Un paio di settimane fa il mio vecchio cane Flok (uno spinone meticcio) è sparito. Avevo lasciato il cancello aperto e, tornando a casa a sera tardi, non l’ho visto. Siccome Flok era vecchio (16 anni), sordo, mezzo cieco e con l’Alzheimer (non si rinveniva più tanto), mi sono preoccupato e sono andato subito a cercarlo con una lampadina. Non l’ho trovato ed anche i miei tentativi nei giorni successivi sono stati vani.
Ero molto legato a Flok, questo vecchio cane fedele, che ogni volta che uscivo con la macchina lasciando il cancello aperto (=viaggio breve) si piazzava in mezzo alla strada ad aspettarmi. Osservare il suo lento invecchiare, prendendo atto del deterioramento continuo delle sue capacità fisiche e mentali non è stato dissimile da quando osservavo esattamente gli stessi fenomeni in mio padre e mia madre. In entrambi i casi provavo una stretta al cuore osservando i sintomi del cambiamento e accettando nello stesso tempo che questa sia la deriva degli esseri.
Nel caso di Flok mi ha fatto sofferenza il pensare non tanto che fosse andato a morire (ma dove? Viste le sue condizioni: ormai camminava quasi trascinandosi), quanto l’immaginare che, dovuto alla sua demenza senile, avesse perso l’orientamento e se ne andasse vagando qua e là senza più trovare casa.
La riflessione che ne è scaturita è stata questa: " Devi accettare che anche Flok, come tutti, è soggetto alla sofferenza e che questa è imprevedibile e incontrollabile. Nessuno può garantire a nessuno una vita che finisca in pace, in serenità. Come si nasce siamo sottoposti ad ogni possibilità".
Questa accettazione mi ha dato subito pace. E’ così, accettare crea pace. Purch non si tratti di rassegnazione o di una accettazione per obbligo. E’ importante avere una visione di come stanno le cose. Questo viene dalla Vipassana. Per avere questa visione profonda occorre la meditazione basata sulla consapevolezza. Non basta pensare: ma queste cose sono banali, io le so già! In realtà chi pensa così, poiché non è allenato a guardare le cose in profondità e ad accettare, una volta arrivato a situazioni tragiche (e nello stesso tempo assai normali) come il declino e la morte di una persona cara, crolla e si dispera! Di cosa allora bisogna essere consapevoli? Proverò a fare un esempio, prendendo il caso di Flok.
Prima di tutto posso offrire a Flok, ovunque sia, un’irradiazione di mettaa o gentilezza amorevole. Poi posso osservare quello che c’è, qui ed ora. Noto che c’è un senso di sofferenza ma noto anche che è solo un fluire mentale, un processo di pensiero. In realtà non so nulla di Flok, non so cosa sia meglio o peggio per lui, non so se stia soffrendo o abbia sofferto. Quello che c’è realmente è solo un processo di pensiero.
Siamo anche abituati a vedere di che "colore"(chiamiamolo così) è impregnato questo processo di pensiero, il colore della sofferenza e, risalendo a monte, del desiderio di non soffrire. Buffo: si soffre perché non si vuole soffrire. Questo "colore" di sofferenza è un "segno"(nimitta ) e come tutti i segni può nascere solo da tre condizioni: " Lust is a maker of signs, hate is a maker of signs, delusion is a maker of signs" (Mahaavedalla sutta, MN 43, traduzione Bhikkhu Bodhi ) che possiamo tradurre in senso lato: " Il desiderare è produttore di segni, l’avversare è produttore di segni, l’illusione è produttrice di segni". Se noi perciò scopriamo in noi segni di qualsiasi tipo, possiamo farli risalire a queste tre categorie, in ultima analisi poi riconducibili ad una: il desiderare. Così osservandoli, intuendo automaticamente la loro origine, questi segni (sia fisici-la stretta allo stomaco, le varie contrazioni ecc. – che mentali: il desiderio, la passione, l’avversione) vengono lasciati andare,scompaiono o diminuiscono in forza. E quando scompaiono possiamo osservare quello che c’è ed anche quello che non c’è più, registrare cioè la loro assenza (un passaggio contemplato nel Sutra sui Quattro fattori della consapevolezza) e dimorare in una mente tranquilla e concentrata, salvo poi registrare di nuovo il sorgere di segni, il lasciarli andare di nuovo e così via, finchè i segni diventano sempre più rari e la mente più libera. E questa è una delle tre vie verso la liberazione, la via del senza-segni. Praticare questa via implica un’attività di osservazione mentale intuitiva: è una via e già un arrivo.
Quando lasciamo andare i segni, lasciamo andare. Ci disponiamo cioè in una condizione in cui il minimo desiderare, anche lo stesso desiderio della liberazione, viene notato per quello che è. Un desiderio, un segno. L’abbandonare anche questo fa "stare semplicemente". Questa appare come la seconda via alla liberazione, la via del "senza-direzione", "senza-scopo" o "senza desiderio".
La terza via, che nei testi è in realtà la prima, è quella della vacuità, dell’assenza di un "io" e "mio". Questa viene dall’osservazione di sensazioni, pensieri… elementi, fenomeni che si svolgono nello spazio, senza un io centrale che li raccoglie. Un semplice osservare.
Tutte queste "tre porte" alla liberazione sono in realtà punti di vista diversi della stessa situazione, si può usare una porta oppure un’altra ma si entra sempre nella stessa stanza. E il percorso è anche l’arrivo.