martedì 19 settembre 2006

Appunti di viaggio

Giornata della finale del Campionato Mondiale di Calcio agli inizi di Luglio.



Sono in macchina, diretto a vedere la partita conclusiva, Italia-Francia, e rifletto. Mentre di recente ero in Cina mi faceva piacere vedere l’Italia in gioco.



Oggi però, finito il condizionamento dell’Italiano all’estero, mi interrogo. Vedo giovani con le bandiere sopra gli scooter e altre bandiere qua e là lungo la strada. Mi coglie un senso di disagio personale.



Come mi pongo rispetto a questa partita che pure anch’io ho aspettato? Ho piacere che vinca l’Italia? Questo è indubbio. Desidero che vinca l’Italia? Anche questo è in parte indubbio. Ci resterò male se l’Italia perderà? In parte, sicuramente. Perché? In effetti è facile cogliere nei condizionamenti la risposta.



Si nasce, si vive in un luogo fisico circondati da un continuum mentale e se ne fa parte. Accetto perciò di avere un po’ di partecipazione. Ma guardo questa mia partecipazione all’evento e vedo che essa ha una gradazione assai limitata, vedo che la mia mente è attenta e consapevole.



Per questo noto in me da una parte un senso di perplessità e dall’altra un senso di piacere, il piacere dell’attenzione e della consapevolezza.



Mi vengono in mente alcune scene viste in TV, mi sembra riferite alla sconfitta della Germania da parte dell’Italia. Ho visto una ragazza che piangeva. Che cosa strana mi è sembrata. Addirittura piangere per un’identificazione .




Capisco piangere per identificazioni con la sofferenza di un altro essere umano o di un animale, ci si ritrova in questo tipo di esperienze ma piangere per un ‘ideale’...


Nella mia mente vedo il piacere del gioco e probabilmente anche quello della partecipazione. Ma si tratta di divertimento...


>  Ho ritrovato (oggi 27 Agosto) questi appunti che avevo preso quella sera.


Ricordo che mi trovai in macchina in un ingorgo stradale mentre tutt’intorno a me la gente agitava bandiere e gridava. Attraverso il finestrino aperto qualcuno mi strinse addirittura la mano.


Ricordo che osservavo la mia mente e che provavo gioia senza partecipazione. Buffo, no? Provavo gioia per la gioia degli altri ma nello stesso tempo distacco.


Non era, sia chiaro, un distacco antagonistico. Ero pienamente in quella gioia, senza alcuna contrapposizione e nello stesso tempo ero distaccato. Fu veramente una cosa curiosa.



L’altro giorno, ad un passaggio a livello, arrivo e mi metto pazientemente ad aspettare. Ne approfitto per essere consapevole della pazienza.

Sono su una via trasversale e davanti a me c’è la fila di auto della via principale. Passa il treno e io guardo il primo automobilista della via principale. Gli faccio un gesto, sorridendo, di avviarsi ma lui, anche lui sorridendo, mi fa un gesto di andare prima io. Io vado e mi sento improvvisamente ricolmo di gioia. Non certo per il fatto di avere avuto la precedenza ma per lo scambio di consapevole e gioiosa gentilezza che c’è stato.


Questa gioia è stata davvero forte, mi ha pervaso tutto e mi ha accompagnato per tutta la giornata. Tuttora, se vi penso, ne risento la forte onda.



La mia gatta Prilla è tornata. Dopo forse un mese e mezzo. Dove sarà stata? Gioia.

Una notte, sto dormendo, quando a un tratto sento suonare il campanello e un vociare confuso. Guardo assonnato la sveglia e vedo che sono le cinque e mezzo. Sento una persona gridare e ne riconosco la voce, è quella di un vicino (in realtà abita a 400 / 500 m. da me, quindi relativamente lontano) che grida: “ Loriano, vieni a prendere i tuoi cani che è tutta la notte che abbaiano. Se non li tieni , uno di questi giorni compro il fucile e ci penso io” .

Ancora mezzo addormentato, dal letto grido di rimando: “ Ma sono dentro, li tengo dentro” ma poi mi affaccio, vedo il vicino che se ne sta andando e le mie cagne, Tea e Lea che sono dentro sì, ora, ma con il cancello mezzo aperto. Allora mi viene in mente che la sera prima le avevo lasciate uscire ripromettendomi di farle rientrare. Poi me ne ero dimenticato.


Intanto sento il vicino che continua a gridare nella notte. Questa volta se la prende con un altro cane, Fido, il leader-fidanzato delle mie due. Quando si mettono insieme, rifletto, fanno branco e abbaiano a destra e a sinistra. Continuo a pensare un po’ a loro, un po’ al mio vicino. Sono leggermente seccato ma non posso non pensare che la colpa è stata mia.



Dopo un altro po’ lo sento ancora, questa volta spostato più oltre, che grida contro altri cani. Colgo l’esasperazione nella sua voce e mi identifico nella sua sofferenza. E’ un commerciante poco più giovane di me, forse già faceva fatica a dormire con tutti i pensieri che può avere, in più i cani, con il loro continuo abbaiare, devono averlo portato all’esasperazione. Mi identifico quasi totalmente con la sua sofferenza. Capisco la sua rabbia.

I giorni successivi ci capita di incontrarci ma sempre da lontano o con tempi sfalsati. Sono incerto, vorrei avvicinarlo per scusarmi e rassicurarlo, ma sono un po’ timoroso di provocare una reazione ancor più forte. Poi, l’altro giorno, lo vedo passare a piedi e gli faccio cenno di venire. Mentre si avvicina mi chiedo come reagirà. Ma gli spiego con gentilezza che ho sbagliato, che ero certo di aver chiuso le cagne in “corte” mentre invece avevo lasciato aperto il cancello, che mi preoccupo sempre di tenerle dentro, che capisco come deve avergli dato noia e che non succederà più.


Man mano che parlo noto che lui reagisce bene, forse all’inizio pensava che volessi litigare mentre invece il mio tono e le mie scuse lo hanno fatto ricredere. Si instaura un rapporto tranquillo e di comprensione e già allora e poi dopo ancor di più sento la gioia che mi pervade, sento che si è creato un rapporto di comprensione reciproca e gentilezza.



La pratica della gentilezza amorevole è considerata una “dimora divina”e anche una pratica illimitata, cioè senza alcun limite o barriera, così come la gioia per la gioia degli altri e la com-passione.

Praticare queste dimore divine o illimitate porta all’abbattimento delle barriere con gli altri e, si badi bene, non solo verso gli umani ma anche verso i non-umani nostri fratelli, come gli animali, gli spiriti, le divinità e gli stessi demoni, perfino, se vi sono, gli abitanti di altri mondi.


Nessuna pratica di amore può essere perfetta se limitata ad una sola specie. Nella mia pratica cito espressamente anche i grandi e crudeli tiranni come Hitler, Stalin, Mussolini, Mao Zedong e ultimamente Bush, Bin Laden ed elementi della nostra politica. A volte penso ad Hitler e Mussolini e provo una grande compassione per i momenti tragici della loro fine. Altrettanto, anzi di più, per tutti coloro che hanno sofferto e sono morti per colpa loro.


Non esiste il Male assoluto, concetto a cui fanno continuamente riferimento coloro che praticano il dualismo. Anche Hitler, Stalin, Mussolini ecc. avevano sentimenti umani, sia pure pervertiti dalle logiche di potere o dall’odio verso determinate categorie.


Così pure trovo negativo che si agitino ancora categorie divisorie come “comunisti”, “rossi” , “fascisti” , “neri” . Con la fine dei blocchi sentii una grande soddisfazione.


Ma l’essere umano è riuscito semplicemente a spostare l’asse del conflitto.

Ricapitolazione

A quindici anni dall’inizio della pratica meditativa e nell’anniversario della morte dei miei genitori, si dà un’occhiata all’esperienza di questo lungo periodo.

Quindici anni fa iniziò l’esperienza della pratica meditativa. Ero in una forte crisi personale e questo mi porta ad una considerazione. Non c’ è progresso senza crisi. Bisogna toccare il fondo per riemergere. Una crisi, sia pure dolorosa quanto può essere la fine di un matrimonio, può essere il punto di svolta, in positivo, di una vita. Dirò di più: solo qualcosa di doloroso può spingere ad osservarsi realmente. A me accadde giusto questo:perché le cose erano andate così? Perchè costantemente, nella mia vita, mi ritrovavo a fare sempre gli stessi errori ed a produrre sofferenza per me e per gli altri?Non c’era forse qualcosa di sbagliato in tutto quanto?Questo mi portò ad un’autocritica impietosa:d’un tratto, sotto il peso del rimorso, mi vidi com’ero realmente, vidi tutto il mio egocentrismo, la mia fatuità, la potenza assoluta dell’ego. Riconsiderai la mia vita precedente e vidi come tante spinte, anche quelle più “nobili”, ad es. quelle del mio “impegno politico”,avessero come sottofondo il marciume del mio ego, il porsi al centro dell’universo, la volontà di affermazione.(Da allora quando vedo un politico, anche il più piccolo, non ascolto realmente quello che dice: ascolto quello che traspare dalla sua personalità, noto le variazioni della potenza dell’ego, osservo la fatuità del suo agire!).

Siamo quello che pensiamo! Ed io mi ero costruito addirittura un’ideologia del desiderare. Erano anni in cui queste ideologie erano di moda, i titoli di libri e canzoni che inneggiavano al desiderio erano numerosi; c’era perfino il titolo di un pezzo di jazz: “A scuola di desiderio”; figurarsi! Come se ci fosse bisogno di una scuola per questo!Ne abbiamo già anche troppo ed è proprio quello che crea la nostra sofferenza. Il desiderare implica sempre qualcosa che non c’è. E’ un turbinio mentale che rende ciechi al presente e ci proietta lontani nella mente. Non vivendo pienamente il presente, persi nei nostri sogni, disprezziamo il reale e ci trastulliamo con l’immaginario. Non siamo felici mai, siamo addormentati rispetto a quel che c’è, la nostra vita vera è nella mente. Sempre ad inseguire qualcosa, non abbiamo tempo per apprezzare l’esistente!

Un’altra cosa che ci costruiamo addosso sono le maschere. “Il politico”, “il rivoluzionario”, “il professionista”, “la femminista” “quello/quella di sinistra” (o di destra) e così via. SONO FONTE DI SOFFERENZA! Ce ne accorgiamo soltanto quando qualcosa ci spinge a lasciarle. Com’è duro sbarazzarsene. Me ne accorsi a mie spese quando, sotto la spinta del cambiamento che mi veniva dalla meditazione, dovetti abbandonare la mia maschera precedente, quella del “politico-più-o-meno-rivoluzionario”. Che fatica! Fu un problema grosso: sapevo che gli altri avevano su di me aspettative di un certo genere, insomma mi avevano inquadrato in un certo modo, e sapere che andavo a sfare questa bella costruzione: per un attimo mi sarei trovato NUDO!Ecco ancora una volta la paura del nostro pseudo-sé che sempre VUOLE DIFENDERSI, vuole impedire che la realtà com’è davvero irrompa nella vita.(Quindi da allora guardo “strano” coloro – e ne conosco- che dicono :”Io sono uno/una che…”anche quelli/quelle che hanno una visione romantica di se stessi – il che significa che non riescono a vedere la vita com’è).

Di nuovo: siamo quello che pensiamo, o meglio come pensiamo.

LA DISGRAZIA! La gente pensa di vivere in un mondo buono, che lassù qualcuno ci ami e prega per evitare le disgrazie. Ma le disgrazie sono inevitabili,crollano perfino le chiese in testa ai preti ed anche il papa si ammala. Per inciso ammiro molto questo nostro papa per la sua forza di volontà ma resta il fatto che nessuno sfuggì mai alla sofferenza fisica in questo mondo! Però ci fu chi superò completamente la sofferenza mentale. E poiché tutto quello che viviamo lo viviamo con la mente, questo è il punto, qui salta!

La sofferenza fisica è come una freccia che ci colpisce. Sta a noi evitare che ci colpisca la seconda freccia, quella della sofferenza mentale (il lamento continuo, l’insoddisfazione, il “perché è toccato a me?”). La realtà è che il nostro controllo sulla vita è minimo. “C’è una cosa a cui nessuno sfugge,né essere umano né divino, né uomo comune né asceta: precisamente il soffrire fisico, l’ammalarsi e il morire”, questo riconobbe 500 anni prima di Cristo il Buddha.

Poiché la seconda freccia è mentale, è solo esercitando la mente che si può vincere o almeno attutire l’impatto di questa seconda freccia. Ma ci vuole allenamento! Ci vuole training. Così come siamo, nonsiamo attrezzati per superare la sofferenza. E’ solo imparando il “lasciare andare” della meditazione, imparando a “vedere ed accettare”che possiamo migliorare la nostra salute mentale. Ma le persone non sono pronte! E’ fatica guardarsi e lavorare sulla mente! Vuoi mettere una bella pillola(o una preghiera, che se non atro è già meglio)? Così non devo fare la fatica di dover cambiare nulla di me (mi piaccio così!). Che importa se mi intossico con i medicinali e se poi devo prendere altri medicinali per rimediare ai danni dei primi medicinali?L’importante è rimanere nelle nostre maschere e nelle nostre inerzie.

Tornando alla disgrazia! I migliori anni della mia vita sono stati quelli della disgrazia, cioè della malattia e poi morte dei miei genitori! Che ricchezza in quel periodo! Presenza ed attenzione continua, individuazione di ciò che era reale e di ciò che era immaginazione, sviluppo dell’equanimità e dell’accettazione, la gioia della consapevolezza di sapere vivere il presente e di godersi dunque quelle care persone finchè era concesso…

Un’ultima curiosità: Come si è evoluta in questi anni la pratica meditativa? Beh, all’inizio ero molto tecnico ora tendo invece ad una maggiore attenzione all’aspetto psicologico. Ci sono state, in questi quindici anni , esperienze interessantissime ed anche profonde. Ma non occorre attaccarvisi. Anche queste vanno lasciate andare. La stessa idea della Liberazione, che è il nostro scopo, va lasciata andare. Questo è davvero un paradosso no? A ciascuno risolverselo, rendendoci conto che la realtà ultima è l’integrazione degli opposti nell’unità. Perciò,semplicemente VIVERE (“tenendo d’occhio però l’orologio”dice la fatina a Cenerentola riguardo alla fatidica mezzanotte). Anche la Liberazione, la Libertà non ha sostanza. Che sostanza potrebbe mai avere? E nello stesso tempo è come un’altra dimensione, una dimensione della mente. Ma se la sostanzializziamo non è più libertà!

Insomma , che ricchezza di paradossi!

Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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