venerdì 19 dicembre 2008

INDIFFERENZA AL VIVERE O AL MORIRE = LIBERAZIONE

Parlerò di qualcosa che normalmente viene taciuto, di cui ci si vergogna. Poiché predico la spaziosità e l'assenza di sostanzialità, la metto apertamente a disposizione. A qualcuno potrà servire.


Vi è mai capitato di pensare a porre fine alla vostra vita? A me è capitato un paio di volte nella vita, una per disperazione amorosa a 23 anni e una di recente (ieri). E' sorta in me, mentre tornavo da scuola, questa idea: che non ho niente per cui vivere, che in assenza di questo qualcosa potrei anche morire: in sostanza, potrei porre fine alla mia vita. Ho cullato l'idea per un bel po', con mia grande sorpresa. Ho riflettuto che essa deriva dall'attaccamento, dall'attaccamento a situazioni da me vissute. In assenza di queste si è formata questa idea. Quello che mi ha colpito in ciò è l'assenza di paura. Quando non c'è senso nella vita, non c'è rimpianto, non c'è nemmeno disperazione.


Ho riflettuto sulle varie persone che si sono suicidate, anche di recente. Evidentemente quest'assenza di senso le ha colpite, da cui la disperazione. Nel mio caso non c'era disperazione (forse solo una piccola traccia). C'era anzi come un senso di libertà. Mi sono focalizzato, incuriosito, su questo senso di libertà. Ho riflettuto che esso era, in negativo, quello che si prova (che ho provato) in esperienze di liberazione, anche temporanee. In queste esperienze esso ha un valore, diciamo positivo. In realtà questa è una concettualizzazione: positivo, negativo. E' come il discorso della tazza mezza piena o mezza vuota: solo mezza è (e anche mezza non è soddisfacente come termine, essendo la negazione dualistica di ‘tutta' - il linguaggio, come notato da Nagarjuna e Wittgenstein, non è neutro)! Da questo cogliere eventualmente il senso di angoscia o quello di spaziosità / liberazione, viene fuori quella ambivalenza delle esperienze che è caratteristica del fatto dei due livelli di verità: è come quando Nagarjuna dice che non vi è linea di confine fra Samsara (il mondo fenomenico) e Nirvana. Le due cose si sovrappongono anche se si tratta di due stati (mentali) non propriamente identici (si potrebbe dire che il Nirvana è la qualità che eccede la quantità samsarica).


Ringraziatemi, o meglio, poiché non esiste nessun essere sostanziale, ringraziate le esperienze che vi comunico. Vi sto offrendo la possibilità di una riflessione di prima mano su quello che è un'esperienza di liberazione, quasi in presa diretta. Sempre ho tentato di fare questo, nelle newsletter e nelle discussioni che seguono le sedute. Portare l'esperienza, anche la più piccola e apparentemente insignificante, piuttosto che leggere libri - come vedevo si faceva altrove.


Cos'è allora questa esperienza? Si tratta di entrare a piedi pari, senza paura, nel dominio della morte. Si noti che anche qui il linguaggio non è neutro: ‘il dominio della morte', un concetto che non corrisponde a nulla di sostanziale, ma che bene rende l'idea. E' un po' come quando si sperimenta la liberazione: si ha l'idea come di essere entrati in un'altra dimensione, ma è solo un'idea, siete sempre qui.


[E' importantissima questa attenzione al linguaggio!]


Vi porto nella mente di una persona che prima, senza sgomento, pensa di porre fine alla sua vita [e quanti si saranno fermati e si fermeranno solo qui?] e che poi riflette come questo senso di vuoto, di spaziosità [il vuoto è spazio], di libertà sia, appunto, lo stesso senso di libertà della Liberazione (intesa come esperienza mistica). L'altra Faccia della Collina, come scrissi un tempo: la capacità di vedere nei fattori apparentemente negativi, l'aspetto illuminante, liberatorio.


Ancora una volta sgomento e angoscia [e, nel caso di almeno una persona che conosco, anche rabbia] vengono fuori dall'attaccamento cieco, quasi inconsapevole. E' il sorgere in dipendenza, la genesi condizionata. Dall'aver sperimentato belle sensazioni sorge il desiderio, sorge l'attaccamento, sorge l'afferramento, sorge il venire in essere [la NASCITA] delle situazioni. Ma con queste sorgeranno anche inevitabilmente decadenza delle situazioni e fine delle stesse [la MORTE]. E' tutto qui.


Quindi ieri sera e nella meditazione di stamani ho colto questo meraviglioso senso di liberazione, di libertà dalla paura. E' la libertà di cui godono i Liberati, i Buddha. Nel mio caso è temporanea, so che appena si ripresenteranno le condizioni, cioè da stamani stesso, sarò rigettato nel vortice mondano, con attaccamenti, giudizi, sofferenze. Ma intanto ho vissuto questa grande esperienza di libertà, di momentanea assenza di attaccamenti (che sono i creatori diretti della paura). Ringraziamo quest'esperienza.

mercoledì 10 dicembre 2008

Senza scopo, perché?





"Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti …"



In un numero precedente (ottobre 2008), abbiamo parlato del ‘senza scopo, senza direzione’  E’ difficile ma bello stare senza scopo. Si può praticare il ‘senza scopo’ durante la meditazione ma anche nella vita. C’è un rapporto complesso tra i due momenti. Nella seduta meditativa ci possiamo proporre il mantra ‘senza scopo / senza direzione’ ma possiamo anche chiederci da dove provenga questa parola d’ordine. Il meditatore sano non deve approdare a nessuna dogmatica.


Cosa c’è dunque a monte di questa frase?


Ricordo un fatto del mio inizio meditativo. Dopo due anni che praticavo, quindi nel 1989, mi accorsi ad un certo punto di come ci fosse qualcosa di sbagliato nello sforzo meditativo che facevo. Non che la tecnica fosse sbagliata: allora ero molto più ‘tecnico’ di ora, con una pratica di consapevolezza più strutturata. Mi accorsi comunque che c’era in essa qualcosa di malsano, questo desiderio di essere consapevolmente attento e preciso mi creava una certa tensione. Sentivo che c’era un desiderio forte che, pur avendo una valenza positiva ‘spiritualmente’, si volgeva in negativo, creandomi appunto tensione. Meditazione e tensione non vanno d’accordo. Illuminazione e tensione, me ne sarei accorto anni dopo, sono antitetici. Perciò l’ideale meditativo è quello di una presenza vigile ma non tesa.


In questo episodio isolai un elemento che era di fastidio. Come chiamarlo se non desiderio? Benché questo desiderio (di attenzione, di consapevolezza) fosse apparentemente positivo, esso, per sua natura, diveniva negativo implicando costrizione e repressione. Un dualismo fra l’essere e il dover essere insomma. In base a questo ho in seguito capito meglio la ‘genesi condizionata’ spiegata dal Buddha. Questa genesi condizionata indica gli elementi dinamici (non statici) che fanno sorgere i vari tipi di situazione. Al centro di questa rete di condizionamenti vi è appunto il DESIDERARE.


E’ sulla base del desiderare che sorge ogni situazione nel mondo degli esseri viventi (di ogni tipo- al contrario delle dottrine teiste/dualiste, il Buddhismo non prende in esame solo l’uomo ma tutti gli esseri viventi).


A sua volta il desiderare ha a monte qualche altra componente che ne determina il venire in essere. Non si desidera qualcosa se questo qualcosa non ci ha prima, in qualche occasione, fornito una SENSAZIONE piacevole, sia pure entrando in contatto semplicemente con gli organi di senso, anche solo con la vista o l’udito. Quindi il Buddha, il Risvegliato alla verità delle realtà [questo significa il suo nome] asserì che tutto nel mondo, incluse le speculazioni intellettuali, deriva dalla sensazione. E’ la sensazione (piacevole o spiacevole) che fa nascere il desiderio (o il suo rovescio, l’avversione).


Il desiderio implica voler afferrare o realizzare quello che si desidera (‘Ma la passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie’ – F. de Andrè). Questa è la fase dell’AFFERRAMENTO che a sua volta dipende dal DESIDERARE che a sua volta dipende dalla SENSAZIONE. Ecco, ho spiegato con pochi concetti una teoria assai più complessa, quella del SORGERE DIPENDENTE.


Una volta capito cos’è il sorgere dipendente o genesi condizionata, possono sorgere vari interrogativi alla persona intelligente. Mi spiego: se questo mondo ha la sua nascita in questa serie di legàmi, come si può pensare che sia una pratica di liberazione, dalla miseria di questo stesso mondo, quella che ha implicito qualcuno di questi elementi?


Lo dicevo l’altro giorno, facendo jogging, ad una mia amica. Mi parlava criticando quelli della Soka Gakkai, con il loro discorso basato sul cercare di ottenere ciò che si desidera. A parte che io ritengo che non tutti gli esseri umani siano uguali come predisposizioni e che quindi per qualcuno vada bene anche questo (meglio che niente), facevo rilevare come questo avesse poco a che fare con il discorso originario del Buddha (loro si dichiarano buddhisti) con questo loro insegnare una sorta di preghiera per conseguire i propri desideri. Le dicevo anche di aver conosciuto, tra l’altro, delle persone che ne erano rimaste molto deluse non essendo, in effetti, riuscite ad ‘afferrare’ ciò che desideravano. E questo ha a che fare qualcosa con l’eliminazione della sofferenza che era il vero discorso del Buddha? Il desiderio alimenta il desiderio e prima o poi si incappa nell’insoddisfazione. “Tutti i tipi di preghiera” asserivo “ hanno in sé questo elemnto impuro, il desiderare, il voler soddisfare qualcosa”.


“ Ci sono tipi di preghiera” disse lei” che non sono necessariamente così” .


“ Credo comunque che ci sia sempre un dualismo, un porsi verso ‘qualcosa’ o ‘qualcuno’ che poi si risolve in una creazione concettuale. Si crea un’entità inverificabile e ci si pone in sua adorazione. Io penso invece che tutti i fenomeni e tutti i concetti siano privi di una verità assoluta; perlomeno quello che viene costruito in questo modo non ha niente di verificabile” .


Ecco il perché del ‘senza scopo / senza direzione’, senz’altro la pratica più povera e più scarna che esista. La pratica senz’altro più difficile, il deserto di tutti i concetti e, quando questi si presentino, la loro verifica tramite questa unità di misura: ‘E’ questo concetto senza scopo o ha uno scopo, dipendendo quindi dal desiderare?”. Questo crea davvero il deserto concettuale.

Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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