare o anche semplicemente l’accorgersi di pensare in questo modo sia strettamente collegato alla pratica meditativa, alla consapevolezza e in generale a quella che chiamo (e che il Buddhismo chiama) ‘liberazione della mente’, cetovimutti. La pratica meditativa e il Buddhismo insegnano ad essere consapevoli delle concettualizzazioni, a riconoscerle come tali (e quindi come possibilmente fallaci, anche quando ci vengono presentate come verità rivelate), di conseguenza a liberare la mente dalla loro presenza ingombrante.

Il Buddha e, in particolare, sulle sue tracce, Nagarjuna, fecero della lotta ai ‘punti di vista’ una delle loro bandiere principali. Si potrebbe obiettare che anche questo è un punto di vista, ma si può contro-obiettare che quando non c’è nulla a cui aggrapparsi, quando la mente è vuota di concettualizzazioni, non appare, ovviamente, alcun punto di vista.

Tornando al discorso della separazione che noi poniamo fra il nostro ‘essere’ e il resto del mondo, quando noi superiamo questa separazione, quando noi smettiamo di pensare al mondo come ‘altro’, quando noi accettiamo di essere non un io separato ma semplicemente un fluire di fenomeni psico-fisici in mezzo al grande fluire fenomenico del mondo, una goccia insomma del fiume della vita, separata ma allo stesso tempo inscindibile da esso, così come una goccia che scorre nel fiume… noi poniamo la base per l’eliminazione delle barriere, insomma la goccia non è più goccia ma è il fiume.

martedì 15 marzo 2011

IL COLORE DEI SOLDI – Tutto è importante, niente è importante

Un mio amico gioca ai cavalli. E’ sempre a tormentarsi pensando che se avesse giocato quella tale combinazione invece che quell’altra avrebbe potuto vincere, vincere soldi, comprarsi quella tale bella automobile e togliersi tante altre soddisfazioni. Questo mio amico non è uno stupido: diciamo che questa sua sudditanza al demone del gioco (gli Inglesi hanno un termine: addicted) lo ha portato a interrogarsi su se stesso e su molte cose. Sente il richiamo della meditazione perché vi vede una sponda di libertà di cui non gode. Essendo però schiavo del desiderio, la meditazione viene in second’ordine e solo come una sponda possibile a cui ricorrere. Ha capito che deve accettarsi com’è e questo è già positivo, dovuto alla propria auto-costruzione negli anni (qualcuno lo chiama Karma). D’altra parte l’accettarsi implica il conoscersi, il conoscersi significa vedere i propri difetti e questo fa sorgere, io direi inevitabilmente, la spinta a migliorarsi. E questo non può che passare tra il riconoscere il desiderio come negativo e l’evitare le occasioni. Quando arriverà a questa conclusione dovrà farlo radicalmente. Non si può smettere a poco a poco. E’ come il vizio del fumare. Non conosco nessuno (NESSUNO) che abbia smesso poco a poco. Chi l’ha fatto lo ha fatto drasticamente. Fumo,  gioco,  droga, alcool: semplicemente occorre evitarne le occasioni e non cercare trucchetti autoconsolatori.

Solo chi abbia avuto una qualche esperienza di LIBERAZIONE, un flash, un lampo, un satori , può comprendere pienamente un rapporto distaccato e nello stesso tempo interessato al problema dei soldi. E’ chiaro che per avere questo tipo di rapporto anche le condizioni di vita contano. Il Buddha, ad esempio, sostenne spesso che il capofamiglia, con il peso della gestione economica e affettiva della stessa, non poteva, generalmente parlando, arrivare alla liberazione: pure, nei testi antichi, vengono citati vari capofamiglia che erano arrivati almeno ai primi livelli di liberazione e addirittura qualche esempio in cui un laico viene interpellato per consiglio spirituale da monaci. Quindi,  ancora una volta, dobbiamo rifiutare ogni assolutismo. Però appare evidente come una situazione di maggior leggerezza, come quella di un laico single , possa favorire esperienze di liberazione.

Definiamo,  innanzitutto,  questo termine. Il Buddha stesso fece un esempio: pensate ad avere un grosso debito e di essere riuscito a liberarvene. Ah! Che soddisfazione, che senso di libertà, di liberazione! Ecco, è questo che si prova nell’esperienza di liberazione che ho definito, in altre occasioni, anche come la liberazione dalla paura. Noi viviamo nella paura, più o meno mascherata, più o meno falsamente ignorata, come polvere che invece di spazzar via nascondessimo sotto un tappeto. Paura della fine di una relazione (anche quella apparentemente più solida è effettivamente instabile) , paura di non farcela più finanziariamente, paura di un tracollo economico e della perdita della sicurezza, paura di cataclismi, del cancro ecc., tutte cose che ci fanno balenare davanti lo spettro della miseria economica e morale. Conosciamo il caso di persone finite dalle stelle alle stalle, persone fino a ieri sulla cresta del successo trovatesi ad un tratto a dormire in uno scatolone per strada. Mi colpì, anni fa, il caso del famoso industriale Gardini che per un tracollo del genere si uccise – quanta angoscia c’è, mi sono chiesto spesso con partecipazione, in una scelta del genere, condivisa pure, all’altra estremità della scala sociale, da un mio vicino di casa che viveva in una baracca: o un caso nella famiglia Agnelli dove la ricchezza non potè impedire la morte per cancro di un giovane esponente della stessa famiglia.

Mi sono spesso chiesto se poi sarebbe davvero la fine del mondo finire come un homeless. Posso rispondere con sicurezza che potrebbe essere un’esperienza di maggiore liberazione, come sembrano sapere quei  ‘barboni’ che dopo anni di vita libera rifiutano di rientrare nei ranghi o come sanno coloro che questa condizione l’hanno scelta volontariamente, ad esempio i monaci buddhisti della Foresta. Oppure potrebbe essere un’esperienza devastante e degradante se la mente non fosse libera e accettante, legata al desiderio e al vizio.

Il denaro, i soldi, servono per vivere,  pure non ce li possiamo portare dietro. In effetti sono solo foglietti di carta. Con questa frase mi consolai quando anni fa persi per la strada (sic) diecimila euro! Mi sono detto che il vicino di casa (un altro, non il precedente) che rifece la camera dei figli probabilmente ne avrà tratto un certo vantaggio. Quest’affare di perdere dei soldi sembra una costante nella mia vita. Anche di recente mi è capitato che in un certo affare confuso una somma analoga sia sparita. Proprio apparentemente sparita nel nulla. Ho individuato i passi per recuperarla e li sto facendo, ma mi dico che anche se non vi riuscissi, bene, non sono nato con quei soldi come vestito e pazienza: sono solo foglietti di carta. L’importante è fare tutto il necessario, poi se una cosa non va non ci deve essere né rimpianto né attaccamento.

La meditazione è una via alla felicità ma si è felici non tanto con la realizzazione dei propri desideri, come pensano alcuni praticanti di un certo gruppo, quanto nell’avere meno desideri possibile. Se i nostri desideri sono scarsi, tutto quello che verrà sarà una fortuna e ci renderà più felici, come una benedizione; e se non verrà saremo sereni e felici ugualmente. E’ questo che negli ultimi decenni mi ha fatto pensare di essere fortunato. Non mi sono mai posto obiettivi, ho fatto solo le cose che dovevo fare. Ma spesso, proprio per questo, ho dato un’occhiata alla mia situazione e mi sono sentito fortunato. E felice. Poi ho avuto anche momenti di crisi o in cui le cose andavano male. Ma ciò non mi ha mai tirato giù.

Lessi un libro sulla meditazione, anni fa, intitolato, se ricordo bene, La Via della Felicità . Ecco, è questa la mia fortuna, l’aver trovato questa via, non dogmatica, non ideologica, non fideistica, basata sulla ragione come sul cuore. Senza adesione a niente, godendo del momento presente. Una via spoglia: niente dèi, né sedi da pagare (e di cui, quindi, preoccuparsi), né altari né incensi. La Liberazione della mente come scopo e come via.


Chiunque può partecipare liberamente alla meditazione del sabato (ore 15,30) a S. Andrea di Compito, via della Torre 9. Chiunque è il benvenuto. Corsi e intensivi sono gratuiti.



sabato 15 gennaio 2011

Noi e IL TUTTO


(Continuazione dal numero precedente)


Abbiamo visto come il fatto che ‘tutto questo esiste anziché no', il più vecchio quesito filosofico, sia effettivamente un antidoto contro la tendenza, tutta tipica dell'ego umano, di dare nomi all'indefinibile (ad es. il nome Dio) . Se si osserva che noi facciamo parte -e, sicuramente una parte minima- di tutto quello che conosciamo, noi stabiliamo un fatto puro e semplice, senza altre illazioni o concettualizzazioni. Questo serve, al meditatore, come una medicina contro la tendenza a concettualizzare, a dare nomi, a creare castelli mentali sull'esistenza o non esistenza di Dio. E' senz'altro un atto di pulizia mentale contro l'inquinamento concettuale che ha riempito la mente umana fin dai suoi primordi, radicato nel timore esistenziale dei fenomeni naturali e della morte nonché nel bisogno di protezione.
Stabilito questo TUTTO come medicina, chi ci garantisce però dal prendere anche questa totalità come un nuovo idolo, una sostituzione dell'Ente ‘tutto' all'ente ‘dio' , con tutte le sue caratteristiche? Come può esserci liberazione della mente se noi semplicemente ci asserviamo all'idolatria di un' entità cambiandole semplicemente il nome?
Si dirà: ma perché preoccuparsi tanto visto che si tratta solo di un nome? Proprio in base alla vacuità di sostanza reale che caratterizza un nome, perché preoccuparsene? Mentre questo da una parte è vero, dall'altra ci si può ricordare che anche le cose prive di sostanzialità reale possono avere efficacia. Non c'è niente di meno sostanziale di una firma ad esempio (basta una goccia d'acqua per stravolgerla o cancellarla) eppure essa ha efficacia: messa su un fogliettino di carta essa può fornirci (o toglierci) molto denaro. Non c'è niente di meno sostanziale di una parola ma a volte una sola parola ha causato un omicidio. Perciò noi distinguiamo fra vacuità ed efficacia.
Tornando al ‘tutto', che garanzia ho che questo tutto esista davvero? Io nella mia pratica meditativa uso molto l'immagine del tutto o dello spazio; ma che garanzia ho che tutto questo esista davvero e non sia una creazione della mia mente? Ricorderete il film ‘A Beautiful Mind' : in esso siamo trasportati nella storia di uno scienziato amercano degli anni cinquanta del secolo scorso, coinvolto in una storia di spie... arrivati ad un certo punto del film ci accorgiamo che tutti i personaggi più importanti della sua vita, a parte la moglie, sono creazioni della mente dello scienziato, questi cioè vive, parla e interagisce con questi fantocci mentali ritenendoli veri. E' davvero un film interessante, un film buddhista si potrebbe dire. Lo stesso tema appare in Matrix, in una forma diversa. Il Buddha, il più raffinato indagatore della mente di tutti i tempi, era ben consapevole di ciò. Egli era anche consapevole e contrario alla reificazione ( o ‘cosizzazione') dei concetti e consapevole dei pericoli sottili da essi creati. Anche a quel tempo correvano le dottrine e le definizioni più varie. Una di queste, guarda caso, era ‘il tutto'. Ma il Buddha era un empirista, cioè si basava non sulle creazioni della mente (come fa Platone che inventa un mondo delle idee dove si troverebbero gli archetipi delle cose reali) ma sulla base della realtà. E qual è questa realtà? Che l'unico mezzo valido di conoscenza è la visione analitica del rapporto fra i nostri sensi e gli oggetti. Questo rapporto è dinamico e verificabile. Non si può dire ad es. ‘il cane' come un dato a priori. Il cane esiste nella misura in cui viene percepito dall'occhio, dall'udito ecc. e quando questa informazione sensoriale viene elaborata dalla mente. Esiste cioè una specie di corridoio dinamico fra ciascuno dei nostri sensi e l'oggetto percepito. Se questi corridoi dinamici fra organi sensoriali e oggetti non esistessero, il cane semplicemente non esisterebbe (nel senso che non avremmo alcuna possibilità di conoscerne l'esistenza o meno, quindi sarebbe di fatto inesistente) . E' questo su cui il Buddha attirò sempre l'attenzione dei suoi discepoli. Egli insisteva sempre su "!'occhio e i suoi oggetti" , "l'orecchio e i suoi oggetti" e così via. Ed anche
rispetto al ‘tutto' egli pose l'accento sul fatto che l'unica maniera di conoscere questo ‘tutto' è NEL NOSTRO CORPO. Platone fa davvero una meschina figura in rapporto al pragmatismo del Buddha.
Perciò nel quarto libro del Samyukta Nikaya, egli si preoccupa di sfatare ogni visione assolutistica del ‘tutto' facendo ricorso ai sensi, al corpo.
"Monaci, vi insegnerò il tutto... Che cosa, monaci, è il tutto? L'occhio e le forme, l'orecchio e i suoni, il naso e gli odori, la lingua e il gusto, il corpo e gli oggetti tattili, la mente e i fenomeni mentali. Questo è chiamato il tutto."

Egli poi prosegue facendo notare che non vi può essere un altro ‘tutto' conoscibile distinto dalle sfere sensoriali.
"Se qualcuno, monaci, dovesse parlare così: ‘Avendo respinto questo ‘tutto', io renderò noto un altro ‘tutto' - quella sarebbe semplicemente una vuota vanteria da parte sua. Se egli fosse interrogato, egli non sarebbe in grado di rispondere e, inoltre, egli incorrerebbe in frustrazione. Per quale ragione? Perché, monaci, questo non sarebbe nella sua capacità"

Perciò possiamo usare il ‘tutto' come una medicina, un antidoto verso concetti ben più nocivi, ma dobbiamo essere consapevoli che l'unico tutto conoscibile è quello legato al rapporto dinamico-conoscitivo delle sfere sensoriali.
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Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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