Passati i cinquanta, la morte comincia ad apparire all’orizzonte, come una luna che spunta piano piano. Già ha fatto delle incursioni nella nostra vita e ci ha portato via amici e familiari ma è come se ora ella fosse là fissa che ci guarda. La vita ci appare come un territorio dove qua e là sono disseminate “cose” e più in là come vi fosse il suo sguardo.
Che cosa proviamo in proposito?Sgomento? Timore? Speranza in un mondo oltre? Speranza di rinascere? L’oblio?
Sono tutte concezioni mentali, inclusa la morte stessa. C’è davvero un confine tra la vita e la morte o moriamo e rinasciamo ad ogni istante senza accorgercene? Mi viene in mente la storiella raccontata da Anthony de Mello (in Messaggio per un’Aquila che si crede un pollo, p.143) : “Per es. io sono Indiano. Ora, supponiamo che io sia prigioniero di guerra in Pakistan e i Pakistani mi dicano: ‘ Bene, oggi ti porteremo alla frontiera per farti dare un’occhiata al tuo paese’ . Così mi portano alla frontiera, io guardo al di là del confine e penso: ‘Oh, il mio paese, il mio magnifico paese. Vedo dei villaggi, degli alberi, delle colline. Questo è il mio paese natale!’ Dopo un po’ una delle guardie mi dice: ‘ Scusa, abbiamo fatto un errore. Dobbiamo spostarci di altre dieci miglia” –
Dunque, conclude De Mello, a cosa stavo reagendo? A un nome. “ In effetti non esistono né confini né frontiere.: sono stati posti in essere dalla mente umana” . Per inciso si sente che De Mello ha praticato Vipassana (con Goenka) e per questo la Chiesa ufficiale lo guarda un po’ di traverso, così come faceva verso il 1300 verso Meister Eckhart – che si scampò il rogo solo per la fortuna di essere morto prima.
Tornando alle concezioni sulla vita e sulla morte… perché stabilire questo confine? Non c’è nessuna separazione fra esse. Il nostro essere che ci sembra così stabile è teatro di un continuo rimpiazzarsi di cellule che muoiono e vengono sostituite da altre. Siamo dunque gli stessi di dieci anni fa? Né gli stessi né differenti. Siamo un fluire di avvenimenti fisici e mentali che in miliardi di anni è riuscito ad autoorganizzarsi in relazione ad un fluire di altri innumerevoli fenomeni che formano l’ambiente intorno a noi. Le cose interagiscono.
Certo che dal punto di vista relativo di questo essere la morte “esiste”: questo aggregato di aggregati psico-fisici verrà un giorno o l’altro a finire. Ma mentre da un punto di vista relativo il “passare via” esiste, dal punto di vista della realtà assoluta non esiste niente del genere e tanto meno un confine tra vita e morte. Se le cose avessero sostanza stabile non ci sarebbe un confine tra un fenomeno chiamato vivere e un fenomeno chiamato morire. Tutto vivrebbe e basta e tutto sarebbe ovviamente immobile. Se le cose invece non hanno sostanza stabile, ugualmente e proprio per questo non si può stabilire un simile confine. Non in senso ultimo per lo meno: si tratta solo di una modificazione da un modo di essere fenomenico in un altro. Si dirà che questi sono sofismi intellettuali. E’ vero. Ma forse non regoliamo la nostra vita in base alle nostre concezioni mentali? Si veda la storiella sopra citata del confine.
Chi pratica la visione profonda si sposta continuamente fra i due livelli di verità, quella assoluta e quella relativa. Gli Illuminati parlano normalmente dal livello di realtà assoluta. Per quello le risposte degli antichi maestri Zen, i famosi koan , erano incomprensibili. Essi o parlavano dal livello di realtà ultima o tentavano di trasportarvi a quel livello. In entrambi i casi quello che dicevano appariva privo di senso alla mente comune. Questo perché ci basiamo su concetti e parole. Si può sentire dire a volte che il nostro è un mondo basato sulla mente ma occorrerebbe aggiungere che è anche un mondo organizzato dalla parola. Questo è molto profondo se ci si riflette. Sembra una banalità ma è molto, molto profondo.
Così, tornando alla “morte all’orizzonte”, non c’è realmente nulla del genere. Quello che c’è davvero è solo un concetto, dettato da consapevolezze e attaccamenti.
Mescolando i due livelli (assoluto e relativo) , in questo territorio di mezzo che è il ‘mio’ vivere, devo dire che non sento paura del fenomeno ‘morire’. L’idea che ho di me stesso e degli altri è simile a quella di un fiore. Un fiore sorge la mattina e forse già a sera appassisce e muore. E’ un fenomeno. Ci si lamenta della morte di un fiore? Ci può dispiacere un po’ ma la vita continua indifferente. Anche noi siamo fenomeni , complessi ma sia pure fenomeni. Nel quadro della vita la nostra comparsa, durata e scomparsa è altrettanto importante e preziosa quanto quella di un fiore e altrettanto poco importante.
Lo stesso vale per le persone care. E’ nella natura di questo fenomeno complesso che chiamiamo essere umano (o animale) provare sentimenti di attaccamento e quindi di conseguenza amore e dolore. Possiamo provarli del tutto intensamente ma se riusciamo a staccarci, a porci come osservatori, a pensare al paragone del fiore, potremo avere un senso di quello che accade, a cogliere la relatività anche del nostro dolore. In sostanza e ancora una volta, dobbiamo ACCETTARE, anche perché è questa la realtà e non ci possiamo fare nulla. Possiamo trovare conforto nei vari concetti che la mente umana ci ha posto a disposizione nei secoli ma sono solo concetti. “ Caro Belluomini” mi disse il Direttore Didattico di Camaiore quando spiegai che non intendevo insegnare anche Religione, “ la Religione è una grande consolazione!” . Appunto. Nei secoli l’uomo ha sviluppato tanti modi di consolarsi, di provare meno terrore o meno dolore. Ma hanno a che fare con la verità? Ognuno risponda come crede.
Occorre accettare il dolore, la perdita, la sofferenza come naturali, intrinseci alla nostra realtà. Nessuno può sfuggirvi, nemmeno i ricchi (“Anche i ricchi piangono”, titolo significativo di una vecchia serie televisiva) . Il Buddha, l’Illuminato, enumerò questa come la prima verità.
mercoledì 19 settembre 2007
La morte all'orizzonte
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