Scrivo queste righe alla fine di un ritiro individuale che ho fatto dal 2 al 6 gennaio, mattina. E’ la prima volta che faccio un ritiro in solitudine ed ero un po’ curioso di passare questa prova. Avevo già sperimentato degli intensivi solitari (ad es. ne ricordo uno di una mattina nel mio oliveto) ma mai per quasi cinque giorni.
So bene che ci sono persone più avanzate di me che potranno sorridere di questa mia “impresa”. Ma ognuno ha il proprio cammino e questo è quello della mia esperienza.
E’ mia consuetudine fare almeno due ritiri all’anno, uno all’inizio dell’anno e l’altro verso giugno, luglio. Abitualmente facevo il ritiro di inizio anno con Corrado Pensa poi però, per qualche motivo, non sono più stati fatti e così ho dovuto organizzarmi diversamente. Infatti non posso fare molti altri ritiri durante l’inverno, dovuto a motivi di lavoro. Perciò già l’anno scorso ci organizzammo e facemmo in tre il ritiro di Capodanno (e poi uno estivo), io, Danilo e Silvia.
Quest’anno, lanciata l’idea , non ho comunque pubblicizzato più di tanto la cosa, con il presupposto implicito che non avrei rifiutato chi veniva ma non avrei nemmeno cercato che qualcuno venisse. Perciò durante il ritiro sono venute delle persone (questi non sono ritiri chiusi ma aperti) come Danilo per una giornata, Doretta per ben tre pomeriggi e qualcun altro per due mattine ma, sostanzialmente, mi sono ritrovato da solo.
Devo dire che questo mi è stato di soddisfazione. La mia casa è isolata e silenziosa ed ho potuto gustare il piacere del silenzio. Inoltre ho praticato moltissimo il sorriso interiore e bilanciato fra loro due tipi diversi di meditazione, quello dell’osservazione degli afferramenti (cioè del sorgere, soprattutto del sorgere dei concetti) e quello della visione e accettazione delle cose come sono.
Prima di tutto devo osservare che questo ritiro mi è volato e che mi è stato quasi sempre pervaso dalla gioia. Trovarsi solo può essere fonte di disperazione e irrequietezza oppure può essere fonte di calma interiore e di gioia. Intendiamoci, si sentono spesso le persone parlare del silenzio, del loro desiderio di silenzio, della propria voglia di stare un po’ in silenzio… ma quanti lo fanno realmente, quanti ne godono realmente? E’ inutile avere il silenzio intorno se non si ha il silenzio dentro. Io credo che solo una metodologia dell’attenzione possa fare gustare effettivamente il silenzio. Una metodologia dell’attenzione ma anche della gioia. Samatha (quiete, calma) e vipassanaa (visione profonda) secondo le tre metodologie suddette del sorriso, della visione e accettazione e della non-intenzione o senza-scopo.
Anche quest’ultima indicazione, non-intenzione o senza-scopo, così intrinsecamente contraddittoria è difficile da praticare. Come si fa a praticare una non-pratica? Ma se vi è l’intenzione all’inizio, tutto deve essere lasciato andare poi, anche questa intenzione. La realtà è dualistica e contraddittoria e solo la realizzazione permette la riunificazione degli opposti. Una delle cose che ci hanno sempre fatto sorridere nella nostra pratica è proprio la presenza di molti paradossi. Ci sono ed è anche divertente notarli.
Un’altra nota che va fatta è sulla meditazione camminata. Come si sa questa è forse la pratica più difficile ma è importantissima. In questi giorni ho portato la mia attenzione, mentre la facevo, soprattutto al momento in cui scattava un afferramento (di un concetto, di un’idea, di una situazione) . E’ stato divertente vedere come la mente, dall’assenza di pensiero passava improvvisamente ad afferrare anche il più insignificante dei pensieri.
Questo mi porta ad un’altra nota. Molti credono che meditare sia riflettere su qualcosa. Meditare, per lo meno nella consapevolezza e visione profonda, non è riflettere, entrare nei concetti, ma semplicemente osservare la funzione del riflettere, vedere il movimento e basta. Non bisogna stancarsi di dirlo. La funzione della riflessione è caso mai quella della ricapitolazione delle esperienze.
Un’altra nota (vado a ruota libera) . Viene qualcuno e mi parla in termini religiosi. Chissà (riferito a non ricordo cosa) che questo non faccia parte di un disegno d’amore….ecc.
Appunto. Chi lo sa? Perché farsi dei concetti? Una mente libera (anche momentaneamente) dai concetti e comunque consapevole quando sorgono concettualizzazioni, non sarà più limpida di quella dove anche un sottile velo concettuale aleggia nell’aria? Oppure: a tutti noi capita, credo, di favoleggiare su energie occulte che possono guidare la nostra vita (facevo notare come l’astrologia abbia soppiantato la religione nella fiducia delle persone… la prima domanda (ridicola) che viene fatta anche e soprattutto in televisione è: “ Di che segno sei?”) . Mi è stato letto il mio oroscopo in questi giorni. Non ricordo riguardo a quale argomento mi diceva: vi andrà tutto bene… e poco dopo mi diceva, con altre parole, che sarebbe potuto andarmi tutto male!!! Mentre energie misteriose potranno anche esistere (nel senso di non percepibili dai nostri sensi, ad es. le onde elettromagnetiche) non è più semplice cercare nella causalità e nella condizionalità ciò che muove le nostre vite?
Tempo fa una mia coetanea e compagna d’infanzia venne a cercarmi. Era affascinata dal Karma, voleva sapere del karma. Quando le spiegai che il Karma era la causalità (e cercai di non essere brutale) perse come interesse e se ne andò certamente un po’ delusa…
La gente cerca il misterioso.
Se ne parlava con Doretta. Le persone vengono a meditazione entusiaste… e non tornano. Perché? Perché non trovano accenno del fascino e del mistero che pensavano di trovare. Doretta invece diceva: “ Mi piace questa meditazione perché è scarna” (infatti non facciamo riti, non bruciamo incenso, non crediamo in niente di particolare…niente di niente) . E continuava: “ Dovessi dire ora perché la faccio, non saprei nemmeno” . Ed è vero. Neanch’io so di preciso perché la faccio.
Altro punto. La gioia. Durante questo ritiro ho sperimentato spesso la gioia, piti , un tipo di gioia che ti scuote e ti fa tremare. E naturalmente ho sperimentato passaddhi, la calma. Comunque quando provo queste cose come la gioia, lascio andare. Stranamente risorge più forte.
Altro punto. Ancora sulle concettualizzazioni e gli afferramenti. Dobbiamo essere come i cacciatori in agguato. Il cacciatore in agguato non sta lì teso e ingrugnito. Sta attento ma rilassato (almeno credo). Così dobbiamo stare noi nei confronti della nostra coscienza. Appena afferra un pensiero dobbiamo inquadrarlo nel mirino della nostra attenzione. Il pensiero, l’afferramento concettuale, svanisce.
Riguardo all’ingrugnimento, durante i ritiri a cui ho partecipato, ho visto tante facce serie, ingrugnite. E la gioia? Si può praticare ed essere gioiosi senza per questo sprecare l’attenzione. Ma abbiamo troppi stereotipi per la testa.
Trovo per esempio che un’ottima meditazione è guardare il telegiornale. Lo faccio, durante i “miei” ritiri. So che questo scandalizzerà i “meditanti seri”. Pure non c’è meditazione migliore, riguardo agli afferramenti della nostra mente. Possiamo lì vedere come la nostra mente reagisce alle notizie, le antipatie e simpatie, i punti di vista che emergono… E’ un ottimo allenamento per il vedere e il lasciare andare.
Ci sono tanti pre-concetti sulla meditazione.
Un’altra cosa è lo stare senza scopo. Qui ho visto all’opera alcuni preconcetti (miei). Stavo lì senza scopo, senza particolare attenzione a nulla ma attento… e per un attimo mi sono sentito in colpa. Mi colpevolizzavo come se fossi disattento, semplicemente perché ero proprio rilassato e senza alcun scopo di osservazione. Pure ero attento. Ho capito che avevo fatto una concettualizzazione e ho ripreso l’attenzione rilassata. Lo stesso in un periodo di sonnolenza. Stavo lì e osservavo, sornione, la sonnolenza. OK.
giovedì 19 aprile 2007
Note da un ritiro solitario
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