venerdì 19 settembre 2008

Praticare la libertà

Incontro un mio conoscente che non vedo da anni. Siamo a Lucca, in via Roma, è il 12 agosto, le 11 di mattina. Scambio di saluti poi gli chiedo cosa faccia. “Mah, frequento il Villaggio Globale (a Bagni di Lucca), faccio delle attività lì”. ”Ah, il Villaggio Globale” dico io. Ed esprimo, un po’ radicalmente il mio pensiero non esattamente positivo su di esso.



Lui si trova un po’ in difficoltà. “ Capisco perché pensi così, ma fanno tante cose e di spiritualità se ne parla assai poco. Diciamo che fanno delle ‘cose di base’”.

Mah, che faranno ‘di base’?-penso tra me e me.”Come ti ho detto-riprendo- diffido di tutti coloro che fanno queste cose di ‘business’ spirituale (mi viene da pensare a tutti i seguaci di Osho, poiché anche questo mio conoscente lo era, ai cosiddetti Buddha-cafe che avevano messo su per un periodo, ai loro negozietti, ….). Gli chiedo se pratica ancora con Osho (o meglio con gli Oshani, visto che Osho è morto). “Andai un po’ in crisi su di lui dopo che ci fu quello scandalo” “ In Oregon?” “Sì, e per dieci anni non ho più praticato. Però proprio lassù, al Villaggio Globale, ho trovato un maestro, un suo seguace, fa delle cose interessanti….”

“Ma perché non pratichi semplicemente la libertà?”, gli chiedo, forse ancor più provocatorio. “Io-proseguo- personalmente non seguo più nessuno. Se lo scopo di ogni pratica spirituale è la libertà, perché non praticarla da subito? Perché legarsi a qualcuno o a qualcosa? In questo mi trovo d’accordo con Krishnamurti. Krishnamurti, lo trovo noioso da leggere, ma sicuramente questa cosa l’aveva capita”.

“Io” risponde “non credo che Krishnamurti avesse ragione. Per me raggiungere la libertà è uno scopo. Io non mi sento affatto libero. Praticare mi deve indirizzare verso quell'obiettivo”.

“Quindi ancora una volta si ripropone la separazione tra lo scopo e la Via. Ma perché non praticare direttamente la Via? E’ come la separazione, in affari militari, di strategia e tattica. Ma perché non praticare direttamente l’essere liberi?”

Ripensando in seguito a questa conversazione penso di averlo abbastanza sconvolto. Ma penso che sia giusto così. Con qualcuno ci vuole la dolcezza, con qualcuno occorre la scossa. So per esperienza che quando subiamo questi scossoni, il fatto resta nella mente, nell’inconscio, e comincia a lavorare. Un giorno si potrà essere grati a questo tipo di esperienza (spiacevole). Io so che ho imparato molto da questo tipo di shock spiacevoli in vita mia. Perciò non mi pento di questa mia rudezza discorsiva, infarcita tra l’altro di giudizi. Penso che sia stato ‘un mezzo abile’. Dentro di me non sento rimorso ma neppure rancore nei suoi confronti o verso il cosiddetto mercato spirituale. E’ solo che non con tutti si può o si deve parlare alla stessa maniera. Il medico pietoso fa la piaga verminosa. La compiacenza verso gli altri non sempre fa loro del bene.

Praticare la libertà. Ma tu sei libero?

Diciamo che cerco di praticare l’essere libero, se poi mi riesca o meno, agli altri (e a me stesso) l’ardua sentenza. Diciamo che ci provo, diciamo che questa è la tendenza che percorro. Diciamo che evito di attaccarmi spiritualmente ed ho rinunciato abbastanza, direi quasi completamente, anche alle cosiddette ‘domande spirituali’, la metafisica (Dio esiste? Esiste un altro mondo? Esiste la rinascita? C’è il Nirvana?) . Così come ho smesso di fare riferimento a ‘maestri’. Non dico che non ci vogliano ma se dopo così tanti anni uno ha ancora bisogno di un maestro, vuol dire che non c’è speranza e allora, anche in quel caso, tanto vale farne a meno. Ma ci si attacca ai maestri come a una sorta di proiezione fantasmagorica del proprio ego. Me ne accorgo quando parlo anch’io, anche a livello semplicemente di kungfu, del mio maestro / maestri’. Quanto ci fa belli e importanti. Mi sembra che si tratti di una proiezione / arricchimento del sé da una parte e di una mancanza di crescita dall’altra. Ci si continua a trastullare con delle ‘cose’, ‘giocattoli’,insomma. Qui l'accusa è facile nei miei confronti: ‘presuntuoso’ - e l’ho già sentita fare diverse volte.

Praticare la libertà. Che vuole dunque dire? Vuol dire diverse cose: Vedersi / vedere per esempio. Vedersi quando sorgono in noi i fenomeni mentali della rabbia, dell’attaccamento, dell’egocentrismo. Vuol dire però anche accettarsi, accettare di essere così: in questo preciso momento sono così, è dovuto a cause e condizioni, non posso essere diversamente. Vedendo quello che sono, sapendo quello che sono lo accetto; in seguito avverrà il cambiamento, spontaneamente avverranno le correzioni. Parafrasando un detto celebre: ACCETTARE, ACCETTARE, ACCETTARE, lo considero metà della pratica. Praticare la libertà vuol dire saltare audacemente i gradualismi: il qui e ora è già la realtà ultima, non occorre cercare altrove. E’ ancora una volta il vedere che è importante: non si può accettare senza sapere cosa c’è dentro la nostra esperienza.

Torniamo al concetto di libertà. Il Buddha parafrasò l’essere liberi alla liberazione da un debito. Con ciò lasciando intendere che la liberazione, la libertà, porta gioia, porta soddisfazione. Liberazione in questo caso significa svuotamento, svuotamento dal peso di un debito. E’ un lasciare andare quel peso che ci fa tirare un sospiro di sollievo. E’ sollievo.

Ora è interessante notare che libertà (scritta volutamente con la minuscola, evitando anche il più pomposo ‘liberazione’) è la traduzione di Nirvana. Cioè, Nirvana è l’essere liberi, non è un’altra dimensione, un paradiso, un ‘pieno’ di qualcosa. Forse siamo colpiti da ciò. Dunque, essere liberi e sarò breve per mancanza di spazio. Poiché tutto ciò che ci pesa è concettuale, in ultima analisi dobbiamo fare pulizia dei concetti. Ma, riflettendoci, notiamo che anche LIBERTA’ è un concetto. E se ci liberiamo anche da quello cosa rimane? Pensateci. Rispondetemi (potete usare il forum del sito o la mia e-mail). Cosa resta se eliminiamo anche il concetto di libertà?

Rispondetemi (potete usare il Forum del sito o la mia e-mail). Cosa resta se eliminiamo anche il concetto di libertà?
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