mercoledì 19 dicembre 2007

Un Maestro interessante: Huangbo

Riguardo alla pratica meditativa ho fatto altre volte l’esempio di uno che sta immerso in un lago e grida: “Ho sete! Datemi da bere”.

Con questo voglio dire e più volte ho ripetuto che è già tutto qui quello che ci serve, siamo già immersi nella realtà ultima, è inutile che andiamo a cercarla chissà dove. Un mio amico, Iano, mi ha scritto di recente un commento fatto di domande rispetto all’ultimo numero della newsletter. Potete trovare il testo della news intervallato dalle sue domande critiche sul forum di questo sito.

In particolare c’era una sua domanda a cui è stata data una certa risposta che forse qualcuno troverà inconsueta.

IANO: " Ma la domanda che mi viene di farti è, come sono le cose e che cosa sono le cose?
Cosa vuol dire trascendere le cose?"

Loriano: "Poiché mi sembra di ricordare che sei credente, proverò a risponderti con termini evangelici. Trascendere le cose vuol dire trovare qui in terra il regno dei Cieli. Non quindi in un'altra dimensione ma esattamente qui.
In quanto alle "cose" non posso risponderti in termini evangelici ma ti dirò che pur usando questo termine lo riconosco come improprio.

Non ci sono cose. Ci sono fenomeni, tutti passeggeri anche se hanno continuità nel loro divenire. Tutti questi fenomeni dipendono da altri fenomeni e così via. Questa è la vacuità, la mancanza di una sostanza stabile inerente alle "cose" .

Ritorno a "trovare qui in terra il regno dei cieli" . Accettare la transitorietà di tutte le cose è pacificarsi con il reale così com'è, giusto tale e quale. Questo è trovare il regno dei Cieli. Ma ragionare così significa far cessare ogni dualismo. Né bene né male, né bello né brutto, né positivo né negativo. In termini convenzionali, dualistici, noi tutti usiamo questa terminologia. Riconciliarsi con il mondo ed accettarlo com'è significa invece non riconoscerla [la terminologia] che in termini provvisori. Il regno dei Cieli non ha nè bene nè male.”

Ecco, questo è un esempio di quello che volevo dire all’inizio con la parabola dell’assetato. E questo risponde in parte anche ad un’altra questione, non posta da Iano ma che comunque appare qua e là nei discorsi della gente, cioè la validità di una esperienza di un praticante.

Praticando la meditazione si hanno talvolta esperienze di vario tipo, inclusi fenomeni di “risveglio temporaneo” . Non è una novità. Nel Canone Pali si parla di saamaykaa cetovimutti cioè “temporanea liberazione della mente” e si riporta il caso di Godikha che per sei volte raggiunse questa liberazione per poi decaderne; alla settima volta, mentre si trovava nello stato di liberato, pose fine alla propria vita evitando così di ricadere fuori dalla Liberazione.

Ora credo che nessuno di noi voglia giungere a questo estremo. Ma ho raccontato questo episodio per fare capire che questi stati non sono infrequenti per chi medita. Mentre la tradizione Theravada è piuttosto avara nel raccontarli, essi sono frequenti nella letteratura Chan/Zen. Il problema di queste esperienze è di non reificarle, di non farne un feticcio ma di lasciarle andare, per importanti che ci sembrino.

Il mio orientamento iniziale quando ho cominciato a meditare era strettamente (direi quasi: settariamente) Theravada che è, in effetti, la più antica fra le tradizioni attualmente presenti ma, con l’andare del tempo e dopo certe esperienze, mi sono aperto anche verso altre correnti di pensiero; così la tradizione Madhyamika di Nagarjuna e la tradizione del Chan o Zen (Chan è la forma originaria cinese, Zen quella giapponese: entrambe le forme derivano da Dhyana/Jhana, “meditazione profonda” ) .

Ci sono nello Zen alcune impostazioni teoriche con cui non concordo (ad es. una certa sostanzializzazione della Mente che sembra appunto creare una sostanza là dove non ne appare il bisogno) ma l’impostazione meditativa è molto simile, per certi versi, a quella più antica, ad es. ha somiglianze con quella delle tre Porte della Liberazione e cioè la vacuità, il non-segno e la non-direzionalità.

E’ una bella liberazione non essere strettamente legato ad una tradizione. Puoi indagare, puoi cercare, non hai i limiti che una tradizione sempre pone. Si dice che il Dharma sia come un diamante con 84000 sfaccettature. Ognuno può guardare dalla sfaccettatura che preferisce, arriverà sempre verso il centro.

Un maestro antico che trovo molto interessante è il maestro Chan Huangbo (vissuto intorno all’850 d.C. e rappresentante della tradizione Chan di Hongzhou). Questo maestro avrebbe sconcertato più di un ‘credente’ buddhista. E’ mia intenzione pubblicare un articolo su di lui su “Emptiness” ma nel frattempo voglio citare qualche suo passaggio. Da una parte egli sostanzializza un po’ troppo, a mio parere, il concetto di “Mente” , facendone in qualche modo un’entità sostanziale ma per quanto riguarda l’aspetto meditativo mi sembra un maestro eccellente che ruppe con un assetto tradizionale avendo il coraggio di portare avanti idee nuove, rivoluzionarie.

Secondo Huangbo poiché noi risiediamo già nella realtà ultima (egli la chiama la Via, il Dao) , “non c’è niente che dobbiamo fare” : L’illuminazione è perciò semplicemente il risvegliarsi a questo fatto. “ Risvegliandovi improvvisamente voi arrivate a capire che la vostra mente è il Buddha, che non c’è niente da essere raggiunto né alcun atto da compiere. Questa è la vera via, la via del Buddha” .

Egli quindi svolge una critica verso la pratica concepita come una serie di stadi da raggiungere. Potremmo dire che ha una visione olistica ed immanente della illuminazione (un po’ come lo stesso Dogen, secoli dopo) . “Il Buddha reale – egli asserisce- non è un Buddha a tappe” . Se la propria mente è già nella realtà ultima allora le pratiche religiose ordinarie che presuppongono una separazione dualistica fra se stesso e lo scopo della pratica, di fatto ostacoleranno il risveglio. Perciò Huangbo chiede che si silenzino tutti i pensieri che creano una separazione fra la mente e la realtà. “ La (vera) mente non è una mente di pensiero concettuale... Se eliminate il pensiero concettuale ogni cosa sarà realizzata” .

Huangbo portò l’idea di non-attaccamento alle sue più logiche conseguenze. Come scrive Dale S. Wright, cercare il Nirvana era considerato la via alla salvazione. Di fatto questo nel tempo aveva portato a creare una “cosa” del Nirvana stesso (ad es. nell’Abhidharma) finché qualcuno (Nagarjuna fra i primi) cominciò a rendersi conto che questa stessa ricerca correva sul sentiero del desiderio di un oggetto che tale non era (il Nirvana) .

Perciò secondo Huangbo la liberazione è il risveglio dal desiderio di cercare di essere risvegliato (al proposito si leggano “L’altro lato della collina” ed anche “Esperienze 3” sul sito Emptiness... – per inciso “Esperienze 2 “ verrà pubblicato quando possibile) .

L’alternativa al “cercare” è vivere spontaneamente senza attaccamento.
Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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