mercoledì 19 settembre 2007

IL SILENZIO DI DIO, LA VACUITA’ DELLA METAFISICA

In questi giorni alcune persone hanno espresso la loro meraviglia perchè “io non credo a nulla” . In realtà questo non è esatto. Io sono profondamente religioso ma la mia religione potrebbe essere definita (come per il monaco Zen Dogen) un ‘realismo mistico’ .




E’ un atteggiamento religioso che parte dalla constatazione che viviamo in un mondo di concetti e parole e poiché tutto, anche la nostra mente, si esprime con concetti e parole, tutto è falsificabile e questo avviene perchè la nostra mente è condizionata dalle sue ‘predisposizioni’ (samskara ) , predisposizioni che ci vengono letteralmente inculcate fin dai primi giorni di vita e forse anche prima. Perciò tutti i concetti che diamo per scontati sono irrimediabilmente falsi o falsificabili e il mondo come lo vediamo è irrimediabilmente falso e illusorio. L’unico atteggiamento religioso che vedo possibile è quello di purificazione dalla concettualità: detto terra terra, di fare pulizia, di ripulire completamente la nostra stanza, lo scenario della nostra esperienza, dalle concettualizzazioni (che per farlo io usi concetti è una contraddizione più apparente che reale) .



Mi si accusa anche di usare la razionalità in un campo che non le sarebbe appropriato, quello della religiosità. In realtà sono esattamente gli appartenenti alle ‘religioni’ che tentano disperatamente di razionalizzare ciò che è irrazionalizzabile. Creano concetti e nomi per cose di cui dovremmo semplicemente tacere. Danno nomi a cose che non possono avere un nome, parlano di cose di cui semplicemente non si può dire nulla. Ad es. il fatto per cui c’è qualcosa invece che niente ha spinto questi ‘religiosi’ a dare le risposte più incredibili. Invece di tacere semplicemente su questo in quanto irrilevante per la nostra libertà, come fece ad es. il Buddha, hanno creato concetti su concetti (si veda ad es. il mito della creazione, come se qualcuno fosse stato là ad assistere), puntualmente smentiti dall’evoluzione dell’umanità. Parlano di amore divino, di un Dio personale, di una redenzione che sarebbe stata fatta da Gesù rispetto a un presunto ‘peccato originale’ e non riescono a vedere come la realtà, quello stesso reale che secondo loro sarebbe creato da un essere superiore, li smentisca.

Questo è apparente anche dal fatto che non uno solo dei loro concetti metafisico-religiosi può sopportare l’urto della ragione: un enorme castello di sabbia creato e alimentato da milioni di menti illuse, una costruzione che appare, per questo, talmente reale da essere divenuta parzialmente reale.

Ecco dunque, che la metafisica (la presunta scienza dell’oltre il mondo fisico) crea sostanza e significato. Crea sostanza stabile e assoluta [eterna quindi] (l’anima ad es., Dio ecc.) quando non si vede nel mondo nulla che non DIPENDA DA QUALCOS’ALTRO: questo mondo è dunque il mondo dell’instabilità e della dipendenza reciproca generale. Pretende di dare un senso alla storia quando questo non è riscontrabile; si veda ad es. il concetto della salvazione umana da parte di Gesù. Se questo è avvenuto, come sono stati possibili i campi di sterminio dove MILIONI di persone sono state torturate e annientate? In cosa si verifica, in cosa si realizzerebbe questa salvezza? (Questo, per inciso, è stato il punto di angoscia di molti mistici cristiani contemporanei, risolto con vari espedienti mentali e autoconsolatori) .

Il mondo è in effetti quello che è. E basta. Questo è il senso indicibile e allo stesso tempo meraviglioso. La realtà ultima è questa stanza dove scrivo, è la tastiera su cui scrivo, è la testa che mi ritrovo. Non se ne vedono altre. Forse esisteranno altre dimensioni dello spirito ma certamente anch’esse faranno parte del nostro universo. Se vogliono avere capacità di espressione dovranno basarsi ad es. su vari tipi di corporeità. Ma questo implica dipendenza, dipendere da.

So che qualcuno mi dirà: ma perché critichi la credenza in queste cose? La mia risposta è che viviamo in un mondo interconnesso dove quello che fa un altro o quello che faccio io interessano tutti. Tutti siamo reciprocamente dipendenti. E’ un fatto, questo sì accertato, che in questo mondo la sofferenza esiste. Esistono sofferenza fisica e mentale. Quest’ultima a volte è talmente potente da portare alla depressione, al suicidio ecc.; perciò non mi si dica che scrivere queste cose è ininfluente (naturalmente per chi ha voglia di leggerle e soprattutto di usarle come riflessione) . Nonostante quello che i ‘religiosi’ pensano, la metafisica, le costruzioni concettuali, costituiscono una fonte di ignoranza tale da FAR SOFFRIRE le persone. Essendo basate su forme di desiderio (ad es. il desiderio di Dio), queste forme concettuali creano una forte sofferenza quando si urtano contro una realtà di vacuità e di assenza. Questa stessa realtà di vacuità e assenza potrebbe essere la base della loro libertà. Poiché invece queste persone sono fortemente attaccate alle illusioni che hanno accettato acriticamente, cadono in quella cosìddetta buia notte dell’anima di cui molti parlano.

Da ‘La Nazione’ , Domenica 26 Agosto 2007:

A pochi anni dal decimo anniversario della morte, sono comparse alcune lettere, scritte di pugno da Madre Teresa di Calcutta che rivelano un’incredibile e sconcertante crisi di fede che la suora, beatificata nel 2003, avrebbe sofferto per più di 40 anni....Nelle lettere rivela come da Dio si è sentita abbandonata, fin dall’inizio delle sue grandi opere di carità, che pure la portarono al Premio Nobel per la pace nel 1979, oltre a una beatificazione record dopo la sua morte nel 1997, a 87 anni.


Poco dopo aver cominciato i suoi primi lavori missionari a Calcutta, nel 1948, la suora - nata a Skopje da genitori albanesi - scrive:

Dov’è la mia fede? Anche dentro nel mio più profondo non c’è che vuoto e oscurità. Se c’è Dio per favore, aiutatemi” .



In un’altra occasione la beata scrive:




“ Sento solo un fortissimo dolore per aver perduto, per non essere voluta da Dio, per Dio che non è Dio, per Dio che non esiste veramente” :



In un’altra lettera, Madre Teresa parla di come il suo sorriso solare non è altro, per lei, che “ una maschera” , “ un velo”, che cela la sua voragine di fede, e si dà addirittura dell’”ipocrita” :




“ Il sorriso è una maschera, un mantello che copre tutto" - scrive la suora - "Ho parlato come se il mio stesso cuore fosse innamorato di Dio, pieno di un amore tenero e personale. Se tu fossi stato lì, avresti detto: “ Che ipocrita!”.


La lettera, come diverse altre, è indirizzata al suo amico e confessore spirituale, don Michael Van Der Peet, a cui Madre Teresa scrive anche:




“ Gesù porta un amore speciale per te. Per me, invece, il silenzio e il vuoto sono così enormi che io guardo e non vedo, ascolto ma non sento. La lingua si muove (in preghiera) ma non parla”...



Una volta, quando le fu chiesto da dove traesse la sua straordinaria forza morale, Madre Teresa aveva risposto:




“ E’ semplice: prego. Attraverso la preghiera divento una cosa sola nell’amore di Cristo. PregarLo   è  amarLo” .



Ma dentro, nel profondo della sua anima, la suora soffriva e combatteva per riconquistare una fede messa a dura prova dagli orrori quotidiani che la circondavano, come dimostrano queste straordinarie lettere che Madre Teresa, in realtà, voleva fossero distrutte.




Per che cosa mi tormento?” si chiede la futura beata in uno scritto del 1956. “ Se non c’è alcun Dio - è la sua disarmante risposta - non c’è neppure l’anima e allora anche tu, Gesù, non sei vero” .

Quasi un atto d’accusa sancito da un’altra struggente confessione:




“ Io non ho alcuna fede, nessun amore, nessuno zelo” .


(Da Repubblica, stesso giorno).


Meditazione ogni sabato a S. Andrea di Compito, via della Torre n. 9, dalle ore 15,30 alle 16,10 circa con un seguito di condivisione. La partecipazione è libera e gratuita. Tel. 0583977051

La morte all'orizzonte

Passati i cinquanta, la morte comincia ad apparire all’orizzonte, come una luna che spunta piano piano. Già ha fatto delle incursioni nella nostra vita e ci ha portato via amici e familiari ma è come se ora ella fosse là fissa che ci guarda. La vita ci appare come un territorio dove qua e là sono disseminate “cose” e più in là come vi fosse il suo sguardo.

Che cosa proviamo in proposito?Sgomento? Timore? Speranza in un mondo oltre? Speranza di rinascere? L’oblio?

Sono tutte concezioni mentali, inclusa la morte stessa. C’è davvero un confine tra la vita e la morte o moriamo e rinasciamo ad ogni istante senza accorgercene? Mi viene in mente la storiella raccontata da Anthony de Mello (in Messaggio per un’Aquila che si crede un pollo, p.143) : “Per es. io sono Indiano. Ora, supponiamo che io sia prigioniero di guerra in Pakistan e i Pakistani mi dicano: ‘ Bene, oggi ti porteremo alla frontiera per farti dare un’occhiata al tuo paese’ . Così mi portano alla frontiera, io guardo al di là del confine e penso: ‘Oh, il mio paese, il mio magnifico paese. Vedo dei villaggi, degli alberi, delle colline. Questo è il mio paese natale!’ Dopo un po’ una delle guardie mi dice: ‘ Scusa, abbiamo fatto un errore. Dobbiamo spostarci di altre dieci miglia” –

Dunque, conclude De Mello, a cosa stavo reagendo? A un nome. “ In effetti non esistono né confini né frontiere.: sono stati posti in essere dalla mente umana” . Per inciso si sente che De Mello ha praticato Vipassana (con Goenka) e per questo la Chiesa ufficiale lo guarda un po’ di traverso, così come faceva verso il 1300 verso Meister Eckhart – che si scampò il rogo solo per la fortuna di essere morto prima.

Tornando alle concezioni sulla vita e sulla morte… perché stabilire questo confine? Non c’è nessuna separazione fra esse. Il nostro essere che ci sembra così stabile è teatro di un continuo rimpiazzarsi di cellule che muoiono e vengono sostituite da altre. Siamo dunque gli stessi di dieci anni fa? Né gli stessi né differenti. Siamo un fluire di avvenimenti fisici e mentali che in miliardi di anni è riuscito ad autoorganizzarsi in relazione ad un fluire di altri innumerevoli fenomeni che formano l’ambiente intorno a noi. Le cose interagiscono.

Certo che dal punto di vista relativo di questo essere la morte “esiste”: questo aggregato di aggregati psico-fisici verrà un giorno o l’altro a finire. Ma mentre da un punto di vista relativo il “passare via” esiste, dal punto di vista della realtà assoluta non esiste niente del genere e tanto meno un confine tra vita e morte. Se le cose avessero sostanza stabile non ci sarebbe un confine tra un fenomeno chiamato vivere e un fenomeno chiamato morire. Tutto vivrebbe e basta e tutto sarebbe ovviamente immobile. Se le cose invece non hanno sostanza stabile, ugualmente e proprio per questo non si può stabilire un simile confine. Non in senso ultimo per lo meno: si tratta solo di una modificazione da un modo di essere fenomenico in un altro. Si dirà che questi sono sofismi intellettuali. E’ vero. Ma forse non regoliamo la nostra vita in base alle nostre concezioni mentali? Si veda la storiella sopra citata del confine.

Chi pratica la visione profonda si sposta continuamente fra i due livelli di verità, quella assoluta e quella relativa. Gli Illuminati parlano normalmente dal livello di realtà assoluta. Per quello le risposte degli antichi maestri Zen, i famosi koan , erano incomprensibili. Essi o parlavano dal livello di realtà ultima o tentavano di trasportarvi a quel livello. In entrambi i casi quello che dicevano appariva privo di senso alla mente comune. Questo perché ci basiamo su concetti e parole. Si può sentire dire a volte che il nostro è un mondo basato sulla mente ma occorrerebbe aggiungere che è anche un mondo organizzato dalla parola. Questo è molto profondo se ci si riflette. Sembra una banalità ma è molto, molto profondo.

Così, tornando alla “morte all’orizzonte”, non c’è realmente nulla del genere. Quello che c’è davvero è solo un concetto, dettato da consapevolezze e attaccamenti.

Mescolando i due livelli (assoluto e relativo) , in questo territorio di mezzo che è il ‘mio’ vivere, devo dire che non sento paura del fenomeno ‘morire’. L’idea che ho di me stesso e degli altri è simile a quella di un fiore. Un fiore sorge la mattina e forse già a sera appassisce e muore. E’ un fenomeno. Ci si lamenta della morte di un fiore? Ci può dispiacere un po’ ma la vita continua indifferente. Anche noi siamo fenomeni , complessi ma sia pure fenomeni. Nel quadro della vita la nostra comparsa, durata e scomparsa è altrettanto importante e preziosa quanto quella di un fiore e altrettanto poco importante.

Lo stesso vale per le persone care. E’ nella natura di questo fenomeno complesso che chiamiamo essere umano (o animale) provare sentimenti di attaccamento e quindi di conseguenza amore e dolore. Possiamo provarli del tutto intensamente ma se riusciamo a staccarci, a porci come osservatori, a pensare al paragone del fiore, potremo avere un senso di quello che accade, a cogliere la relatività anche del nostro dolore. In sostanza e ancora una volta, dobbiamo ACCETTARE, anche perché è questa la realtà e non ci possiamo fare nulla. Possiamo trovare conforto nei vari concetti che la mente umana ci ha posto a disposizione nei secoli ma sono solo concetti. “ Caro Belluomini” mi disse il Direttore Didattico di Camaiore quando spiegai che non intendevo insegnare anche Religione, “ la Religione è una grande consolazione!” . Appunto. Nei secoli l’uomo ha sviluppato tanti modi di consolarsi, di provare meno terrore o meno dolore. Ma hanno a che fare con la verità? Ognuno risponda come crede.

Occorre accettare il dolore, la perdita, la sofferenza come naturali, intrinseci alla nostra realtà. Nessuno può sfuggirvi, nemmeno i ricchi (“Anche i ricchi piangono”, titolo significativo di una vecchia serie televisiva) . Il Buddha, l’Illuminato, enumerò questa come la prima verità.
Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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