giovedì 19 gennaio 2006

Sacro e meditazione

Questo testo è assai personale e me ne scuso; è tratto dal mio diario meditativo. D’altra parte vi sono in esso questioni di interesse generale che mi sembra utile trattare.

L’8 marzo, è morto papà., alle 10 circa. Ero a scuola quando mi è arrivata la telefonata di Pola.

Direi di essere contento di come è morto: a casa sua, circondato dalle cure continue dei suoi figli e di sua nipote. Lolita, in particolare, va elogiata per la sua devozione ed il suo impegno. E’ passato oltre, probabilmente senza soffrire. Negli ultimi tempi aveva cominciato a disfarsi, per le piaghe da decubito, per cui dovevamo girarlo spesso e con mille precauzioni ogni 3 o 4 ore. In più c’era mamma che stava anch’essa male. Era divenuto magro magro, emaciato, senza più alcuna muscolatura, non mangiava, veniva nutrito a fleboclisi, non parlava. Era in uno stato di semi-coma ma rispondeva con lo sguardo quando lo chiamavamo. Ricorderò sempre il suo sguardo intenso mentre lo giravamo nel letto o lo accarezzavo. Sembrava che volesse ‘bermi’, che volesse portare con sé il ricordo intenso di noi.

Per me era un padre ed un amico. Negli ultimi anni eravamo divenuti amici di caffè, perché quando potevo lo portavo al bar, da Enza, dove salutava tutti con gioia anche se nel parlare non si capiva cosa dicesse. Grazie a lui avevo riscoperto i rapporti umani più semplici, più elementari, con la gente del posto ed in particolare del bar: Giulio, Pietrino, Pietro ed altri.

Mentre stava male, in questi ultimi giorni, ho mantenuto la mente in uno stato di accettazione il più possibile, senza permettere, se non in rari casi, che andasse a fantasticare, a costruire. Così, per es. , ho mantenuto la mente assolutamente attenta a non preferire: né volere che vivesse né volere che morisse: solo stare nel presente, perché ogni scelta, ogni desiderio è, in ultima analisi, una scelta dell’ego. Una scelta malsana, tesa a non soffrire, anche se mascherata- ed in parte identica- con il non voler far soffrire la persona amata. Così, anche mentre, durante le meditazioni, irradiavo, irradiavo con mente equanime e non desiderante. Ero lì e basta!

Così anche durante il funerale sono rimasto sostanzialmente sereno. Ho assistito alla messa con mente equanime e con mente equanime ho visto deporre la bara.

La potenza dei condizionamenti mentali mi si è disvelata qualche giorno dopo. Ero in parte anch’io stupito da questa mia accettazione completa dell’avvenimento. Il fatto di non provare quasi ricordi, il fatto di non sentire sofferenza per questo vuoto…strano, ho pensato, e mi si è insinuato il dubbio che questo mio distacco non fosse propriamente morale: un figlio dovrebbe soffrire molto per la mancanza dell’amato padre…un figlio dovrebbe far visita frequentemente al cimitero, dovrebbe, come fa una mia amica, chiedersi continuamente in quale luogo si trovi ora suo padre…questa è insomma la sacralità della morte.

In realtà questa è una grande illusione, è ridurre a sostanza, ancora una volta ciò che sostanza non ha. Esistono paradisi o altri regni di rinascita? E’ possibile, ma non abbiamo modo certo di verificarlo. Non potendolo fare, tutto ciò che elaboriamo va ad essere una pura paññatti, pura concezione mentale, da cui è bene astenersi per non essere afferrati dall’attaccamento ad una concezione. Meditazione e sacro, sacralità, non vanno d’accordo, per lo meno se lo scopo è la liberazione. E questo nonostante alcune tradizioni meditative facciano uso della sacralità.

In effetti la mia mente, riguardo a questi problemi, è relativamente assai libera. Tutte le concezioni mentali, quelle cioè non supportate dall’esperienza empirica e ripetibile (si noti la scientificità e razionalità del metodo meditativo di consapevolezza e visione profonda) sono attaccamenti legati alle motivazioni, più o meno chiare, dell’ego e rientrano nel campo vastissimo dell’ignoranza, cioè della non-visione delle cose così come sono. Così facendo, ogni volta, l’ego si riconferma nella sua illusione di propria auto-esistenza in termini di realtà ultima e di convinzione di un proprio essere-speciale.

Perciò il sacro, la sacralità, il misterioso, la metafisica, gli assolutismi metafisici e religiosi, sono tutti ostacoli alla Liberazione, all’essere liberi. Non a caso l’attaccamento ai riti religiosi, alle cerimonie ecc., è considerato uno dei tre ostacoli che vengono rimossi quando per la prima volta ci si affaccia sul fiume della Libertà, la cosiddetta ‘entrata nella corrente’: gli altri due ostacoli sono la concezione del sé come sostanziale ed il dubbio scettico (dovuto alla mancata sperimentazione della Visione profonda).

Essere liberi è ovviamente il massimo della felicità ed anche il massimo della purificazione mentale. Le scorie del sacro, della sacralità, ce le portiamo dietro dalla preistoria, da quando cioè l’uomo tremava di fronte all’immensità dei grandi fenomeni naturali ed a quello che appariva il mistero dell’invecchiamento e del morire.

Il condizionamento è talmente radicato nelle nostre cellule, nella nostra memoria biologica, che anche solo a mettere in dubbio questi concetti ci sentiamo in colpa: tanto più che l’Ebraismo, con i suoi sottorami cristiani ed islamici, ha introdotto nella psiche umana anche un meccanismo di difesa ed autoprotezione dei suoi dogmi, quello di peccato.

Non si può essere liberi senza liberarci di queste scorie, per quanto terribile o doloroso possa apparire. La via della Liberazione, della

della razionalità non sono in contrasto, come accade invece nelle forme religiose. Essere liberi è estremamente razionale. E la libertà è senza contenuti, sacri o profani che siano.

Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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