Fino a poco tempo fa vedevo le meditazioni del pomeriggio (durante gli intensivi o ritiri) come un momento fastidiosamente opprimente. Sono i momenti del dopo-pranzo: se ti sei riposato, magari dormicchiando un po’, resti semi-addormentato e un po’ intontito; se non ti sei riposato, sei già stanco prima di cominciare. A ciò si aggiunge il peso della digestione e, inevitabile o quasi, la sonnolenza. Proprio quest’ultima è micidiale. Ricordo momenti in cui mi piantavo le unghie nelle mani per non addormentarmi, prendevo profondi respiri… tutto sembrava vano, il sonno era micidiale. Ricordo che una volta, ad un ritiro con Corrado Pensa, nella zona intorno a Roma, l’insegnante che in genere alla prima meditazione del pomeriggio era presente, non lo fu per qualche motivo. Fu allora uno spettacolo vedere come la sala piano piano si trasformava. Mentre, con l’insegnante presente, nessuno si muoveva ed un relativo silenzio veniva mantenuto, in base all’assunto che “quando il gatto è via i topi ballano” Lentamente la sala silenziosa comiciò ad animarsi. Un sospiro di qua e un movimento di là all’inizio, poi un manifestarsi generale di insofferenza sempre più vistoso. Avevo davanti a me una signora veneziana che ammiravo tantissimo per la sua compostezza, disciplina e pertinacia. Bene, rimasi colpito a vedere come anche lei, quella volta, cedette e cambiò posizione (cosa che non le avevo mai visto fare) .
Da non molto tempo invece la meditazione sonnolenta del pomeriggio è divenuta un appuntamento interessante. Per vari motivi: primo perché ho imparato finalmente a riuscire ad osservare ed accettare la sonnolenza senza esserne inghiottito; secondo perché vengono a galla pensieri, canzoncine ed altro ed io riesco ad accettare che la mia mente, in quel momento, in base a cause, condizioni e predisposizioni che ben conosco“sia così” ; terzo perché rifletto che non sto ottenendo niente e questo mi dà una certa felicità. Sono infatti consapevole che vi è sempre, in me (come, penso, in altri) l’ansia di “conseguire qualcosa” . Conoscendo questo mio materialismo spirituale, sono contento di non ottenere niente.
Un’altra causa di relativa felicità è trovarmi solo (come mi è accaduto in alcuni ritiri recenti) . Poiché spesso ho guidato le sedute di meditazione, sono consapevole che uno dei rischi che corro è quello di affezionarmi alla mia figura come “leader” . Trovarmi solo è un indizio che non sto “avendo successo” come leader e questo mi permette di osservare mie eventuali reazioni di dispiacere o, come accade , di gioia. Proprio perché non c’è nessuno a dipendere da me.
Questo “non avere successo” è un motivo ricorrente della mia vita. Prendiamo per esempio il Kungfu. Non posso certo dire di avere avuto successo in questo campo-anche se in questo momento il corso è abbastanza affollato. I miei corsi (di Kungfu, di Taijiquan ecc.) sono un porto di mare dove pochissimi restano e moltissimi transitano. Una volta mi recavo in Cina, spendendo un bel po’ di soldi e, durante il ritorno, fantasticavo sui futuri successi che avrei avuto quando avessi dispiegato tutte le cose che avevo imparato… ma, ahimé, erano solo speranze e la gente preferiva fare altre cose. Dopo un po’ ho capito che per me questo era un bene. Sarà la storia della volpe e l’uva, la conosciamo tutti, no? La volpe vuole l’uva ma non riuscendo a raggiungerla va via dicendo: “Tanto era acerba”.
Mi viene fatto spesso di paragonarmi a quella volpe ma trovo che in fondo quella volpe era molto saggia: si era adattata alla realtà in qualche sua maniera. Lo stesso accadde a me. Semplicemente non ebbi successo. Però mi era capitato di vedere un altro istruttore, lui sì riuscito, un istruttore che vive in una piccola città vicino a Lucca. Lui era l’esempio (anche nell’aspetto fisico, nei vestiti eleganti) del manager di successo: aveva una palestra sua, aveva un nugolo di allievi ed era inserito a livello dirigenziale nella Federazione Italiana tal dei tali (vi fui anch’io per qualche anno, come semplice gregario) . Però era preoccupato, era stressatissimo,era sempre angosciato che i suoi allievi andassero da qualche altra parte, arrivava quasi a spiarli, se li vedeva parlare fra loro cercava di sapere cosa si dicevano….
Così quando anni dopo persone,in varie occasioni, mi hanno sollecitato a mettere su un centro per conto mio, ho sempre detto: “No, grazie” . Non volevo diventare come quell’istruttore, dovermi preoccupare se le persone pagavano il mensile, se i miei introiti calavano ecc. ; avevo capito insomma che il successo può essere bello ma può non fare dormire la notte. Anche per questo ho sempre evitato di pensare a un centro di meditazione così come si intende un ‘vero’ centro di meditazione: con una sua sede pubblica, magari con gli altarini e l’incenso che brucia; perché non voglio starmi a preoccupare di un affitto da pagare, della gente che non viene ed anche perché ritengo che affitti, incensi e altarini abbiano ben poco a che fare con il risveglio e la liberazione.
La liberazione ha a che fare non con i rituali ma con la semplicità. Ha a che fare non con gli obblighi, ma con l’essere liberi. E’ una premessa concettuale.
A proposito dei concetti, ieri, nella meditazione del sabato, che da qualche tempo è estremamente silenziosa, di un silenzio profondo e coinvolgente, è venuto fuori, in seguito ad un argomento tirato fuori da Doretta, anche il discorso dei concetti. Nagaarjuna disse a suo tempo che lui non aveva niente da dire, niente da affermare. Disse anche che il Buddha, in decine di anni di predicazione del Dharma, non aveva detto niente. E’ un paradosso, naturalmente, ma disse proprio così: il Buddha non ha mai detto niente. Cosa voleva dire con ciò? Mi fa venire in mente un maestro zen che ho conosciuto: parla, parla, parla tanto ed è davvero interessante sentire ciò che ha da dire, è stimolante. Però arrivi in fondo ai suoi discorsi e ti chiedi: ‘Ma che ha detto?’ . Però è stato stimolante. Dall’altro lato della collina conosco qualcuno che parla, parla, parla tanto (non di cose meditative, si tratta di un’altra situazione) e arrivi in fondo e ti chiedi: ‘ Ma che ha detto?’ . E lì te lo chiedi davvero.
Perché il Buddha e Nagaarjuna non hanno nulla da dire, nulla da affermare? Riflettiamoci (la soluzione è in fondo a questo testo, riferita alla vacuità o assenza di sostanza intrinseca del reale, ma non andateci, prima riflettetevi intuitivamente) .
Avere tesi particolari implica sofferenza. Sono le ossessioni, specialmente le ossessioni metafisiche, basate su opinioni e costruzioni mentali varie. Quello di cui non ci rendiamo conto è che noi “aderiamo” spesso a contenuti, ci attacchiamo emotivamente a questi contenuti (spesso ricevuti fin dai primi anni di vita) . Quindi non è importante parlare, discutere su questo o quello. Importante è vedere cosa c’è davvero mentre si discute. Quando U –Vijaya mi interrogava e mi diceva: “Che hai visto?” e io gli dicevo che avevo percepito davvero questa o quella cosa, lui , bruscammente mi diceva: “Sì, ma che hai visto?” ed io restavo perplesso e sconcertato. Io esponevo dei contenuti e lui riportava bruscamente l’attenzione su quello che c’era davvero. Dei bei pensieri, delle belle opinioni, fatte sulla base di insegnamenti, letture, credi religiosi…. Tutte cose di cui l’ego ha bisogno per attaccamento, consolazione… ma cosa c’era davvero?
Buddha, Dharma e Sangha non esistono in ultima analisi. Molti buddhisti sono attaccati a questi concetti. Ricordo invece una volta che io e Fabio eravamo a casa con mia zia d’America, ottantenne e un po’ istintiva. Parlavamo di meditazione e Buddhismo e lei, d’istinto, disse: “ Il Buddha non sa di nulla” . “E’vero” risposi “davvero il Buddha non sa di nulla” . Lei continuò il suo attacco e noi che ridevamo e scherzavamo dandole ragione. Fu davvero divertente. Perché Buddha , Dharma e Sangha sono la vacuità, l’assenza di sostanza di tutti i fenomeni e di tutti i concetti. Per esempio Naagaarjuna critica inesorabilmente ogni concetto, ogni opinione, buddhista e non buddhista di cui mostra l’assurdita e la contraddittorietà.Concetti come gli aggregati, gli elementi,il karma, la rinascita, la sofferenza, il Buddha, il Nirvana… e su altri versanti il concetto di un creatore ecc.,tutto si frantuma sotto la sua critica. “Se io avessi qualche tesi”, egli dice ne “Lo Sterminio degli Errori” “sarei vittima di questi [stessi] controsensi. Ma io non ho nessuna tesi e quindi non mi si può imputare nessun controsenso” .
Perciò nessuna tesi; piuttosto: “Che c’è davvero?”
sabato 19 maggio 2007
La saggezza della volpe
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