sabato 22 ottobre 2011

GIUSTIZIA SOCIALE ED EQUANIMITA’


“Qualunque sia il limite del Nirvana
Quello è il limite dell’esistenza ciclica (samsara ).
Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro
E nemmeno la cosa più sottile”
(Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika 25)


Qualche tempo fa era appena uscita la nuova ‘stangata’ o finanziaria di questo governo con un mucchio di nuove misure che ci colpiscono nella sanità e nei servizi sociali in generale. Mi trovavo al bar e dissi ad una coppia di miei conoscenti qualcosa come ‘si mettono male le cose per tante persone’. Questi due, che sono due ‘cristiani’ a modo loro, forse anche un po’ influenzati da un certo berlusconismo, si sentirono in dovere di tornare dopo un po’ e di dirmi: ‘ma come, tu dici che bisogna accettare e poi…’. La mia risposta fu: ‘Io sono per accettare qualsiasi cosa, a livello personale. Ma qui siamo a livello sociale. Ci sono persone che vivono con 600 euro di pensione - tra queste un mio amico - che con 800 euro devono pagare l’afffitto. Una cosa è il livello personale, una cosa è il livello sociale’.

Ci sono ideologie un po’ sul tipo New-Age che vogliono vedere ‘tutto bello’ e che in nome di questo perdono ogni visione della realtà e della compassione. Max Weber a suo tempo faceva notare come anche le ‘ideologie religiose’ siano influenzate dalla nostra posizione sociale. L’ebraismo ad es., con la sua visione dualistica del mondo, è nato in una comunità di pastori, in mezzo a guerre, ladrocini e altro e non poteva, a mio parere, che sviluppare un’ideologia dualistica - il Bene e il Male - , un po’ come molte altre religioni antiche (anche il Cristianesimo, sia pure con qualche superamento dei tratti più arcaici dell’ebraismo). In un ambiente borghese ci si concentra sul proprio ‘star bene’ e si perde di vista la complessità sociale. Allora si accetta quello che ci piace e ci torna comodo accettare. 

Allo stesso modo ci si indigna per la violenza in alcune manifestazioni e non si vede la violenza più impersonale che il capitalismo opera in questa società. Questa è una violenza che non si sporca le mani ma che mette sul lastrico lavoratori anziani senza alcuna possibilità di ritrovare lavoro o due generazioni di giovani precari; una violenza che poi ha i suoi incappucciati nei vari ‘corpi speciali’ (non ho mai capito perché i cosìddetti tutori dell’ordine si travestano come banditi), nei servizi segreti che hanno promosso le stragi degli ultimi cinquant’anni, nel pensiero ‘unico’ che parla di un ordine sociale che appare ingiusto, dove un dieci per cento della popolazione possiede quasi il 90 % della ricchezza nazionale.

Tornando alle persone che vedono ‘il Creato’ come tutto bello, che parlano di vedere la bellezza della creazione ecc., mi è sempre venuto in mente come nel più bel paesaggio si perda di vista la complessità della vita. Se si va a scavare, se si usa cioè un metodo analitico superando le impressioni o le emozioni, anche il più bel paesaggio ha in sé nascosti crudeltà e sopraffazione. In quella bella collina, sotto quelle verdi foglie, quanti animali piccoli o grandi stanno assalendo altri animali, quanti animali stanno soffrendo sotto l’aggressione o nel TERRORE di essere divorati, quanti esseri stanno soffrendo la fame? Si vuol vedere la bellezza del creato ma se si va a vedre, si potrebbe percepire tutta la violenza e la sofferenza che vi sono nel cosiddetto creato.

Ho riflettuto molto in questi giorni su un episodio che vedo ogni tanto accadere nel mio bagno. Qualche falena o anche qualche mosca vi si introduce e poi rimane attirata dalla luce, vi si appiccica, perde probabilmente ogni visione e dopo un po’ addirittura muore per il calore di quella lampada che tanto l’attira. Questa è davvero una metafora della sofferenza. Siamo attratti da cose che a volte ci fanno soffrire fino al punto di morirne (lo si vede dai vari delitti che i giornalisti sciacalli ci propinano a giornate intere in televisione). Quando vedo queste falene che addirittura penetrano all’interno dell’involucro della lampada per essere più vicine alla luce che le attira e le acceca, il paragone con l’esistenza umana mi appare in tutta la sua evidenza. Ho pensato anche di salvarle, queste falene o mosche, ma ad ogni modo sono già condannate, cieche come sono. Con un po’ di sofferenza accetto il loro destino.

Ogni tanto, oltre alla meditazione di gentilezza amorevole che rivolgiamo a tutti gli esseri, noi pratichiamo anche la meditazione sull’equanimità. Si può dire che equanimità ed accettazione siano quasi la stessa cosa. Fra i sette fattori che portano alla liberazione l’equanimità è il fattore più elevato. Non va confuso con l’indifferenza perché è bilanciato dai fattori della benevolenza, della compassione e della gioia per la gioia altrui ma ha qualche somiglianza. L’equanimità è basata sulla ‘visione’, la visione delle cose come sono, la visione che nel mondo esiste la sofferenza e che essa deriva dall’avidità e dall’attaccamento ai piaceri sensoriali - la falena ne è un bell’esempio! Nella meditazione di equanimità noi partiamo da lontano (tutti gli esseri viventi) prendendo atto che ‘tutti gli esseri sono eredi delle proprie azioni’ (o, più correttamente, della proprie intenzioni) e man mano restringiamo il campo finché arriviamo alle persone più care. Qui è difficile accettare il destino (‘qualunque esso sia’) delle persone più care: se le cose vanno bene, OK, ma se le cose vanno male, se una persona cara soffre, è assai più difficile accettare. Pure dobbiamo farlo. 

Io dico sempre che mentre da una parte dobbiamo fare tutto il possibile per ‘spostare qualche virgola', nel senso di fare il possibile per il bene di queste persone, per migliorarne la condizione o alleviarne le sofferenze, pure ‘non possiamo spostare i punti’ che sono poi la condizione oggettiva della vita umana. L’unica cosa che resta da fare, per la nostra stessa salute mentale, è l’accettazione, l’equanimità. Irradiare senza scopo è allora la pratica meditativa dell’equanimità. Vale lo stesso nei nostri confronti. Dobbiamo accettare che non siamo eterni e che siamo esposti a tutte le possibilità negative di questo mondo. Mentre non possiamo evitare la sofferenza fisica, possiamo però evitare la sofferenza mentale.
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NON E’ MAI TROPPO TARDI PER IMPARARE LA MEDITAZIONE!

NON C’E’ NULLA DI DIFFICILE NELLO STARE SEDUTI E GUARDARSI. A S. ANDREA DI COMPITO,  IN VIA DELLA TORRE 9 (FINCHE’ C’E’ BEL TEMPO ALL’APERTO, IN VIA COL DEL MORO, QUINDI EVENTUALMENTE TELEFONATE: 0583.977051). CHIEDETE L’ISCRIZIONE ALLA NEWS ANCHE PER AMICI E SE CAMBIATE INDIRIZZO E-MAIL SEGNALATECELO.
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