martedì 19 settembre 2006

Ricapitolazione

A quindici anni dall’inizio della pratica meditativa e nell’anniversario della morte dei miei genitori, si dà un’occhiata all’esperienza di questo lungo periodo.

Quindici anni fa iniziò l’esperienza della pratica meditativa. Ero in una forte crisi personale e questo mi porta ad una considerazione. Non c’ è progresso senza crisi. Bisogna toccare il fondo per riemergere. Una crisi, sia pure dolorosa quanto può essere la fine di un matrimonio, può essere il punto di svolta, in positivo, di una vita. Dirò di più: solo qualcosa di doloroso può spingere ad osservarsi realmente. A me accadde giusto questo:perché le cose erano andate così? Perchè costantemente, nella mia vita, mi ritrovavo a fare sempre gli stessi errori ed a produrre sofferenza per me e per gli altri?Non c’era forse qualcosa di sbagliato in tutto quanto?Questo mi portò ad un’autocritica impietosa:d’un tratto, sotto il peso del rimorso, mi vidi com’ero realmente, vidi tutto il mio egocentrismo, la mia fatuità, la potenza assoluta dell’ego. Riconsiderai la mia vita precedente e vidi come tante spinte, anche quelle più “nobili”, ad es. quelle del mio “impegno politico”,avessero come sottofondo il marciume del mio ego, il porsi al centro dell’universo, la volontà di affermazione.(Da allora quando vedo un politico, anche il più piccolo, non ascolto realmente quello che dice: ascolto quello che traspare dalla sua personalità, noto le variazioni della potenza dell’ego, osservo la fatuità del suo agire!).

Siamo quello che pensiamo! Ed io mi ero costruito addirittura un’ideologia del desiderare. Erano anni in cui queste ideologie erano di moda, i titoli di libri e canzoni che inneggiavano al desiderio erano numerosi; c’era perfino il titolo di un pezzo di jazz: “A scuola di desiderio”; figurarsi! Come se ci fosse bisogno di una scuola per questo!Ne abbiamo già anche troppo ed è proprio quello che crea la nostra sofferenza. Il desiderare implica sempre qualcosa che non c’è. E’ un turbinio mentale che rende ciechi al presente e ci proietta lontani nella mente. Non vivendo pienamente il presente, persi nei nostri sogni, disprezziamo il reale e ci trastulliamo con l’immaginario. Non siamo felici mai, siamo addormentati rispetto a quel che c’è, la nostra vita vera è nella mente. Sempre ad inseguire qualcosa, non abbiamo tempo per apprezzare l’esistente!

Un’altra cosa che ci costruiamo addosso sono le maschere. “Il politico”, “il rivoluzionario”, “il professionista”, “la femminista” “quello/quella di sinistra” (o di destra) e così via. SONO FONTE DI SOFFERENZA! Ce ne accorgiamo soltanto quando qualcosa ci spinge a lasciarle. Com’è duro sbarazzarsene. Me ne accorsi a mie spese quando, sotto la spinta del cambiamento che mi veniva dalla meditazione, dovetti abbandonare la mia maschera precedente, quella del “politico-più-o-meno-rivoluzionario”. Che fatica! Fu un problema grosso: sapevo che gli altri avevano su di me aspettative di un certo genere, insomma mi avevano inquadrato in un certo modo, e sapere che andavo a sfare questa bella costruzione: per un attimo mi sarei trovato NUDO!Ecco ancora una volta la paura del nostro pseudo-sé che sempre VUOLE DIFENDERSI, vuole impedire che la realtà com’è davvero irrompa nella vita.(Quindi da allora guardo “strano” coloro – e ne conosco- che dicono :”Io sono uno/una che…”anche quelli/quelle che hanno una visione romantica di se stessi – il che significa che non riescono a vedere la vita com’è).

Di nuovo: siamo quello che pensiamo, o meglio come pensiamo.

LA DISGRAZIA! La gente pensa di vivere in un mondo buono, che lassù qualcuno ci ami e prega per evitare le disgrazie. Ma le disgrazie sono inevitabili,crollano perfino le chiese in testa ai preti ed anche il papa si ammala. Per inciso ammiro molto questo nostro papa per la sua forza di volontà ma resta il fatto che nessuno sfuggì mai alla sofferenza fisica in questo mondo! Però ci fu chi superò completamente la sofferenza mentale. E poiché tutto quello che viviamo lo viviamo con la mente, questo è il punto, qui salta!

La sofferenza fisica è come una freccia che ci colpisce. Sta a noi evitare che ci colpisca la seconda freccia, quella della sofferenza mentale (il lamento continuo, l’insoddisfazione, il “perché è toccato a me?”). La realtà è che il nostro controllo sulla vita è minimo. “C’è una cosa a cui nessuno sfugge,né essere umano né divino, né uomo comune né asceta: precisamente il soffrire fisico, l’ammalarsi e il morire”, questo riconobbe 500 anni prima di Cristo il Buddha.

Poiché la seconda freccia è mentale, è solo esercitando la mente che si può vincere o almeno attutire l’impatto di questa seconda freccia. Ma ci vuole allenamento! Ci vuole training. Così come siamo, nonsiamo attrezzati per superare la sofferenza. E’ solo imparando il “lasciare andare” della meditazione, imparando a “vedere ed accettare”che possiamo migliorare la nostra salute mentale. Ma le persone non sono pronte! E’ fatica guardarsi e lavorare sulla mente! Vuoi mettere una bella pillola(o una preghiera, che se non atro è già meglio)? Così non devo fare la fatica di dover cambiare nulla di me (mi piaccio così!). Che importa se mi intossico con i medicinali e se poi devo prendere altri medicinali per rimediare ai danni dei primi medicinali?L’importante è rimanere nelle nostre maschere e nelle nostre inerzie.

Tornando alla disgrazia! I migliori anni della mia vita sono stati quelli della disgrazia, cioè della malattia e poi morte dei miei genitori! Che ricchezza in quel periodo! Presenza ed attenzione continua, individuazione di ciò che era reale e di ciò che era immaginazione, sviluppo dell’equanimità e dell’accettazione, la gioia della consapevolezza di sapere vivere il presente e di godersi dunque quelle care persone finchè era concesso…

Un’ultima curiosità: Come si è evoluta in questi anni la pratica meditativa? Beh, all’inizio ero molto tecnico ora tendo invece ad una maggiore attenzione all’aspetto psicologico. Ci sono state, in questi quindici anni , esperienze interessantissime ed anche profonde. Ma non occorre attaccarvisi. Anche queste vanno lasciate andare. La stessa idea della Liberazione, che è il nostro scopo, va lasciata andare. Questo è davvero un paradosso no? A ciascuno risolverselo, rendendoci conto che la realtà ultima è l’integrazione degli opposti nell’unità. Perciò,semplicemente VIVERE (“tenendo d’occhio però l’orologio”dice la fatina a Cenerentola riguardo alla fatidica mezzanotte). Anche la Liberazione, la Libertà non ha sostanza. Che sostanza potrebbe mai avere? E nello stesso tempo è come un’altra dimensione, una dimensione della mente. Ma se la sostanzializziamo non è più libertà!

Insomma , che ricchezza di paradossi!

Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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