Come si effettua la meditazione sulle Residenze Infinite?
Mentre in passato sono state date indicazioni per lo più sulla gentilezza amorevole, qui parleremo principalmente dell’equanimità.
Possiamo realizzare vari tipi di Liberazione della mente (cetovimutti ): vi sono la Liberazione della mente realizzata con la Vacuità, quella con il senza-segni, quella della Non-direzionalità, quella delle Sedi Infinite. Ognuna di queste, pur partendo da un approccio particolare, contiene in sé elementi delle altre.
Prendiamo ad es. la gentilezza amorevole: quando pienamente sviluppata contiene rottura delle barriere, spaziosità, vacuità (la considerazione che ogni sé non è indipendente dagli altri) e una certa dose di equanimità. La gentilezza amorevole contiene anche consapevolezza e visione profonda.
Consapevolezza perché se visualizziamo esseri che non amiamo particolarmente sorge in noi la sensazione dell’avversione, mentre invece può sorgere consapevolezza dell’attaccamento se visualizziamo esseri a noi graditi.
L’approccio dell’equanimità, come già abbiamo detto, si basa sulle altre tre residenze infinite ma le trascende. Perciò, mentre è vero che non possiamo sviluppare equanimità senza amore e compassione per gli altri, è anche vero che l’Equanimità è una Liberazione della mente che porta al Nirvana, alla Libertà assoluta, alla Liberazione.
Ci sono sette fattori del Risveglio o illuminazione e possiamo vedere come e in quale misura essi siano contenuti nelle 4 Residenze infinite.
Il primo fattore è ' Sati ', consapevolezza. Esso è ben presente nella pratica della gentilezza amorevole, come visto sopra. D’altra parte sati ', quando è completamente purificato dall’equanimità, è un elemento del quarto Dhyana o Jhana, uno degli assorbimenti meditativi più elevati confinante con la Liberazione. Anche se non raggiungessimo mai questo Dhyana, possiamo però apprezzare pienamente questa "consapevolezza purificata dall’equanimità" come uno stato mentale elevato.
Il secondo fattore del Risveglio è chiamato ' Dhamma vicaya ', l’analisi dei fenomeni mentali. Anche questo elemento è presente nelle sedi infinite, soprattutto nella gentilezza amorevole (accorgersi di attaccamento o avversione, gioia o dolore). .
Il terzo fattore del Risveglio è ' Viriya ', che, come fa intuire il nome nella sua somiglianza con ‘ virile’, indica lo sforzo energico che applichiamo meditando. Questo sforzo non deve essere né eccessivo né scarso. Poiché le sedi infinite sono una meditazione piacevole, lo sforzo che vi applichiamo è quello giusto.
' Piti ', gioia, è il quarto fattore del Risveglio. E’ un fattore importante e come tale è anch’esso uno dei fattori dei primi Dhyana o assorbimenti meditativi elevati. Al di là del fatto che noi entriamo o no in questi assorbimenti, è però importante cogliere questo elemento di piacevolezza che sorge dalla concentrazione, dall’irradiazione e dal lasciare andare. Per questo è importante praticare il sorriso interiore, perché esso è sia espressione della gioia sia elemento induttivo della gioia.
Quando l’ego è meno presente, la gioia sorge facilmente: gentilezza amorevole, gioia altruistica e la stessa equanimità inducono facilmente la gioia.
L’apertura e l’accoglienza agli altri, al mondo, alle cose come sono, è ciò che contraddistingue un Buddha, un liberato (qui vorrei ricordare: non siate Buddhisti, siate dei Buddha!) .
' Passaddhi ', la calma, è il quinto fattore del Risveglio. Esso si realizza quando rompiamo le barriere negli stati infiniti e porta a:
' Samadhi ', il sesto fattore del Risveglio, grossomodo corrispondente al risiedere nel primo Dhyana.
' Upekkha ', EQUANIMITA’, è il settimo e ultimo fattore del Risveglio e da questo possiamo rilevare la sua importanza. L’equanimità è di vari tipi (ad es. è importante, durante una seduta, raggiungere l’equanimità verso le sensazioni corporee e mentali, conseguire quindi calma e stabilità nel corpo e nella mente) .
L’equanimità è la sede infinita più importante. Come svilupparla?
Il procedimento appare inverso rispetto a quello della gentilezza amorevole. Mentre in quest’ultimo partiamo da noi stessi e dalle persone care per giungere infine agli esseri più difficili da amare, nell’equanimità partiamo dalle persone indifferenti e poi da quelle ostili e poi torniamo a noi stessi con la considerazione che “OGNUNO E’ EREDE DELLE PROPRIE AZIONI”, cioè del proprio karma, e questo vuol dire, implicitamente, l’accettazione del destino di ogni essere, anche di quelli più cari e anche del nostro, qualunque esso sia. La Liberazione viene in essere proprio quando l’Equanimità è massimamente sviluppata e diventa l’accogliere con distacco qualunque cosa ci accada o accada ai nostri cari o nel mondo, consapevoli che VI SONO CAUSE E CONDIZIONI PER QUESTO.
In sostanza la sofferenza esiste nel mondo (è la prima Nobile Verità) ed esiste perché ne esiste una causa, l’ATTACCAMENTO. L’equanimità porta a trascendere sofferenza e attaccamento, va quindi a sboccare nella Liberazione ed è una caratteristica dell’essere liberi.
Le “Residenze infinite” sono anche dette “dimore divine” o brahmavihara perché, a detta del commentatore Buddhaghosa, sono ‘eccellenti’ e ‘immacolate', ossia immateriali, come gli dei che popolano i mondi senza forma o immateriali di Brahma, i livelli di esistenza più sottili. Perciò, secondo Buddhaghosa, “i meditanti che entrano a far parte di queste dimore, dimorano sullo stesso piano degli dei di Brahma”.
Secondo Winston L. King (La Meditazione Theravada, Ubaldini, p.80) il significato di ‘illimitatezza’ “ va senza dubbio cercato nell’analogia con la semi-infinità degli dèi in termini di tempo e spazio, e allo stesso tempo suggerisce la possibilità di raggiungere il traguardo della totale universalizzazione estendendo tali atteggiamenti a tutti gli esseri in tutti gli universi”. Sono “quanto di meglio possa esservi nel retto atteggiamento verso gli esseri”.
Riguardo alla superiorità dell’equanimità rispetto alle altre tre dimore, Buddhaghosa pone l’accento sul fatto che le prime tre sono ancora associate a un coinvolgimento emotivo con gli esseri, “perché biasimo e approvazione sono vicini [nella mente del meditante] e perché la loro associazione con la gioia è di tipo grossolano. Il meditante poi dovrebbe considerare la superiorità dell’equanimità in quanto è uno stato di quiete”.
Buddhaghosa, che amava gli esempi, esemplifica il raggiungimento della “rottura delle barriere” riguardo agli esseri in questo modo:
“Supponete che un uomo sia seduto in compagnia di una persona cara, di una indifferente e di una ostile e che egli stesso sia il quarto. Ora sopraggiungono dei banditi e gli dicono: ‘Venerabile signore, consegnaci un bhikkhu (monaco)’ e, richiesti del perché, quelli rispondono: ‘ Per ucciderlo e offrire il sangue della sua gola’; allora se quel bhikkhu pensa tra sé: ‘Che si prendano questo o quest’altro’, costui non ha abbattuto le barriere. E se pure pensa: ‘Che prendano me, non questi tre’, neppure allora egli ha abbattuto le barriere.
E perché? Perché egli vuole il male di colui che desidera sia preso e vuole il bene solo degli altri tre.
Ma quando non vede nemmeno uno fra i quattro da consegnare ai banditi e dirige la sua mente con imparzialità… (allora) egli HA ABBATTUTO LE BARRIERE".
domenica 19 novembre 2006
Gentilezza amorevole,equanimità, fattori del risveglio
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