lunedì 19 dicembre 2005

Riconciliarsi con il mondo-così com’è - 2

Meditazione e salute, cancro ecc.




Dopo aver scritto la prima parte di “
Riconciliarsi con il mondo”, un amico mi ha fatto conoscere le teorie e i libri del Dottor Hamer. Perché ne parlo qui? Perché c’è connessione con il discorso di riconciliarsi con le cose così come sono, evitando il dualismo del Bene e del Male, del Buono e del Cattivo.

Questo Dott. Hamer è il padre di quel giovane che il nostro virtuale reggente (se ci fosse la monarchia) Vittorio Emanuele di Savoia colpì con una fucilata durante una lite per futili motivi il 16 agosto del 1978. Ricordo il caso. Il padre, l’oncologo tedesco Ryke Geerd Hamer, dopo aver assistito all’agonia ed alla morte del figlio, dopo qualche mese sviluppò un tumore testicolare.

Da qui nacque la sua ricerca sulle cause del tumore che lo portò a sviluppare una teoria del tutto eterodossa rispetto alla medicina ufficiale tanto che è stato espulso dall’Ordine dei Medici, gli è stato proibito di divulgare la sua Nuova Medicina ed addirittura è stato arrestato. Tutt’ora, alla splendida età di 70 anni, si trova in prigione in Francia e gli si chiede di “abiurare”.


Benché alcune sue affermazioni (come quella di un complotto di una setta sionista contro di lui) facciano pensare a farneticazioni- ma poi chi lo sa realmente?- occorre dire che le sue tesi escono dal solito bla-bla della medicina olistica per la possibilità di essere controllate scientificamente e precisamente con l’uso della TAC al cervello. Non posso che rimandare a una ricerca su Internet o sui libri chi fosse interessato; ma il nucleo del suo discorso merita di essere riportato.


Stringendo-stringendo in sostanza egli asserisce che tutte le forme tumorali derivano da un conflitto improvviso, inaspettato, che “prende in contropiede” le persone e che viene vissuto in forma irrisolvibile e in isolamento (non si tratta degli ordinari conflitti quotidiani che siamo preparati a trattare e che in genere risolviamo in qualche maniera) . Egli dice anche che se il conflitto viene risolto la natura stessa mette in atto dei meccanismi di riparazione che vengono scambiati, dai dottori, come espansione del tumore e vengono operati con un grave danno per la salute del paziente.


Dice anche che questo spiega i tumori anche negli animali e in parte nelle piante e critica la visione biblica del mondo che ha portato a considerare gli animali come cose prive di “anima” : se lasciamo andare i dogmi ebraico-cristiani e osserviamo empiricamente e senza pregiudizi le cose possiamo renderci conto che gli animali sono esseri intelligenti come noi che vivono i conflitti alla nostra stessa maniera. Ovviamente Hamer è del tutto contrario alla crudele e inutile sperimentazione animale.



Riflettendo su questo ho colto subito le connessioni con la necessità di accettare il mondo così com’è. Solo accettando e comprendendo il mondo e le sue necessità possiamo superare il conflitto, liberarci dal conflitto.

Il mondo può essere accettato così com’è però solo se noi riusciamo a liberarci dei concetti dualistici (ad es. il Bene e il Male intesi come entità, discorso caro a ogni fondamentalista – ancora una volta Bush e Bin Laden insieme) e solo se incominciamo a vedere con mente libera che viviamo tutti, semplicemente, invischiati e interconnessi nella rete delle nostre intenzioni e azioni, nella rete della legge di causa-effetto; ma possiamo farlo solo se riusciamo a vedere che ciò che muove noi stessi e di conseguenza il mondo è la nostra credenza nel sé assoluto e nei concetti assolutistici che ne derivano.


Attaccati al sé come siamo, abbiamo bisogno di crederlo assoluto e di conseguenza creiamo una rete di strutture metafisiche assolute. Per darci certezza, per superare lo sgomento che l’umanità ha sempre provato. Insomma abbiamo creato prima gli spiriti, poi gli dei e infine un dio unico e geloso di questa sua unicità al punto di chiedere di versare il proprio sangue per lui (i martiri) e magari quello degli altri (crociate varie, profeti ecc.) (vittima come sono anch’io di queste strutture metafisiche, mi aspetto di essere fulminato da un momento all’altro) .


Dicevo di recente, a tavola con i miei, che c’è solo questo grande mistero del perché il mondo c’è invece che no, ma che ogni tentativo di dare un nome a questo mistero è falsificante, misero e soggetto alla più elementare critica di un bambino (se c’è qualcuno che crea, chi ha creato il creatore? E se c’è un essere perfetto, che bisogno aveva di creare? Creare implica una mancanza, mancanza implica imperfezione) . Invece di affidarci alle nostre creature, possiamo invece evidenziare quello che ci muove e muove davvero il mondo: egocentrismo, egoismo, assolutismo, desiderio, avversione...


Possiamo lasciare andare le nostre concettualizzazioni e vedere ciò che c’è davvero.



Nella meditazione di visione profonda non cerchiamo di ottenere cose. Non cerchiamo affatto di arricchirci, di avere corpi astrali, fiammelle, aloni o aureole. Siamo molto più poveri, tendiamo a scarnificare, a impoverire. Per questo così pochi la praticano. Stare lì a imparare a non desiderare niente di particolare non è certo la più gratificante delle imprese. Così arrivano persone attratte dalla “Meditazione” con la M maiuscola, entusiaste, pronte a scavalcare mari e monti... e la volta dopo non ci sono più. E’ così, non c’è problema, si può solo provare una gentile ironia.

Capitano anche cose straordinarie, poteri più o meno temporanei, nella meditazione, ma guai a lasciarsene attrarre. Se ne resta catturati, l’ego ingigantisce. Guaritori, astrologi, lettori del futuro ecc., ovunque ci sono dei Milingo. Sono sottoprodotti della pratica. Nè li avversiamo né li vogliamo.

Allo stesso modo, non è che pratichiamo per ottenere la salute (detto fra noi, ad un certo punto non si sa più nemmeno perché pratichiamo, pratichiamo e basta) , anche questa, forse, è un sottoprodotto della pratica. Nè l’avversiamo né la desideriamo ma con una risata possiamo dire che se c’è è meglio.

Una cosa però è certa. Tutti ci dovremo ammalare, deperire e morire.

Ma è probabile (probabile, non certo) che una pratica che ti porta ad accettare e quindi a comprendere e quindi sedare il conflitto sia positiva sotto questo aspetto. E che ti permetta anche di aiutare altri.

Per questo è importante, a mio parere, durante la pratica, osservare sensazioni, pensieri ecc. ma anche gli “stati d’animo” . Credo che quasi tutti ci portiamo dentro dei conflitti. Siccome qualche conflitto ce l’ho anch’io, vi dico come lo tratto. Mi metto in meditazione seduta, osservo il respiro, le sensazioni, osservo lo scorrere dei pensieri come fossero titoli di un film... poi osservo quel determinato stato d’animo e prendo rifugio mentalmente nella “vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti” ed in particolare osservo come vuoto, transitorio, privo di sostanza reale quel determinato conflitto o stato d’animo.

Sapere che anch’esso non ha sostanza reale, che anch’esso fa parte del trascorrere dell’impermanenza, mi dà pace. Mi distacco da esso e distaccandomi lo vedo, ne apprezzo la transitorietà e così mi pacifico. Ma ho bisogno di sedermi per fare questo distacco. Se siamo sempre in movimento come possiamo avere consapevolezza, visione, distacco e pace?


Mancanza di controllo

Quello che possiamo conoscere realmente del mondo, al di l delle ideologie religiose costruite sulla base delle nostre predisposizioni mentali, basato sulla nostra esperienza. Sulla base di questa vediamo che tutto si risolve in insoddisfazione, sofferenza. Abbiamo, ad es., una bella situazione e con consapevolezza ci rendiamo conto che siamo felici, abbiamo tutto per essere felici( in verit anche questa consapevolezza rara: la maggior parte delle persone tende a lamentarsi in ogni occasione) ed ecco che tutta un tratto questa situazione cambia, si trasforma, crolla, ci frana sotto i piedi. Tentando di afferrare quello che possiamo, ci accorgiamo di soffrire perch le cose non vanno come vorremmo. Questa un'esperienza frustrante che senz'altro abbiamo sperimentato tutti. Ma da cosa viene tutto questo soffrire? Ancora pi importante: perch questo soffrire si trasforma in depressione, talvolta cronica e la gente deve ricorrere ai veleni della chimica moderna per curarsi?

Partiamo dalla depressione. Perchè ci deprimiamo? Non lo facciamo forse perch tutto ci sfugge sotto i piedi, perch sentiamo di non avere alcun controllo della nostra vita? Facciamoci caso: questa la verit che vogliamo tenere pi nascosta, che celiamo agli altri vergognandocene, che celiamo ai nostri figli per paura che vedano la vita per quello che : una massa di insoddisfazione intrecciata a tutti gli altri momenti del vivere, inscindibile da essi. Bisogna dire che lideologia del secolo, quella del successo, dello stare bene, del giovanilismo, del vincitore, non aiuta. Di fronte al continuo bombardamento di immagini di persone felici perch hanno quel telefonino o il vestito firmato, stare male decisamente fuori moda. Tutti sono felici meno noi? Ci sentiamo come degli straccioni in un mondo ricco ma questo gravissimo, non va mostrato, pena lemarginazione: chi vuole stare con una persona depressa? Cosa facciamo allora? Invece di affrontare apertamente questa massa di insoddisfazione e di sofferenza, la nascondiamo sotto il tappeto, adottiamo qualche maschera, oppure ci lamentiamo:

perchè proprio a me?

Le stesse ideologie religiose o new-age ci servono poco: possiamo cercare di vedere tutto rosa, tutto positivo, pensare a qualche disegno misterioso che permea la storia umana e che ci impone di soffrire per poi ricevere un premio, non fossaltro unevoluzione (che per, possiamo osservare, non sempre avviene: ho anzi molti esempi di involuzione sotto gli occhi); possiamo darci a comprare questo e quello e riceverne una misera soddisfazione momentanea, possiamo metterci a fumare furiosamente, a bere o a drogarci. Per inciso vedo spesso, nella sigaretta accesa nervosamente, un esempio di fuga dalla situazione spiacevole, una fuga che diventa unabitudine addormentante col tempo e che sar poi a sua volta fonte non pi di piacere ma di estreme sofferenze.

Mi chiedo allora: invece di nascondere sotto il tappeto tutta la miseria del vivere, perch non trovare il coraggio di guardarla in faccia, di indagarla, di servirsene per vedere le cose come sono, cio appunto una massa di insoddisfazione? Perch non ammettere francamente, con noi e con gli altri, che sì, in effetti l'esistenza implica la sofferenza, tanto più gravemente perchè non vi abbiamo alcun controllo?! Lasciamo da parte tutti gli anestetici che usiamo normalmente (sport, mode, fumo, droghe, politica, religione ecc.) e usiamo la sofferenza per scardinare la sofferenza. Ma come possiamo sconfiggerla se non sappiamo da cosa viene? Se non la indaghiamo? Perchè si soffre? L'origine della sofferenza è il fatto che il nostro desiderare non soddisfatto; oppure che, una volta soddisfatto, l'abitudine al desiderare spinge a cercare qualcosaltro, in una corsa infinita, oppure ancora, che una volta soddisfatto, il sè si ritrova con una situazione che d'improvviso cambia, senza il suo volere! Si soffre, in sostanza, perchè ogni cosa dipende da ogni altra cosa ed ogni altra cosa dipende da ogni altra cosa e cos via allinfinito; non c un centro, non c stabilit da nessuna parte, non c nulla di sostanziale. DIPENDENDO DA ALTRE COSE, OGNI COSA E ESTREMAMENTE INSTABILE, E SEMPRE SULLORLO DELLA MUTAZIONE, ANZI MUTA IN CONTINUAZIONE. E come un gigantesco gioco del domino, dove il crollo di una carta modifica lassetto del tutto. Perci appare come il desiderare sia la fonte del soffrire: il desiderare fa sorgere lafferrare, lattaccarsi alle cose o situazioni, il creare lillusione di una loro sostanzialit, ma lattaccarsi vano poich ci a cui ci attacchiamo CONDIZIONATO da una serie di altri fattori fuori dal nostro controllo.

VIVIAMO SULLE SABBIE MOBILI. Ma se tutto dipende da tutto, se tutto perciò è instabile, se non c'è un un centro, è mai possibile che noi invece siamo stabili, un sè completo, eterno, indistruttibile (si noti che questo è il concetto di anima)? O non è forse il caso di pensare che anche il nostro sè, dipendendo da mille fattori, condizionato da mille fattori, sia sostanzialmente un fluire di vari elementi psico-fisicitenuti insieme dalla forza centrale delluniverso, il desiderare- ed in particolare il desiderare di esistere? Si rifletta e si indaghi su questo, non si accetti nessuna soluzione a priori ma ci si affidi appunto allindagine. In ci potr essere utile il cominciare a vedere le cose che accadono in noi- sensazioni fisiche, percezioni, il pensare- in maniera un po pi impersonale, cose se assistessimo ad un film: c una sensazione fisica , c una percezione, c un pensare. Solo distaccandosi un po possibile osservare le cose in maniera pi oggettiva, senza il condizionamento dellenostre propensioni. Allora cominceremo forse a vedere, a vedere realmente come si muovono le cose, come si condizionano reciprocamente e che non c bisogno

di soluzioni metafisiche per comprendere luniverso. Scopriremo forse che la sofferenza, linsoddisfazione, sorgono dal nostro continuo voler afferrare, il voler credere solido, duraturo ci che in realt non ha sostanza. Poich noi stessi non siamo duraturi, permanenti ma partecipiamo dellinsostanzialit di tutto luniverso, non sar forse il caso di smettere di voler afferrare, di imparare a lasciar-andare, a lasciarsi andare, a fluire con la mobile insostanzialit del tutto? Non sar forse in questo accettare, la via all'essere liberi? Si noti bene: essere liberi non significa essere indipendenti: perfino il Buddha, Gesù, l'idea di Dio ecc. sono dipendenti, non sorgono in maniera indipendente dall'interdipendenza generale dell'universo. Essere liberi vuol dire aver pacificato i tre condizionamenti del desiderare, dell'avversare e dell'illusione, per cui , senza più lo spettro del sè, si fluisce con le cose. Vuol dire stare nel mondo senza essere toccati dal mondo. Ma riuscite ad immaginare realmente una cosa del genere? Siete mai stati realmente liberi?

LIBRI:

Rune E. A. Johansson, La Psicologia del Nirvana, Ubaldini ed. ,L. 12000.

Nonostante la bruttezza del titolo questo è uno dei libri più interessanti che siano stati scritti sulla questione del Nibbana/nirvana; l’autore è un buon conoscitore della lingua antica pali ( ha scritto Pali Buddhist texts, An Introductory Reader and Grammar, Curzon, 1973) ed il testo è pieno di citazioni in pali e in traduzione. E’ un libro estremamente interessante.

Consiglierei anche : Nagarjuna, Le Stanze del Cammino di mezzo (Madhyamaka karika), Boringhieri. Lo faccio esitando per la sua difficoltà ma è un testo davvero importante.
Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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