lunedì 19 dicembre 2005

Riconciliarsi con il mondo-così com’è - 2

Meditazione e salute, cancro ecc.




Dopo aver scritto la prima parte di “
Riconciliarsi con il mondo”, un amico mi ha fatto conoscere le teorie e i libri del Dottor Hamer. Perché ne parlo qui? Perché c’è connessione con il discorso di riconciliarsi con le cose così come sono, evitando il dualismo del Bene e del Male, del Buono e del Cattivo.

Questo Dott. Hamer è il padre di quel giovane che il nostro virtuale reggente (se ci fosse la monarchia) Vittorio Emanuele di Savoia colpì con una fucilata durante una lite per futili motivi il 16 agosto del 1978. Ricordo il caso. Il padre, l’oncologo tedesco Ryke Geerd Hamer, dopo aver assistito all’agonia ed alla morte del figlio, dopo qualche mese sviluppò un tumore testicolare.

Da qui nacque la sua ricerca sulle cause del tumore che lo portò a sviluppare una teoria del tutto eterodossa rispetto alla medicina ufficiale tanto che è stato espulso dall’Ordine dei Medici, gli è stato proibito di divulgare la sua Nuova Medicina ed addirittura è stato arrestato. Tutt’ora, alla splendida età di 70 anni, si trova in prigione in Francia e gli si chiede di “abiurare”.


Benché alcune sue affermazioni (come quella di un complotto di una setta sionista contro di lui) facciano pensare a farneticazioni- ma poi chi lo sa realmente?- occorre dire che le sue tesi escono dal solito bla-bla della medicina olistica per la possibilità di essere controllate scientificamente e precisamente con l’uso della TAC al cervello. Non posso che rimandare a una ricerca su Internet o sui libri chi fosse interessato; ma il nucleo del suo discorso merita di essere riportato.


Stringendo-stringendo in sostanza egli asserisce che tutte le forme tumorali derivano da un conflitto improvviso, inaspettato, che “prende in contropiede” le persone e che viene vissuto in forma irrisolvibile e in isolamento (non si tratta degli ordinari conflitti quotidiani che siamo preparati a trattare e che in genere risolviamo in qualche maniera) . Egli dice anche che se il conflitto viene risolto la natura stessa mette in atto dei meccanismi di riparazione che vengono scambiati, dai dottori, come espansione del tumore e vengono operati con un grave danno per la salute del paziente.


Dice anche che questo spiega i tumori anche negli animali e in parte nelle piante e critica la visione biblica del mondo che ha portato a considerare gli animali come cose prive di “anima” : se lasciamo andare i dogmi ebraico-cristiani e osserviamo empiricamente e senza pregiudizi le cose possiamo renderci conto che gli animali sono esseri intelligenti come noi che vivono i conflitti alla nostra stessa maniera. Ovviamente Hamer è del tutto contrario alla crudele e inutile sperimentazione animale.



Riflettendo su questo ho colto subito le connessioni con la necessità di accettare il mondo così com’è. Solo accettando e comprendendo il mondo e le sue necessità possiamo superare il conflitto, liberarci dal conflitto.

Il mondo può essere accettato così com’è però solo se noi riusciamo a liberarci dei concetti dualistici (ad es. il Bene e il Male intesi come entità, discorso caro a ogni fondamentalista – ancora una volta Bush e Bin Laden insieme) e solo se incominciamo a vedere con mente libera che viviamo tutti, semplicemente, invischiati e interconnessi nella rete delle nostre intenzioni e azioni, nella rete della legge di causa-effetto; ma possiamo farlo solo se riusciamo a vedere che ciò che muove noi stessi e di conseguenza il mondo è la nostra credenza nel sé assoluto e nei concetti assolutistici che ne derivano.


Attaccati al sé come siamo, abbiamo bisogno di crederlo assoluto e di conseguenza creiamo una rete di strutture metafisiche assolute. Per darci certezza, per superare lo sgomento che l’umanità ha sempre provato. Insomma abbiamo creato prima gli spiriti, poi gli dei e infine un dio unico e geloso di questa sua unicità al punto di chiedere di versare il proprio sangue per lui (i martiri) e magari quello degli altri (crociate varie, profeti ecc.) (vittima come sono anch’io di queste strutture metafisiche, mi aspetto di essere fulminato da un momento all’altro) .


Dicevo di recente, a tavola con i miei, che c’è solo questo grande mistero del perché il mondo c’è invece che no, ma che ogni tentativo di dare un nome a questo mistero è falsificante, misero e soggetto alla più elementare critica di un bambino (se c’è qualcuno che crea, chi ha creato il creatore? E se c’è un essere perfetto, che bisogno aveva di creare? Creare implica una mancanza, mancanza implica imperfezione) . Invece di affidarci alle nostre creature, possiamo invece evidenziare quello che ci muove e muove davvero il mondo: egocentrismo, egoismo, assolutismo, desiderio, avversione...


Possiamo lasciare andare le nostre concettualizzazioni e vedere ciò che c’è davvero.



Nella meditazione di visione profonda non cerchiamo di ottenere cose. Non cerchiamo affatto di arricchirci, di avere corpi astrali, fiammelle, aloni o aureole. Siamo molto più poveri, tendiamo a scarnificare, a impoverire. Per questo così pochi la praticano. Stare lì a imparare a non desiderare niente di particolare non è certo la più gratificante delle imprese. Così arrivano persone attratte dalla “Meditazione” con la M maiuscola, entusiaste, pronte a scavalcare mari e monti... e la volta dopo non ci sono più. E’ così, non c’è problema, si può solo provare una gentile ironia.

Capitano anche cose straordinarie, poteri più o meno temporanei, nella meditazione, ma guai a lasciarsene attrarre. Se ne resta catturati, l’ego ingigantisce. Guaritori, astrologi, lettori del futuro ecc., ovunque ci sono dei Milingo. Sono sottoprodotti della pratica. Nè li avversiamo né li vogliamo.

Allo stesso modo, non è che pratichiamo per ottenere la salute (detto fra noi, ad un certo punto non si sa più nemmeno perché pratichiamo, pratichiamo e basta) , anche questa, forse, è un sottoprodotto della pratica. Nè l’avversiamo né la desideriamo ma con una risata possiamo dire che se c’è è meglio.

Una cosa però è certa. Tutti ci dovremo ammalare, deperire e morire.

Ma è probabile (probabile, non certo) che una pratica che ti porta ad accettare e quindi a comprendere e quindi sedare il conflitto sia positiva sotto questo aspetto. E che ti permetta anche di aiutare altri.

Per questo è importante, a mio parere, durante la pratica, osservare sensazioni, pensieri ecc. ma anche gli “stati d’animo” . Credo che quasi tutti ci portiamo dentro dei conflitti. Siccome qualche conflitto ce l’ho anch’io, vi dico come lo tratto. Mi metto in meditazione seduta, osservo il respiro, le sensazioni, osservo lo scorrere dei pensieri come fossero titoli di un film... poi osservo quel determinato stato d’animo e prendo rifugio mentalmente nella “vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti” ed in particolare osservo come vuoto, transitorio, privo di sostanza reale quel determinato conflitto o stato d’animo.

Sapere che anch’esso non ha sostanza reale, che anch’esso fa parte del trascorrere dell’impermanenza, mi dà pace. Mi distacco da esso e distaccandomi lo vedo, ne apprezzo la transitorietà e così mi pacifico. Ma ho bisogno di sedermi per fare questo distacco. Se siamo sempre in movimento come possiamo avere consapevolezza, visione, distacco e pace?


Mancanza di controllo

Quello che possiamo conoscere realmente del mondo, al di l delle ideologie religiose costruite sulla base delle nostre predisposizioni mentali, basato sulla nostra esperienza. Sulla base di questa vediamo che tutto si risolve in insoddisfazione, sofferenza. Abbiamo, ad es., una bella situazione e con consapevolezza ci rendiamo conto che siamo felici, abbiamo tutto per essere felici( in verit anche questa consapevolezza rara: la maggior parte delle persone tende a lamentarsi in ogni occasione) ed ecco che tutta un tratto questa situazione cambia, si trasforma, crolla, ci frana sotto i piedi. Tentando di afferrare quello che possiamo, ci accorgiamo di soffrire perch le cose non vanno come vorremmo. Questa un'esperienza frustrante che senz'altro abbiamo sperimentato tutti. Ma da cosa viene tutto questo soffrire? Ancora pi importante: perch questo soffrire si trasforma in depressione, talvolta cronica e la gente deve ricorrere ai veleni della chimica moderna per curarsi?

Partiamo dalla depressione. Perchè ci deprimiamo? Non lo facciamo forse perch tutto ci sfugge sotto i piedi, perch sentiamo di non avere alcun controllo della nostra vita? Facciamoci caso: questa la verit che vogliamo tenere pi nascosta, che celiamo agli altri vergognandocene, che celiamo ai nostri figli per paura che vedano la vita per quello che : una massa di insoddisfazione intrecciata a tutti gli altri momenti del vivere, inscindibile da essi. Bisogna dire che lideologia del secolo, quella del successo, dello stare bene, del giovanilismo, del vincitore, non aiuta. Di fronte al continuo bombardamento di immagini di persone felici perch hanno quel telefonino o il vestito firmato, stare male decisamente fuori moda. Tutti sono felici meno noi? Ci sentiamo come degli straccioni in un mondo ricco ma questo gravissimo, non va mostrato, pena lemarginazione: chi vuole stare con una persona depressa? Cosa facciamo allora? Invece di affrontare apertamente questa massa di insoddisfazione e di sofferenza, la nascondiamo sotto il tappeto, adottiamo qualche maschera, oppure ci lamentiamo:

perchè proprio a me?

Le stesse ideologie religiose o new-age ci servono poco: possiamo cercare di vedere tutto rosa, tutto positivo, pensare a qualche disegno misterioso che permea la storia umana e che ci impone di soffrire per poi ricevere un premio, non fossaltro unevoluzione (che per, possiamo osservare, non sempre avviene: ho anzi molti esempi di involuzione sotto gli occhi); possiamo darci a comprare questo e quello e riceverne una misera soddisfazione momentanea, possiamo metterci a fumare furiosamente, a bere o a drogarci. Per inciso vedo spesso, nella sigaretta accesa nervosamente, un esempio di fuga dalla situazione spiacevole, una fuga che diventa unabitudine addormentante col tempo e che sar poi a sua volta fonte non pi di piacere ma di estreme sofferenze.

Mi chiedo allora: invece di nascondere sotto il tappeto tutta la miseria del vivere, perch non trovare il coraggio di guardarla in faccia, di indagarla, di servirsene per vedere le cose come sono, cio appunto una massa di insoddisfazione? Perch non ammettere francamente, con noi e con gli altri, che sì, in effetti l'esistenza implica la sofferenza, tanto più gravemente perchè non vi abbiamo alcun controllo?! Lasciamo da parte tutti gli anestetici che usiamo normalmente (sport, mode, fumo, droghe, politica, religione ecc.) e usiamo la sofferenza per scardinare la sofferenza. Ma come possiamo sconfiggerla se non sappiamo da cosa viene? Se non la indaghiamo? Perchè si soffre? L'origine della sofferenza è il fatto che il nostro desiderare non soddisfatto; oppure che, una volta soddisfatto, l'abitudine al desiderare spinge a cercare qualcosaltro, in una corsa infinita, oppure ancora, che una volta soddisfatto, il sè si ritrova con una situazione che d'improvviso cambia, senza il suo volere! Si soffre, in sostanza, perchè ogni cosa dipende da ogni altra cosa ed ogni altra cosa dipende da ogni altra cosa e cos via allinfinito; non c un centro, non c stabilit da nessuna parte, non c nulla di sostanziale. DIPENDENDO DA ALTRE COSE, OGNI COSA E ESTREMAMENTE INSTABILE, E SEMPRE SULLORLO DELLA MUTAZIONE, ANZI MUTA IN CONTINUAZIONE. E come un gigantesco gioco del domino, dove il crollo di una carta modifica lassetto del tutto. Perci appare come il desiderare sia la fonte del soffrire: il desiderare fa sorgere lafferrare, lattaccarsi alle cose o situazioni, il creare lillusione di una loro sostanzialit, ma lattaccarsi vano poich ci a cui ci attacchiamo CONDIZIONATO da una serie di altri fattori fuori dal nostro controllo.

VIVIAMO SULLE SABBIE MOBILI. Ma se tutto dipende da tutto, se tutto perciò è instabile, se non c'è un un centro, è mai possibile che noi invece siamo stabili, un sè completo, eterno, indistruttibile (si noti che questo è il concetto di anima)? O non è forse il caso di pensare che anche il nostro sè, dipendendo da mille fattori, condizionato da mille fattori, sia sostanzialmente un fluire di vari elementi psico-fisicitenuti insieme dalla forza centrale delluniverso, il desiderare- ed in particolare il desiderare di esistere? Si rifletta e si indaghi su questo, non si accetti nessuna soluzione a priori ma ci si affidi appunto allindagine. In ci potr essere utile il cominciare a vedere le cose che accadono in noi- sensazioni fisiche, percezioni, il pensare- in maniera un po pi impersonale, cose se assistessimo ad un film: c una sensazione fisica , c una percezione, c un pensare. Solo distaccandosi un po possibile osservare le cose in maniera pi oggettiva, senza il condizionamento dellenostre propensioni. Allora cominceremo forse a vedere, a vedere realmente come si muovono le cose, come si condizionano reciprocamente e che non c bisogno

di soluzioni metafisiche per comprendere luniverso. Scopriremo forse che la sofferenza, linsoddisfazione, sorgono dal nostro continuo voler afferrare, il voler credere solido, duraturo ci che in realt non ha sostanza. Poich noi stessi non siamo duraturi, permanenti ma partecipiamo dellinsostanzialit di tutto luniverso, non sar forse il caso di smettere di voler afferrare, di imparare a lasciar-andare, a lasciarsi andare, a fluire con la mobile insostanzialit del tutto? Non sar forse in questo accettare, la via all'essere liberi? Si noti bene: essere liberi non significa essere indipendenti: perfino il Buddha, Gesù, l'idea di Dio ecc. sono dipendenti, non sorgono in maniera indipendente dall'interdipendenza generale dell'universo. Essere liberi vuol dire aver pacificato i tre condizionamenti del desiderare, dell'avversare e dell'illusione, per cui , senza più lo spettro del sè, si fluisce con le cose. Vuol dire stare nel mondo senza essere toccati dal mondo. Ma riuscite ad immaginare realmente una cosa del genere? Siete mai stati realmente liberi?

LIBRI:

Rune E. A. Johansson, La Psicologia del Nirvana, Ubaldini ed. ,L. 12000.

Nonostante la bruttezza del titolo questo è uno dei libri più interessanti che siano stati scritti sulla questione del Nibbana/nirvana; l’autore è un buon conoscitore della lingua antica pali ( ha scritto Pali Buddhist texts, An Introductory Reader and Grammar, Curzon, 1973) ed il testo è pieno di citazioni in pali e in traduzione. E’ un libro estremamente interessante.

Consiglierei anche : Nagarjuna, Le Stanze del Cammino di mezzo (Madhyamaka karika), Boringhieri. Lo faccio esitando per la sua difficoltà ma è un testo davvero importante.

sabato 19 novembre 2005

Se incontri il Buddha uccidilo

Capita spesso che nelle sedute di meditazione o in altri momenti della vita qualcuno entri in argomenti ‘religiosi' (o ‘politici' o ‘sindacali' o ‘sportivi' ecc.). Capita spesso anche di venire identificato come ‘buddhista' , nel che non ci sarebbe nulla di male, a parte l'uso di un - ismo, -ista che è pericoloso perché serve a incapsulare le persone, a ‘reificarle', cioè a ghettizzarle mentalmente in qualche categoria mentale ...E non ci sarebbe nulla di male se si conoscesse veramente il discorso originale del Buddha, che è un discorso di Liberazione, di Libertà assoluta, anche dalle etichette. Purtroppo si parla a sproposito e perfino nel campo della scuola, dove si dovrebbe avere il privilegio della ‘Conoscenza' (l'ho ‘reificata' usando la maiuscola), non si sa nulla di storia delle filosofie e religioni...Ognuno trasmette la sua visione del mondo, a cui è ferocemente attaccato, senza preoccuparsi di vedere le motivazioni degli altri e tantomeno di vedere realmente le proprie... così si attaccano al giorno d'oggi le ‘sette' senza rendersi conto che ogni religione è una setta (compresa la cristiana ,la buddhista, la musulmana), ogni partito è una setta, ogni sindacato è una setta, ogni squadra di calcio è una setta...E' una setta tutto ciò che invece di rendere liberi crea attaccamento, asservimento, a Gesù, a Dio, al Buddha, a Mohamed,a berlusconi, a d'alema, a fini, alla cgil e così via. Tutto ciò che insomma impedisce l'uso dello spirito critico, della libertà. Chi educa ad es. allo spirito critico nelle scuole? Forse gli insegnanti che insegnano religione? Forse coloro che trasmettono attaccamento alle grandi figure come Gesù, Buddha, Marx ecc.? Il cosiddetto plagio è molto più diffuso di quanto si sospetti . Come insegnante vedo arrivare in prima classe bambini già indottrinati (nel senso veramente peggiore del termine)e vedo colleghi che contribuiscono felicemente a questo indottrinamento, vedo altri che li indottrinano in altre direzioni; io stesso sono sospettato di volere, nascostamente, indottrinare...

Ho un grande rispetto per il Buddha perché lo riconosco come l'unico pensatore veramente libero che ha ricondotto ogni -ismo, ogni forma religiosa, ogni punto di vista a quello di cui realmente si tratta: l'attaccamento al sé, all'ego. Detto questo non ho altro attaccamento per il Buddha. In un'occasione mi è capitato di dire: ‘ faremmo veramente un pessimo servizio al Buddha... se ci preoccupassimo del Buddha'.

Quello di cui ci dobbiamo occupare con impegno è invece quello di essere mentalmente liberi. Il contenuto dell'esperienza di Risveglio che ebbe il Buddha e che hanno avuto tutte le persone risvegliate dopo di lui è quello della libertà assoluta...nessuna paura, nessun condizionamento, niente di niente... la felicità della non-ostruzione, dello spaziare senza ostacoli.

Detto questo ecco il motivo della mia riconoscenza a questo grande uomo. E' dare pane al pane.

Il Buddha disse: il mio insegnamento è come una zattera: serve ad arrivare alla riva della libertà ma se poi ve la caricaste sulle spalle vi sarebbe d'impaccio, di grave peso.

Il suo discepolo, Nagarjuna, asserì che anche ogni insegnamento del Buddha, come tutti i fenomeni del mondo era vuoto di sostanza( e che sostanza può avere infatti l'essere liberi?); egli asserì anche che il massimo della scemenza( non disse proprio così, naturalmente) era attaccarsi a questa vuotezza, renderla di nuovo in qualchemodo una sostanza... Un patriarca dello zen disse: SE INCONTRI IL BUDDHA UCCIDILO, SE INCONTRI IL PATRIARCA UCCIDILO (in senso metaforico naturalmente).

Quale cristiano o musulmano avrebbe questo coraggio della libertà: se incontri Gesù uccidilo, se incontri Dio uccidilo....

Un cristiano non ha quasi nemmeno il coraggio di pensarlo...i condizionamenti sono feroci, si va all'inferno...

Quindi nessun Buddh-ismo e invece buddhismo, nel senso di essere liberi. Ogni volta che ci identifichiamo non siamo più liberi.

Viene il monaco Chandapalo. Ecco la contraddizione, griderà felice qualcuno. Un monaco addirittura! Ecco la setta, la religione, l'indottrinamento...neanche per idea. I monaci in questa tradizione danno solo una metodologia di lavoro. La metodologia della liberazione dalle identificazioni, dagli attaccamenti di ogni tipo. Ma se ci attacchiamo anche ad essa come a qualcosa di sostanziale, non renderemmo un buon servizio al Buddha.

Ancora una volta: quale sostanza, quale dio, quale setta ci può essere nell'imparare ad essere liberi?

mercoledì 19 ottobre 2005

Riconciliarsi con il mondo-così com’è - 1

Si suppone che io sia una persona colta.

In effetti ho studiato per tanti anni anche all’università (che non ho mai terminato), i miei interessi negli anni sono stati tanti, il mio studio è pieno di libri che spaziano dalla storia alle religioni, alla filosofia, al Cinese, alle Arti Marziali, alla Letteratura, alla scienza.... pure mi rendo conto come la mia mente a volte conservi ancora, in parte, le strutture compulsive introdottevi da secoli di metafisica e perfino impulsi e istinti che provengono, a quanto sembra, dalla lontana mente rettile di preistorica derivazione. Sarebbe interessante uno studio sulla mente metafisica del contadino, classe sociale da cui provengo e in cui in parte ho ancora le basi, mente creata e plasmata in secoli di ignoranza dall’abile, oscurantista, medievale manipolazione delle menti da parte delle strutture religiose. Qualcuno forse sarà deluso o potrà ironizzare. Dopo così tanta meditazione, X (cioè “io”) è ancora alla superstizione. Per lo meno, grazie alla meditazione, “io” me ne accorgo. Ma quanti se ne accorgono?

In questi ultimi tempi ho avuto un periodo “nero” come a volte viene definito. Fra le altre cose mi si è rotto il vetro della stufa, creandomi un problema non ancora risolto in questo periodo di freddo e in una casa fredda come la mia. Un bambino della mia classe si è fatto male. Sono caduto e mi sono un po’ rovinato una spalla che ora mi duole. Insomma....

Mi sono accorto di come la mia mente reagisse (tentasse di reagire) inquadrando i fatti in una struttura mentale che io definisco metafisica. Non so nemmeno descrivere come, ma ho percepito che stavo creando astrazioni: il destino, il fato, forze oscure... chissà. Ci si abbandonerebbe facilmente a un po’ di autocommiserazione. Poi ho guardato le cose con più lucidità e ho visto che si trattava solo della legge di causa-effetto all’opera: non avevo prestato troppa attenzione allo scollamento di una guarnizione (causa) ... e il vetro della stufa si è rotto. Avevo rimandato nel tempo la chiamata del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi (causa) e così il loro camion è venuto proprio in un giorno di pioggia e di fango, si è impantanato nel mio orto e nei tentativi per liberarlo sono scivolato nel fango e mi sono fatto male (effetto) . Tutto qui. Visto questo la mia mente si è sentita liberata (liberata dalle costruzioni opprimenti che aveva creato) e non ho potuto fare a meno di sorridere.

E il bambino? Qui il rapporto causa-effetto riguardava solo lui, non ne avevo colpa.

Così questo presunto periodo nero è scivolato via dalle mie spalle, lasciando solo un ricordo fisico doloroso e facendomi vedere come non sia affatto saggio rimandare a domani quello che potresti fare oggi (con il bel tempo)

Reagisco con stizza quando si parla male di persone secondo me meritevoli. Mi viene un’irritazione dal profondo. Questo succede ad es. nei confronti di una persona a me vicina che critica spesso altre persone altrettanto vicine e che invece secondo me sono persone che fanno molto per gli altri. Benché veda il sorgere di questa rabbia, non posso fare a meno di pensare che quella persona è davvero un po’ maligna.

Questa persona è la mia maestra di meditazione. Nel senso che mi mette alla luce, mi mette a nudo, fa uscire fuori cose che normalmente sono sotto la cenere. Si fa presto a dire ( e l’ho sentito dire spesso da parte di giovani meditatori e, in passato, qualche volta anche da me) : “ Ah! Io non ho avversioni” oppure: “ AH! Io non ho nemici” .

Si fa presto, dicevo. Poi alla prima occasione quello che non supponevamo salta fuori. Ed è giusto così. Abbiamo forse sradicato in noi le tendenze all’avversione? Neanche per idea. Forse ci eravamo illusi ma alla prima occasione, Ta-dang, ecco tutto saltar fuori. Il problema non è questo. Il problema è accorgersi di questo!

Però, mentre mi accorgevo di questo (ed è già un passo avanti) mi sono anche accorto di come sia difficile accettare le cose così come sono venute in essere. Per questo quella persona è la mia maestra di meditazione. Quali strutture del mio ego, quali corde segrete ha toccato per mettermi a nudo? Bene, proprio quelle, illusorie, che fanno capo a una mia presunta bontà. Proprio l’aspetto tradizionalmente considerato più religioso (specie nel cristianesimo) : la bontà! La bontà che ci fa schierare (sic!) per il bene contro il male (anche Bush e Bin Laden pensano così) o, nel mio caso, più semplicemente contro la critica “maligna” a persone valide. Queste persone sono buone: non posso non reagire verso chi le critica! Ma così facendo entro, senza accorgermene, in urto contro la realtà così com’è. Ci sono forze che agiscono in base a cause e condizioni precise: potrebbe quindi la realtà essere diversa? No.

Bisognerebbe sempre poter ridere di tutto.

Detto questo, non mi sono nascosto l’esistenza di un problema che appare spesso nelle conversazioni di condivisione dopo le sedute. Il problema è, detto molto grossolanamente: “ Allora bisogna accettare anche l’ingiustizia?”

Credo che occorra agire sempre con la mente posizionata su due piani. Convenzionalmente ci possiamo anche schierare contro l’ingiustizia (ammesso che questa sia così evidente) ma, sull’altro lato della mente, quello dell’Illuminazione, dobbiamo

ACCETTARE TUTTO QUELLO CHE ACCADE COME ACCADE.

E questo io lo chiamo

RICONCILIARSI CON IL MONDO.

E’ straordinario ricevere questi input alla visione del reale proprio da quelle persone che ci sembrano le più negative.

Possiamo dunque apprezzare di più queste persone, eleggerle a nostri insegnanti?

Il mondo non può che essere così com’è. Il che non significa che non possa cambiare, anzi è in continuo cambiamento. Ma è questo che è, se vogliamo, meraviglioso: le cose sono come sono, piacevoli o spiacevoli che ci possano sembrare, la meraviglia che è la realtà così com’è è proprio qui, davanti agli occhi. E poiché le cose sono come sono ecco che scompaiono concetti assoluti (per intenderci scritti con la maiuscola) come il Bene e il Male.

E poiché invece alla nostra mente illusa questi concetti continuano ad apparire anche se in forma ridotta,
frammischiati al reale, ecco che la bellezza del reale è proprio lì, in questa alternanza continua e totalmente indifferente di bene e male. E’ chiaro come in questo quadro non vi sia spazio per entità superiori e assolute poiché ve ne sarebbero almeno due ed è esigenza di ogni entità assoluta di essere l’Unica.

Tornando al discorso della mia mente metafisica di cui all’inizio (della nostra mente metafisica!) è singolare come la mente sia appunto colonizzata da concetti dualistici e “religiosi” . Si parla tanto del “lavaggio del cervello” che esisteva in certi regimi assolutistici (sic! ) e pochi si accorgono del vero lavaggio del cervello assolutista da noi subìto da quando siamo nati in poi. Ci hanno convinto che mettere in discussione quello in cui apparentemente tutti credono ci aprirà le porte dell’Inferno oppure un fulmine ci colpirà. E’ vero! Confesso che ogni volta che parlo con ironia delle religioni mi aspetto di essere colpito da un fulmine da un momento all’altro! E non sto scherzando. Vi rendete conto? Potete osservare un attimo voi stessi su queste cose?

Che libertà può esservi per noi esseri colonizzati? Ecco che allora un concetto che in tutte le religioni è divenuto metafisico e spesso autoreferenziale, quello di Liberazione, diventa semplicemente un liberarsi da, uno sbarazzarsi di. Di che cosa? Dei concetti che ottenebrano e intorpidiscono le nostre menti e impediscono loro di godere pienamente della libertà e della bellezza (concetto, questo, dualistico ma me lo si perdoni) che dà la visione e accettazione delle cose come sono.

Ma c’è questo coraggio di decolonizzarsi, di liberarsi?

Consapevolezza, fattore del risveglio

Si è travolti dalla vita di tutti i giorni: mille cose da fare, una dopo l’altra. Si può cogliere, in ciò, la verità della sofferenza. Tutte queste diecimila cose ci fanno star male, fisicamente e psichicamente. Può anche sorgere la malattia. Come ovviare?

La sofferenza sorge dall’attaccamento alle cose ed al concetto di sé. Nello stravolgimento di mille cose da fare perdiamo consapevolezza ed aumentiamo invece la convinzione di un sé che soffre. La mente, travolta da se stessa, dai suoi diecimila pensieri, invia un messaggio di sofferenza al corpo e ne provoca il "corto circuito", sia che esso si espliciti sotto forma di malattia che sotto forma di sofferenza psicologica. Il sé protesta. Nei diecimila pensieri sorge inevitabilmente la preoccupazione per il futuro. Non c’è ancora, ma nella sua esigenza di autodifesa il "sé" lo crea, aumentando la sofferenza.

Qui si vedono alcuni nodi della questione. Un sé stabile, fisso, eterno non esiste. Corpo, sensazioni, percezioni ecc. con cui abitualmente ci identifichiamo, sono transitori e passeranno via con la morte. Forse la coscienza ritornerà all’oceano mentale che forma l’universo, potrà forse trovare altre forme vitali con cui rinascere ma sarà inevitabilmente persa l’identità che si era stabilita con un preciso corpo fisico che essa modificava e da cui era modificata. Vi saranno perciò continuità e diversità (non un’anima sempre identica). Questo ci spiega perché i buddhisti, ad esempio, rispettano tutti gli esseri: essi ritengono che nel ciclo incommensurabile delle nascite e delle morti, tutti gli esseri, prima o poi, siano stati i nostri padri e le nostre madri. Ritorneremo su questo.

Per quanto riguarda la sofferenza, essa è l’attaccarsi ad un sé che a sua volta si attacca ad un’immagine del mondo e la vuole rendere stabile . E’ tutto questo che ci fa soffrire. Temiamo sofferenza, impermanenza e morte. Questo ci spinge al desiderio di "fissare", staticizzare la nostra "realtà". Quando questa si modifica, sorge il soffrire.

La scienza ci insegna che dentro di noi, sia a livello fisico che mentale, tutto è cangiante, impermanente e che addirittura, a livello ultimo, non vi è sostanza. Vi sono solo processi in cui entrano in campo energie. L’unica cosa da fare è perciò adattarsi al cambiamento, averne coscienza, accettarlo. Questa è la LIBERAZIONE del Buddha: fluire con il fluire. Fu questa la sua illuminazione. Fu questo che egli proclamò come "Nobile Verità": c’è sofferenza, ma se c’è una sofferenza c’è una sua causa: il creare sostanza dove non c’è e quindi attaccarvisi: attaccarsi in particolare al concetto di sé. Ma fu indicata anche una via per porre fine alla sofferenza: portare una critica radicale al concetto del sé e di sostanza (su cui si basano tutte le religioni e molte filosofie) e porre quindi fine al soffrire. ESSERE LIBERI.

In questo il concetto base è il primo dei sette fattori del risveglio: Consapevolezza, Consapevolezza, Consapevolezza. Quando riusciamo a vivere con attenzione ogni momento, non c’è spazio per il sé, non c’è spazio per la sofferenza. C’è solo il presente. Ecco perché il primo livello dell’Illuminazione/Liberazione è basato sull’eliminazione di tre cose: il concetto del sé, il dubbio scettico, e l’attaccamento alle tradizioni e rituali religiosi. E tutto viene da ciò che necessariamente li esclude: CONSAPEVOLEZZA, CONSAPEVOLEZZA, CONSAPEVOLEZZA. Consapevolezza vera è solo l’attimo presente. Tutto il resto è necessariamente escluso, tutte le costruzioni mentali in particolare. Consapevolezza.

lunedì 19 settembre 2005

Le basi della conoscenza e della saggezza

Praticando la meditazione, accade spesso che la mente si distragga, vada ad altre cose, addirittura intraprenda percorsi complicati di ragionamento, saltando da un argomento all’altro. Non c’è da preoccuparsene troppo. Già accorgersene è consapevolezza. Ma mentre non bisogna preoccuparsene più di tanto, un’occhiata andrebbe data al ‘meccanismo’ che sta alla base di questo distrarsi, poiché esso ci dà una base per la conoscenza delle ‘cose come sono realmente’ e, paradossalmente, di come funziona l’Universo intero.

‘Perché la mia mente ha pensato a questo?’, questa è la domanda. Beh, la funzione della mente è quella di pensare. Come la mente percepisce qualcosa tramite i sensi, essa comincia a ricamare e tinteggiare. Il godimento della coscienza, intesa come attività conoscitiva, è infatti

afferrare ed elaborare. Se la mente facesse solo questo potrebbe anche andare bene. Il fatto è però che la mente, basandosi sui suoi contenuti precedenti, sui semi lasciati

dalle piante scomparse delle esperienze precedenti, tende a colorare, con colori piacevoli o spiacevoli, l’esperienza stessa del conoscere.

Posso interrogarmi su cosa ha fatto sorgere ad es. la connotazione di piacevolezza di qualcosa . E’ indubbio che sarà stato il contatto(phassa) con quella cosa tramite i miei sensi (āyatana) a fornirmi la piacevolezza di una sensazione (vedanā). Questo però non spiega tutto. Perché la reazione suscitata dal contatto è stata piacevole e non spiacevole o neutra? Appare evidente che ancora qualcos’altro va cercato a monte di basi sensoriali<corpo/mente, contatto e sensazione. Dovevano esserci predisposizioni, volizioni o costruzioni mentali (sa.mkhārā) come basi, semi di una coscienza (viññāna) pronta a fornire al contatto sia l’immediatezza della sensazione( ‘Ah!’-dolore;’Oh!’-piacere)

che la successiva interpretazione ‘mi piace’>lo voglio, ‘non mi piace’>lo detesto.

Tutto ciò è, come analisi, alla portata empirica di noi tutti. Da bravi investigatori possiamo mettere in fila sul tavolo ciò che abbiamo, assai banalmente, scoperto finora:

semi,volizioni,costruzioni (samkhara)> coscienza (vinnana)> corpo-mente > sensi>contatto sensoriale>sensazione.

Queste ‘prove’ che abbiamo messo in fila non vanno intese come una successione meccanica: diciamo che ognuna di esse è immediatamente compenetrata con l’altra successiva ed influisce su tutte le altre. In realtà sono un tutto unico che però è possibile analizzare.

Torniamo a noi, al momento in cui la mente si è distratta in meditazione, afferrando qualche oggetto piacevole -o anche spiacevole. C’è stato quindi questo DESIDERIO DI AFFERRARLO, dopo che c’erano stati il contatto con esso e la sensazione- diciamo di interesse. Nel caso del pensare, desiderio e afferramento si sono succeduti come un flash, senza vera interruzione. Subito dopo c’ è una NASCITA- in questo caso di una elucubrazione- e c’è un DIVENIRE di questa. Prima o poi però anche il ragionamento comincia a dissolversi, A DECADERE e poi a MORIRE,SCOMPARIRE.

Di nuovo, da bravi investigatori, poniamo sul tavolo questi nuovi reperti:

desiderio>afferrare>nascere>di-venire>decadere e svanire.

Ma indagando sulla nostra distrazione, non abbiamo forse tracciato un quadro di quello che accade sempre nella vita?

C’è di più. Tutta questa esperienza, svoltasi ciecamente sotto l’impulso del desiderare, si svolge e mantiene nell’IGNORANZA, intesa come non-coscienza-consapevole di quello che è realmente accaduto. Ogni esperienza, una volta consumata, lascerà inoltre dei semi, delle predisposizioni, ancora una volta i sankhārā che troveranno nel terreno fertile della non-consapevolezza una buona base di crescita. E quindi, completando il giro, andranno ad arricchire la coscienza,le basi sensoriali, il contatto, la sensazione, il desiderio, l’afferrare e così via.

Questa fu la grande, banale scoperta del Buddha che per questo prese il titolo di Risvegliato: che la Causalità(intesa in senso non meccanicistico)implicita nei Dodici Anelli sopra menzionati forma la collana del SORGERE DIPENDENTE. Il Buddha respinse tutti gli assolutismi e scoprì che al centro dell’Universo c’era Ta.nhā, il Desiderare. Egli scoprì anche che era possibile introdurre un cuneo tra gli anelli di questa catena e precisamente tra la sensazione ed il desiderare. Il cuneo era la consapevolezza senza interpretazione della sensazione come semplice sensazione, colta durante la meditazione. Ecco perché la meditazione di consapevolezza è così importante! Essa fa vedere ‘le cose come sono’ ,libera la mente dagli assolutismi metafisici e produce Saggezza e Libertà. La permanenza dei sa.mkhāra, i ‘semi’ del desiderio, dell’avversione e dei punti di vista metafisici porta ogni volta a ripro-

durre la ruota di coscienza-sensazione,desiderio ecc., con la conseguenza del sorgere continuo dell’insoddisfazione. Personalmente, senza sapere nulla di tutto ciò, mi avvicinai alla Meditazione quando mi accorsi di come riproducessi sempre le situazioni allo stesso modo, con le stesse pulsioni , gli stessi sbagli e la creazione di sofferenza. Mi accorsi che c’era qualcosa che andava indagato. Giungere alla pacificazione dei sa.mkhāra, dei ‘semi’, è il contenuto della Liberazione.

venerdì 19 agosto 2005

Sorriso interiore come meditazione



C’è una meditazione assai semplice ed alla portata di tutti: sorridere. E’ una pratica facile, tutti possono sperimentarla senza sforzo. Nello stesso tempo è una pratica avanzata: provate a stare con il sorriso interiore per un lungo tempo e dovrete confrontarvi quasi subito con la mente che vuole andare per conto suo.

La voglio spiegare qui perché chiunque, anche chi dubita di poter o voler mai fare meditazione (per pregiudizi, sfiducia in se stesso ecc.) può ugualmente provarla e trarne vantaggi, non solo mentali ma anche fisici. E’ infatti risaputo come la maggior parte – se non tutti- dei nostri malanni, sia di origine psico-somatica. Perciò provate questa pratica e risparmiate quelle 200/ 300.000 lire che spendereste per pratiche simili presso qualche guru new-age.



Sedete comodamente con la schiena dritta e la lingua al palato, dietro i denti. Respirate profondamente per sette volte, notando il su e giù del respiro ed associandovi una parola di vostra scelta che vi crea sicurezza, fiducia in voi stessi e tranquillità: Bud-dho, oppure pa-ce, Ge-sù o quello che preferite. Dopo questo, continuate per un po’ ad osservare il su e giù del respiro.
Assumete un atteggiamento di ‘giusto orgoglio’, come diceva Thubten Yesce, come foste già una divinità o un Buddha e, appunto come in un’immagine del Buddha, sorridete lievemente. Per farlo concentratevi sulle labbra, sentitene le sensazioni, e notate le ripercussioni nel vostro corpo e nella vostra mente.

Tutto qui.


Se volete approfondire la pratica, sorridete ai vostri organi interni, riempite gradualmente il corpo di sorriso- che probabilmente si manifesterà nella vostra mente come un tipo di chiarore o di luce- ed immaginate che anche il corpo ed i suoi singoli organi sorridano. Nel contempo non perdete la consapevolezza delle vostre labbra sempre atteggiate a lieve sorriso (potete pensare alla Gioconda).



Dopo aver riempito corpo e mente di sorriso, rilassando il corpo ed il viso, pensate ad una o più persone che vi hanno fatto del bene, visualizzatele e sorridete loro. Immaginate che anch’esse sorridano. Visualizzate poi qualcuno verso cui siete relativamente indifferenti. Sorridete ed immaginate il sorriso di questo qualcuno. Fate lo stesso con una persona ostile o per cui non riuscite a provare simpatia, poi verso il mondo animale, così pieno di sofferenza ed infine verso tutti gli esseri del mondo.

Un passo ancor più avanti è quello di irradiare il sorriso: prima nello spazio in cui vi trovate, poi fuori di esso, infine verso tutto il mondo e l’universo. RESTATE COSI’ CONCENTRATI NEL SOLO SORRISO IRRADIANTE. Sentite sparire i confini del corpo e divenite l’irradiazione.

A questo punto siete di fatto una divinità ( o un Buddha), irradiazione di amore e compassione per tutti gli esseri.

Se la meditazione in questo modo riesce bene, concentratevi sulla bella sensazione che provate, fisica e mentale e permeatene tutto il corpo. Questa è la base del primo jhāna/ dhyāna. Ma non pensate a questo o a voler ottenere qualcosa. Voi semplicemente fate il vostro esercizio, semplicemente sorridete!

Portate questa pratica nella vostra vita quotidiana. Di fronte ad ogni situazione ricordatevi di sorridere.

E’ CONSAPEVOLEZZA!

lunedì 25 luglio 2005

Lettera ricevuta da G.

PUBBLICO QUESTA LETTERA RICEVUTA DA G.
PERCHE' PERMETTE DI APPROFONDIRE I TEMI DEL TESTO DA ME PROPOSTO SU SAMMA SPECIALE.

Credo che il dolore che si prova per la morte di un padre (io ho perso il mio l'anno scorso) sia proporzionale al rapporto affettivo che abbiamo con lui. Io ne avevo uno pessimo, avendo litigato tutta la vita in modo spesso anche violento. per questo quando è morto la mia mente è stata equanime: in fin dei conti la sua scomparsa non apriva nessun buco nella mia vita: non
ricordo una sola telefonata per chiedere come stai o cosa hai fatto oggi.
Solo chiamate di servizio del tipo: "è arrivata la solita multa", oppure:
"cosa devo fare con questo o quello".
Sfido chiunque perda un grande amore o la persona con cui divide ogni giorno la sua vita a rimanere equanime come siamo stati noi di fronte alla scomparsa del nostro genitore.
Io di sicuro non sarei altrettanto equanime nemmeno di fronte alla morte del mio cane.

i legami sono fatti di affetto, frequentazione, necessità, fiducia ecc. che di questi legami l'illuminato possa fare a meno è probabile, che noi si riesca serenamente a mandare sottoterra chi ci ama, intensamente riamato e
desiderato, per me lo escludo, per chiunque altro mi permetto di dubitarlo.

G.

Cara G.

le cose che scrivi sono interessanti perché fanno parte di quella vasta casistica che ricopre i rapporti di parentela. Non sei la prima e non sarai l'ultima ad aver avuto un rapporto del tipo che dici con il tuo genitore. Accade spesso. Per parte mia, dopo la normale ribellione antifamiglia dei miei venti anni, dopo una vita passata a snobbare le feste di Natale e pasqua che trovavo barbose, ho pian piano riscoperto la frequentazione con i miei,soprattutto man mano che li vedevo invecchiare. Io ho provato un amore fortissimo per mio padre e ne provo altrettanto per mia madre che si trova quasi nelle stesse condizioni. Il discorso è che quando sono molti gli anni passati a praticare la consapevolezza e metta, la gentilezza amorevole,- o forse preferisci l'amore?- avvengono due fenomeni opposti e complementari: aumentano in maniera infinita amore e compassione ed aumenta altrettanto la capacità di osservare con un certo distacco ciò che sta accadendo. Sapevo che il mio testo avrebbe provocato varie reazioni: soprattutto del tipo:- ma che persona è questa qui, che amore poteva mai provare se poi reagisce così 'freddamente'? se puoi credermi, ti assicuro che non vi è stata nessuna freddezza, mentre lui era in vita; tanto amore invece, tanta compassione (nel senso di com-passione), tanta dolcezza- tutte cose che effettivamente non trasparivano molto dal testo. Purtroppo il testo è limitato e non dà mai la misura dei fatti reali. La mappa non è mai il territorio. Mi sembra però che dovremmo meditare anche per metterci in relazione con il morire, dovremmo misurarci nella ricerca della Liberazione anche con la possibilità di avere comportamenti non usuali di fronte a questi eventi. Comportamenti che per me sono questi: essere completamente presenti quando la persona è con te, vivere la situazione attimo-per-attimo, senza pensare al passato, senza pensare al futuro; ti sembra impossibile? A volte mi sembra che si stia nel campo della meditazione pretendendo di salvare capra e cavoli: cioè da una parte sviluppare una serie di comportamenti di distacco, che portano verso la Libertà- libertà dal condizionato o, se ti sembra più 'umano' dai condizionamenti- ,dall'altra tutto il vecchio apparato emozionale ( a cui siamo così attaccati, perché è 'nostro' e ci permette di farci 'riconoscere' come esseri umani da altri esseri umani) che dovrebbe restare non-toccato, perchè è così bello piangere e disperarsi. Credi forse che io non abbia mai pianto? Io sono condizionato come te ed ogni volta che mi venivano ricordate certe cose le lacrime mi venivano agli occhi e non mi sono mai vergognato di piangere:
sono così, un tipo molto emozionale come ben sa chi mi conosce.

Nello stesso tempo sono lieto di poter affermare queste verità: uno, che se esiste la verità della sofferenza, esiste anche la verità di un sentiero che porta alla fine della sofferenza. Crediamo ad una ma riteniamo che l'altra sia possibile solo sui libri o per esseri mitici come i bodhisattva? Se è così, basta leggere e scrivere di filosofia e praticare non occorre.Due,il passato è una sostanza che possiamo afferrare? Sì, è vero, anch'io possiedo esperienza e memoria, quindi se ci penso, a mio padre, a certi episodi, sto male. Ma non ci penso e sai perchè? Perchè so che non esiste nessuna sostanza passata, letteralmente non esiste proprio, e tutto quello che passa nella mente è concezione mentale, niente di reale. perciò, se mi piace trastullarmi, penso al passato, ma sono consapevole di trastullarmi, non è niente che io possa afferrare. Se voglio soffrire so dunque come fare, ma so anche come fare per non soffrire. Il buddhismo è molto pragmatico, non si tratta in esso di ideali scritti in cielo ma di cominciare a liberarsi da subito. Io non pretendo di essere un Liberato:so però che voglio praticare la liberazione da subito, vedo che è possibile, riesco in parte a farlo possibile. Ricordi forse la guerra del Vietnam? I Vietcong liberarono subito tutto il loro paese? No, perchè il tutto e subito non esiste. Liberarono prima ciò che riuscirono a liberare e da lì allargarono la liberazione( si fa per dire) a tutto il territorio.

Toccando un altro tema di cui parli ho visto morire la mia cagna, ho visto il lampo di disperazione nei suoi occhi, ho vissuto con lei questo momento. Ma so che chiunque sia soggetto alla nascita è destinato alla sofferenza ed al morire. E questo è valido per tutti.

E' IL PRESENTE IL PUNTO IN CUI SI DEVE MOSTRARE IL MASSIMO DI AMORE, DI COMPASSIONE E DI PRESENZA. IL PASSATO NON ESISTE, IL FUTURO NON ESISTE.

Per me questo presente è già passato, è stato vissuto con il massimo- non il minimo- di intensità e di presenza ed ora non esiste più, c'è un altro presente.

E' dura da accettare questa visione, lo so.

Vorrei infine ricordare come reagì il Buddha allo sterminio del suo clan familiare, 500 persone a quanto si dice. Si mise a disperarsi ed a piangere?

Accettò le cose com'erano perchè di questo si tratta, vedere le motivazioni che muovono l'universo e sapere che queste motivazioni vanno inevitabilmente a produrre i loro risultati. Nel Cristianesimo si dice: sia fatta la volontà di Dio. Noi che pratichiamo la liberazione, la visione profonda della coproduzione dipendente di tutti i fenomeni e la loro vacuità, la loro impersonalità ( e ciononostante pratichiamo amore e compassione) dovremmo essere da meno?

Un'ultima cosa: ti ringrazio per avere scritto la tua lettera così vera e sincera e da cui traspare vera sofferenza. Sono con te perché non è difficile identificarsi con ciò che dici. So che la chiarezza può sembrare durezza, ma ti prego di non scambiarla per tale.

Con affetto

Lo
Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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