mercoledì 10 dicembre 2008

Senza scopo, perché?





"Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti …"



In un numero precedente (ottobre 2008), abbiamo parlato del ‘senza scopo, senza direzione’  E’ difficile ma bello stare senza scopo. Si può praticare il ‘senza scopo’ durante la meditazione ma anche nella vita. C’è un rapporto complesso tra i due momenti. Nella seduta meditativa ci possiamo proporre il mantra ‘senza scopo / senza direzione’ ma possiamo anche chiederci da dove provenga questa parola d’ordine. Il meditatore sano non deve approdare a nessuna dogmatica.


Cosa c’è dunque a monte di questa frase?


Ricordo un fatto del mio inizio meditativo. Dopo due anni che praticavo, quindi nel 1989, mi accorsi ad un certo punto di come ci fosse qualcosa di sbagliato nello sforzo meditativo che facevo. Non che la tecnica fosse sbagliata: allora ero molto più ‘tecnico’ di ora, con una pratica di consapevolezza più strutturata. Mi accorsi comunque che c’era in essa qualcosa di malsano, questo desiderio di essere consapevolmente attento e preciso mi creava una certa tensione. Sentivo che c’era un desiderio forte che, pur avendo una valenza positiva ‘spiritualmente’, si volgeva in negativo, creandomi appunto tensione. Meditazione e tensione non vanno d’accordo. Illuminazione e tensione, me ne sarei accorto anni dopo, sono antitetici. Perciò l’ideale meditativo è quello di una presenza vigile ma non tesa.


In questo episodio isolai un elemento che era di fastidio. Come chiamarlo se non desiderio? Benché questo desiderio (di attenzione, di consapevolezza) fosse apparentemente positivo, esso, per sua natura, diveniva negativo implicando costrizione e repressione. Un dualismo fra l’essere e il dover essere insomma. In base a questo ho in seguito capito meglio la ‘genesi condizionata’ spiegata dal Buddha. Questa genesi condizionata indica gli elementi dinamici (non statici) che fanno sorgere i vari tipi di situazione. Al centro di questa rete di condizionamenti vi è appunto il DESIDERARE.


E’ sulla base del desiderare che sorge ogni situazione nel mondo degli esseri viventi (di ogni tipo- al contrario delle dottrine teiste/dualiste, il Buddhismo non prende in esame solo l’uomo ma tutti gli esseri viventi).


A sua volta il desiderare ha a monte qualche altra componente che ne determina il venire in essere. Non si desidera qualcosa se questo qualcosa non ci ha prima, in qualche occasione, fornito una SENSAZIONE piacevole, sia pure entrando in contatto semplicemente con gli organi di senso, anche solo con la vista o l’udito. Quindi il Buddha, il Risvegliato alla verità delle realtà [questo significa il suo nome] asserì che tutto nel mondo, incluse le speculazioni intellettuali, deriva dalla sensazione. E’ la sensazione (piacevole o spiacevole) che fa nascere il desiderio (o il suo rovescio, l’avversione).


Il desiderio implica voler afferrare o realizzare quello che si desidera (‘Ma la passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie’ – F. de Andrè). Questa è la fase dell’AFFERRAMENTO che a sua volta dipende dal DESIDERARE che a sua volta dipende dalla SENSAZIONE. Ecco, ho spiegato con pochi concetti una teoria assai più complessa, quella del SORGERE DIPENDENTE.


Una volta capito cos’è il sorgere dipendente o genesi condizionata, possono sorgere vari interrogativi alla persona intelligente. Mi spiego: se questo mondo ha la sua nascita in questa serie di legàmi, come si può pensare che sia una pratica di liberazione, dalla miseria di questo stesso mondo, quella che ha implicito qualcuno di questi elementi?


Lo dicevo l’altro giorno, facendo jogging, ad una mia amica. Mi parlava criticando quelli della Soka Gakkai, con il loro discorso basato sul cercare di ottenere ciò che si desidera. A parte che io ritengo che non tutti gli esseri umani siano uguali come predisposizioni e che quindi per qualcuno vada bene anche questo (meglio che niente), facevo rilevare come questo avesse poco a che fare con il discorso originario del Buddha (loro si dichiarano buddhisti) con questo loro insegnare una sorta di preghiera per conseguire i propri desideri. Le dicevo anche di aver conosciuto, tra l’altro, delle persone che ne erano rimaste molto deluse non essendo, in effetti, riuscite ad ‘afferrare’ ciò che desideravano. E questo ha a che fare qualcosa con l’eliminazione della sofferenza che era il vero discorso del Buddha? Il desiderio alimenta il desiderio e prima o poi si incappa nell’insoddisfazione. “Tutti i tipi di preghiera” asserivo “ hanno in sé questo elemnto impuro, il desiderare, il voler soddisfare qualcosa”.


“ Ci sono tipi di preghiera” disse lei” che non sono necessariamente così” .


“ Credo comunque che ci sia sempre un dualismo, un porsi verso ‘qualcosa’ o ‘qualcuno’ che poi si risolve in una creazione concettuale. Si crea un’entità inverificabile e ci si pone in sua adorazione. Io penso invece che tutti i fenomeni e tutti i concetti siano privi di una verità assoluta; perlomeno quello che viene costruito in questo modo non ha niente di verificabile” .


Ecco il perché del ‘senza scopo / senza direzione’, senz’altro la pratica più povera e più scarna che esista. La pratica senz’altro più difficile, il deserto di tutti i concetti e, quando questi si presentino, la loro verifica tramite questa unità di misura: ‘E’ questo concetto senza scopo o ha uno scopo, dipendendo quindi dal desiderare?”. Questo crea davvero il deserto concettuale.

Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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