domenica 19 novembre 2006

Gentilezza amorevole,equanimità, fattori del risveglio

Come si effettua la meditazione sulle Residenze Infinite?


Mentre in passato sono state date indicazioni per lo più sulla gentilezza amorevole, qui parleremo principalmente dell’equanimità.

Possiamo realizzare vari tipi di Liberazione della mente (cetovimutti ): vi sono la Liberazione della mente realizzata con la Vacuità, quella con il senza-segni, quella della Non-direzionalità, quella delle Sedi Infinite. Ognuna di queste, pur partendo da un approccio particolare, contiene in sé elementi delle altre.

Prendiamo ad es. la gentilezza amorevole: quando pienamente sviluppata contiene rottura delle barriere, spaziosità, vacuità (la considerazione che ogni sé non è indipendente dagli altri) e una certa dose di equanimità. La gentilezza amorevole contiene anche consapevolezza e visione profonda.

Consapevolezza perché se visualizziamo esseri che non amiamo particolarmente sorge in noi la sensazione dell’avversione, mentre invece può sorgere consapevolezza dell’attaccamento se visualizziamo esseri a noi graditi.

L’approccio dell’equanimità, come già abbiamo detto, si basa sulle altre tre residenze infinite ma le trascende. Perciò, mentre è vero che non possiamo sviluppare equanimità senza amore e compassione per gli altri, è anche vero che l’Equanimità è una Liberazione della mente che porta al Nirvana, alla Libertà assoluta, alla Liberazione.

Ci sono sette fattori del Risveglio o illuminazione e possiamo vedere come e in quale misura essi siano contenuti nelle 4 Residenze infinite.

Il primo fattore è ' Sati ', consapevolezza. Esso è ben presente nella pratica della gentilezza amorevole, come visto sopra. D’altra parte sati ', quando è completamente purificato dall’equanimità, è un elemento del quarto Dhyana o Jhana, uno degli assorbimenti meditativi più elevati confinante con la Liberazione. Anche se non raggiungessimo mai questo Dhyana, possiamo però apprezzare pienamente questa "consapevolezza purificata dall’equanimità" come uno stato mentale elevato.

Il secondo fattore del Risveglio è chiamato ' Dhamma vicaya ', l’analisi dei fenomeni mentali. Anche questo elemento è presente nelle sedi infinite, soprattutto nella gentilezza amorevole (accorgersi di attaccamento o avversione, gioia o dolore). .

Il terzo fattore del Risveglio è ' Viriya ', che, come fa intuire il nome nella sua somiglianza con ‘ virile’, indica lo sforzo energico che applichiamo meditando. Questo sforzo non deve essere né eccessivo né scarso. Poiché le sedi infinite sono una meditazione piacevole, lo sforzo che vi applichiamo è quello giusto.

' Piti ', gioia, è il quarto fattore del Risveglio. E’ un fattore importante e come tale è anch’esso uno dei fattori dei primi Dhyana o assorbimenti meditativi elevati. Al di là del fatto che noi entriamo o no in questi assorbimenti, è però importante cogliere questo elemento di piacevolezza che sorge dalla concentrazione, dall’irradiazione e dal lasciare andare. Per questo è importante praticare il sorriso interiore, perché esso è sia espressione della gioia sia elemento induttivo della gioia.


Quando l’ego è meno presente, la gioia sorge facilmente: gentilezza amorevole, gioia altruistica e la stessa equanimità inducono facilmente la gioia.
L’apertura e l’accoglienza agli altri, al mondo, alle cose come sono, è ciò che contraddistingue un Buddha, un liberato (qui vorrei ricordare: non siate Buddhisti, siate dei Buddha!) .


' Passaddhi ', la calma, è il quinto fattore del Risveglio. Esso si realizza quando rompiamo le barriere negli stati infiniti e porta a:

' Samadhi ', il sesto fattore del Risveglio, grossomodo corrispondente al risiedere nel primo Dhyana.

' Upekkha ', EQUANIMITA’, è il settimo e ultimo fattore del Risveglio e da questo possiamo rilevare la sua importanza. L’equanimità è di vari tipi (ad es. è importante, durante una seduta, raggiungere l’equanimità verso le sensazioni corporee e mentali, conseguire quindi calma e stabilità nel corpo e nella mente) .

L’equanimità è la sede infinita più importante. Come svilupparla?

Il procedimento appare inverso rispetto a quello della gentilezza amorevole. Mentre in quest’ultimo partiamo da noi stessi e dalle persone care per giungere infine agli esseri più difficili da amare, nell’equanimità partiamo dalle persone indifferenti e poi da quelle ostili e poi torniamo a noi stessi con la considerazione che “OGNUNO E’ EREDE DELLE PROPRIE AZIONI”, cioè del proprio karma, e questo vuol dire, implicitamente, l’accettazione del destino di ogni essere, anche di quelli più cari e anche del nostro, qualunque esso sia. La Liberazione viene in essere proprio quando l’Equanimità è massimamente sviluppata e diventa l’accogliere con distacco qualunque cosa ci accada o accada ai nostri cari o nel mondo, consapevoli che VI SONO CAUSE E CONDIZIONI PER QUESTO.


In sostanza la sofferenza esiste nel mondo (è la prima Nobile Verità) ed esiste perché ne esiste una causa, l’ATTACCAMENTO. L’equanimità porta a trascendere sofferenza e attaccamento, va quindi a sboccare nella Liberazione ed è una caratteristica dell’essere liberi.

Le “Residenze infinite” sono anche dette “dimore divine” o brahmavihara perché, a detta del commentatore Buddhaghosa, sono ‘eccellenti’ e ‘immacolate', ossia immateriali, come gli dei che popolano i mondi senza forma o immateriali di Brahma, i livelli di esistenza più sottili. Perciò, secondo Buddhaghosa, “i meditanti che entrano a far parte di queste dimore, dimorano sullo stesso piano degli dei di Brahma”.

Secondo Winston L. King (La Meditazione Theravada, Ubaldini, p.80) il significato di ‘illimitatezza’ “ va senza dubbio cercato nell’analogia con la semi-infinità degli dèi in termini di tempo e spazio, e allo stesso tempo suggerisce la possibilità di raggiungere il traguardo della totale universalizzazione estendendo tali atteggiamenti a tutti gli esseri in tutti gli universi”. Sono “quanto di meglio possa esservi nel retto atteggiamento verso gli esseri”.

Riguardo alla superiorità dell’equanimità rispetto alle altre tre dimore, Buddhaghosa pone l’accento sul fatto che le prime tre sono ancora associate a un coinvolgimento emotivo con gli esseri, “perché biasimo e approvazione sono vicini [nella mente del meditante] e perché la loro associazione con la gioia è di tipo grossolano. Il meditante poi dovrebbe considerare la superiorità dell’equanimità in quanto è uno stato di quiete”.
Buddhaghosa, che amava gli esempi, esemplifica il raggiungimento della “rottura delle barriere” riguardo agli esseri in questo modo:


Supponete che un uomo sia seduto in compagnia di una persona cara, di una indifferente e di una ostile e che egli stesso sia il quarto. Ora sopraggiungono dei banditi e gli dicono: ‘Venerabile signore, consegnaci un bhikkhu (monaco)’ e, richiesti del perché, quelli rispondono: ‘ Per ucciderlo e offrire il sangue della sua gola’; allora se quel bhikkhu pensa tra sé: ‘Che si prendano questo o quest’altro’, costui non ha abbattuto le barriere. E se pure pensa: ‘Che prendano me, non questi tre’, neppure allora egli ha abbattuto le barriere.
E perché? Perché egli vuole il male di colui che desidera sia preso e vuole il bene solo degli altri tre.


Ma quando non vede nemmeno uno fra i quattro da consegnare ai banditi e dirige la sua mente con imparzialità… (allora) egli HA ABBATTUTO LE BARRIERE".

La realtà è una vacca squartata

Non vi lasciate ingannare da questo titolo truculento, vedremo poi cosa significa.

Una volta ogni uno o due anni incontro un’amica praticante con una setta esoterica cristiana che regolarmente mi vuole convertire al Cristianesimo e si stupisce perché io non sento Dio o non sono toccato dall’amore di Cristo(che sinceramente non riesco a verificare da nessuna parte in questo nostro mondo). Oppure capita spesso qualcuno che mi dice: "Ma tu credi in Dio?". Oppure qualcuno entra in questo tipo di discussioni metafisiche. Fare metafisica è stato uno dei passatempi preferiti e anche di conforto dell’umanità, fin da quando i primi Neandhertalensis o Cro-magnon cominciarono a creare idee sulle forze del mondo.

Ieri ero con un mio amico che è stato fermato da un Testimone di Geova che conosce (e che conoscevo già anch’io). Premetto che ho lo stesso rispetto per i testimoni di Geova come l’ho per i Cattolici. Sono solo una setta più piccola e insistente . Ma la stessa insistenza l’hanno avuta- in passato- e l’hanno oggi in forme più sottili i Cattolici (si pensi all’imposizione della religione cattolica_una sola fra tante che esistono_ nella scuola pubblica di fatto come un lavoro di colonizzazione forzata delle menti dei bambini. Un vero e propio lavaggio del cervello). Si pensi al lavoro di proselitismo che fanno i testimoni di Geova ( e su un altro versante la Soka Gakkai) ed a quello un po’ più obliquo dei "missionari" cattolici nel resto del mondo. Dov’è la differenza? Ce n’è davvero una? Ci si pensi onestamente, prima di rispondersi.

Comunque questa persona(il testimone di Geova) ha iniziato un discorso, prendendolo alla larga, sullo scopo della vita, sul fatto che vi deve essere uno scopo, un disegno, ed attaccando l’evoluzionismo come improbabile, sostenendo quindi il creazionismo. Io l’ho lasciato fare ma riguardo all’evoluzionismo mi sono permesso di dire che probabilmente un tipo particolare di devianza succede che sia , in un determinato momento, la risposta più adatta al particolare tipo di cambiamento di un ambiente. La devianza è un fattore abituale della vita, basti pensare a quella delle cellule che deviano e diventano cancerogene, o alla devianza sessuale; o alla stessa devianza che a volte avviene negli umani o in altri esseri.

Per farla breve questa persona, peraltro molto colta ed intelligente, ha esposto tutta una serie di idee che essi hanno, idee che provengono dalla Bibbia. Al che gli ho fatto rilevare che la Bibbia l’hanno scritta uomini, con tutte le loro predisposizioni e che ovunque vi siano predisposizioni umane c’è inquinamento, l’inquinamento che viene dal desiderare e dall’avversare. A queste persone faccio la solita domanda che pongo a tutti coloro che parlano di questi massimi sistemi: quali sono le forze che muovono l’universo. La mia amica di cui all’inizio, ineffabilmente mi ha risposto: " La luce divina" cioè è uscita fuori con qualcosa di assolutamente inverificabile. Infatti se vogliamo andare avanti con la fede, cioè con presupposti dogmatici ed inverificabili, posso asserire qualunque cosa. Non sarà invece che dobbiamo cominciare a vedere le forze all’opera in noi e cominciare a liberarci di tutto quello che appare inquinato? Per esempio a liberarci dall’adesione a qualunque tipo di idea? E perché? Ma perché è inquinata dalle nostre predisposizioni ed in particolare dai nostri desideri ( o dal loro rovescio, le avversioni).

Purtroppo questa, che appare come l’unica vera purificazione, cozza contro l’adesione all’immagine del sé che abbiamo creato e coltivato così a lungo. In effetti è questa costruzione di un sé che sta dietro a tutto il proliferare delle idee. Ma anche questo "sé" è osservabile distinto nelle sue forze. Il Buddha è l’unico che l’ha visto chiaramente: nel Brahmajala sutta , esaminando tutti i punti di vista possibili, ha fatto vedere come in ultima analisi tutti, anche i più raffinati intellettualmente, sorgano dal contatto e dalla sensazione. Se andiamo a vedere con la meditazione di consapevolezza noi vediamo sorgere in noi varie forze: la sensazione (che sorge dal contatto) è una di queste. E’ il contatto che fa sorgere (in cooperazione con le nostre predisposizioni, i nostri "semi" mentali) la sensazione, piacevole, spiacevole o neutra. Ci attacchiamo ad una sensazione piacevole e respingiamo una sensazione spiacevole. La sensazione piacevole fa sorgere il desiderare, questo fa sorgere l’afferrare, questo fa nascere (la vita –ecco spiegato il discorso delle rinascite-, oppure anche le normali situazioni della vita). Perciò la realtà ultima è una vacca squartata. Questa è una famosa parabola fatta dal Buddha. E’ come, egli disse (ma cito a memoria), è come un macellaio che uccide una vacca. Sia quando la uccide che quando inizia a tagliarla, egli ha il concettodi "vacca". Per un periodo, pur continuando a tagliare, egli ha ancora questo concetto di "vacca". Andando avanti egli però comincia a perdere questo concetto di "vacca" e comincia a pensare in termini di "coscia", "costole" e così via, finché il concetto di vacca è sparito.

Nella meditazione di visione profonda è lo stesso. Si parte da una visione del sé e poi si procede esaminando le sue componenti, le forze all’opera: cominciamo a vedere allora: sensazioni, percezioni, pensieri ( o meglio la funzione del pensare) e ci rendiamo conto come tutto sorga dal contatto: contatto con oggetti, contatto con concetti. Riguardo a quest’ultimo tipo di contatto, si pensi alla soddisfazione che dà l’adesione a questa o quella teoria politica o religiosa. Quando ero marxista, dal contatto mentale con questa teoria traevo una grande soddisfazione (leggi: sensazione piacevole) [per inciso trovo molte somiglianze metodologiche fra marxismo e visione profonda: entrambi rigettano l’idealismo e vanno a cercare le vere forze all’opera]. Poi ho visto che anche questa era una forma di inquinamento mentale, una sorta di gratificazione del sé e l’ho lasciato.

Perciò, come il macellaio, bisogna perdere il concetto di un sé e cominciare a vedere le componenti ultime. E’ lo stesso lavoro che viene svolto dai fisici attuali, quando arrivano alle componenti ultime della materia, ai quark . Il fisico moderno è come scisso in due: da una parte vive come tutti il mondo materiale, dall’altra sa che questo mondo come lo conosciamo è irreale, è privo di sostanza stabile: tutto dipende da tutto. Il fisico moderno scopre che la materia non è indipendente dalla coscienza e che la coscienza a sua volta non è indipendente dalla materia. Esattamente le stesse conclusioni del Buddha.

Ma si avrà il coraggio di staccarsi dalle NOSTRE opinioni? Di riconoscerle come inquinamenti? Di distaccarsi da ogni teoria, anche la più nobile?

Accettare

Un paio di settimane fa il mio vecchio cane Flok (uno spinone meticcio) è sparito. Avevo lasciato il cancello aperto e, tornando a casa a sera tardi, non l’ho visto. Siccome Flok era vecchio (16 anni), sordo, mezzo cieco e con l’Alzheimer (non si rinveniva più tanto), mi sono preoccupato e sono andato subito a cercarlo con una lampadina. Non l’ho trovato ed anche i miei tentativi nei giorni successivi sono stati vani.



Ero molto legato a Flok, questo vecchio cane fedele, che ogni volta che uscivo con la macchina lasciando il cancello aperto (=viaggio breve) si piazzava in mezzo alla strada ad aspettarmi. Osservare il suo lento invecchiare, prendendo atto del deterioramento continuo delle sue capacità fisiche e mentali non è stato dissimile da quando osservavo esattamente gli stessi fenomeni in mio padre e mia madre. In entrambi i casi provavo una stretta al cuore osservando i sintomi del cambiamento e accettando nello stesso tempo che questa sia la deriva degli esseri.

Nel caso di Flok mi ha fatto sofferenza il pensare non tanto che fosse andato a morire (ma dove? Viste le sue condizioni: ormai camminava quasi trascinandosi), quanto l’immaginare che, dovuto alla sua demenza senile, avesse perso l’orientamento e se ne andasse vagando qua e là senza più trovare casa.

La riflessione che ne è scaturita è stata questa: " Devi accettare che anche Flok, come tutti, è soggetto alla sofferenza e che questa è imprevedibile e incontrollabile. Nessuno può garantire a nessuno una vita che finisca in pace, in serenità. Come si nasce siamo sottoposti ad ogni possibilità".

Questa accettazione mi ha dato subito pace. E’ così, accettare crea pace. Purch non si tratti di rassegnazione o di una accettazione per obbligo. E’ importante avere una visione di come stanno le cose. Questo viene dalla Vipassana. Per avere questa visione profonda occorre la meditazione basata sulla consapevolezza. Non basta pensare: ma queste cose sono banali, io le so già! In realtà chi pensa così, poiché non è allenato a guardare le cose in profondità e ad accettare, una volta arrivato a situazioni tragiche (e nello stesso tempo assai normali) come il declino e la morte di una persona cara, crolla e si dispera! Di cosa allora bisogna essere consapevoli? Proverò a fare un esempio, prendendo il caso di Flok.

Prima di tutto posso offrire a Flok, ovunque sia, un’irradiazione di mettaa o gentilezza amorevole. Poi posso osservare quello che c’è, qui ed ora. Noto che c’è un senso di sofferenza ma noto anche che è solo un fluire mentale, un processo di pensiero. In realtà non so nulla di Flok, non so cosa sia meglio o peggio per lui, non so se stia soffrendo o abbia sofferto. Quello che c’è realmente è solo un processo di pensiero.

Siamo anche abituati a vedere di che "colore"(chiamiamolo così) è impregnato questo processo di pensiero, il colore della sofferenza e, risalendo a monte, del desiderio di non soffrire. Buffo: si soffre perché non si vuole soffrire. Questo "colore" di sofferenza è un "segno"(nimitta ) e come tutti i segni può nascere solo da tre condizioni: " Lust is a maker of signs, hate is a maker of signs, delusion is a maker of signs" (Mahaavedalla sutta, MN 43, traduzione Bhikkhu Bodhi ) che possiamo tradurre in senso lato: " Il desiderare è produttore di segni, l’avversare è produttore di segni, l’illusione è produttrice di segni". Se noi perciò scopriamo in noi segni di qualsiasi tipo, possiamo farli risalire a queste tre categorie, in ultima analisi poi riconducibili ad una: il desiderare. Così osservandoli, intuendo automaticamente la loro origine, questi segni (sia fisici-la stretta allo stomaco, le varie contrazioni ecc. – che mentali: il desiderio, la passione, l’avversione) vengono lasciati andare,scompaiono o diminuiscono in forza. E quando scompaiono possiamo osservare quello che c’è ed anche quello che non c’è più, registrare cioè la loro assenza (un passaggio contemplato nel Sutra sui Quattro fattori della consapevolezza) e dimorare in una mente tranquilla e concentrata, salvo poi registrare di nuovo il sorgere di segni, il lasciarli andare di nuovo e così via, finchè i segni diventano sempre più rari e la mente più libera. E questa è una delle tre vie verso la liberazione, la via del senza-segni. Praticare questa via implica un’attività di osservazione mentale intuitiva: è una via e già un arrivo.

Quando lasciamo andare i segni, lasciamo andare. Ci disponiamo cioè in una condizione in cui il minimo desiderare, anche lo stesso desiderio della liberazione, viene notato per quello che è. Un desiderio, un segno. L’abbandonare anche questo fa "stare semplicemente". Questa appare come la seconda via alla liberazione, la via del "senza-direzione", "senza-scopo" o "senza desiderio".

La terza via, che nei testi è in realtà la prima, è quella della vacuità, dell’assenza di un "io" e "mio". Questa viene dall’osservazione di sensazioni, pensieri… elementi, fenomeni che si svolgono nello spazio, senza un io centrale che li raccoglie. Un semplice osservare.

Tutte queste "tre porte" alla liberazione sono in realtà punti di vista diversi della stessa situazione, si può usare una porta oppure un’altra ma si entra sempre nella stessa stanza. E il percorso è anche l’arrivo.
Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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