venerdì 19 ottobre 2007

HO VISTO LA VOLPE / standing in the shadow

Ieri sera, tornando dalla palestra, passando attraverso il paduletto di Massa Macinaia, con la coda dell'occhio ho intravisto, infrascata nei cespugli alla mia sinistra, la volpe. E' tanto tempo che non vedevo una volpe e così mi è venuto in mente di tornare indietro per darle da mangiare. Tengo sempre nella bauliera della macchina una scatola di carne per i casi di emergenza (un cane randagio affamato ad es.). Quando questo pensiero si è formato ero però già lontano e ho deciso che probabilmente la volpe se n'era già andata. Mi è tornato in mente quello che facevo nei primi anni di meditazione. Lasciavo sempre del cibo dove sapevo che vi erano i passaggi della volpe.

Mi è venuto da fantasticare che se avesse trovato il barattolo di carne forse si sarebbe saziata e, per quella sera, avrebbe risparmiato altri piccoli esseri viventi. Non mi manca di venire in mente, in questi casi, il fatto che la volpe è un predatore e che ogni sera che esce deve trovare qualche altro essere con cui riempirsi la pancia. Offrirle la carne avrebbe forse fatto risparmiare qualche altro essere. D'altra parte la carne della scatola viene a sua volta da un altro essere ancora, predato a sua volta da quello che è il più grande predatore del mondo, l'uomo. Apparentemente c'è una contraddizione nel voler risparmiare la vita di altri esseri con la carne di altri esseri. Però, questo è il mondo. Il nostro è un mondo di predatori dove tutti depredano tutti. E' un mondo di ferocia insomma, ben lontano da quel mondo ‘bello' di cui parlano i religiosi, i poeti e tutti gli illusi in genere. L'accettazione di questa verità (che poi è la prima nobile verità del Buddhismo: ("Al mondo c'è la sofferenza"), crea l'equanimità, cioè l'accettazione delle cose come sono: e cioè che al mondo c'è sofferenza e che nessuno, proprio nessuno, nemmeno un Buddha o un Gesù, può sfuggire alla sua dose. Mi vengono in mente i bambini quando, a scuola, vengono da me lamentandosi per una piccolissima ferita e io gli dico: "Ma non è niente!" e loro rispondono: " Sì, ma a me fa male!". Ognuno vede la propria sofferenza come massima!

Tornando al discorso della volpe, sorge in me sofferenza anche per lei. Più che sofferenza però la chiamerei com-passione. Io partecipo cioè della sua terribile necessità di nutrirsi ogni sera a spese di qualche altro essere. Naturalmente partecipo allo stesso modo alla necessità di qualche altro essere di non far parte di questa soddisfazione della fame della volpe. E allora? C'è un'apparente contraddizione: devi scegliere, o la volpe o gli altri. In realtà non devo scegliere, devo semplicemente ACCETTARE, accettare che la realtà è questa, complessa e senza scampo, e che ognuno partecipa del destino generale di questo mondo predatore. Il che non toglie che io possa far qualcosa per alleviare la sofferenza di chi soffre. Non ho ucciso un essere per dare la carne in scatola alla volpe: semplicemente utilizzo quello che questo mondo mi offre. Ma non c'è partecipazione volontaria all'uccisione di altri esseri.

Lo scopo principale della meditazione è l'accettazione, l'accettare. Questo non è indifferenza. L'accettare è l'equanimità, dovuta all'accettazione del fatto che vi sono cause e condizioni per cui il soffrire esista, ma ciò non toglie che io non possa cogliere la sofferenza degli esseri e parteciparvi. Mi piace la storia ma ogni volta che leggo di battaglie, di guerre, mi viene alla mente tutta la terribile sofferenza di un campo di battaglia: le morti atroci, le gambe amputate, la lentezza stessa di certe morti, le sofferenze mentali dopo la guerra. E i genitori, le mogli, i figli che soffriranno per la mancanza del loro figlio, marito, fratello ecc.

Osservo criminali storici come Giulio Cesare (che all'assedio di Alesia fece volontariamente morire di fame una parte della popolazione della città che voleva andare via), come Napoleone, che per la propria ambizione egoistica sacrificò le vite di un'intera generazione di giovani europei. Come Hitler che fece uccidere milioni di Ebrei, comunisti, zingari, come Mussolini (che cinicamente entrò in guerra perché occorreva mettere sul piatto delle trattative ‘la morte di qualche migliaio di Italiani'), come Stalin che fece massacrare milioni di contadini. E tuttavia, anche pensando a questi episodi storici, non posso non vedere anche la sofferenza individuale di questi stessi personaggi.

Venendo al mondo d'oggi, riguardo a tutti i casi stravaganti di omicidio che si vedono o di cui si legge, sono tendenzialmente dalla parte dei sospettati: una Franzoni o quel ragazzo (Alberto?) sospettato a lungo dell'omicidio di Chiara - dove? Mi sfugge ma non ha importanza. E sono tendenzialmente con loro non perché sia innocentista: magari sono davvero colpevoli, che ne so. Ma perché credo e penso che la sofferenza e lo spaventoso stress che essi subiscono in queste inchieste e processi devono essere terribili e, se il caso, già una terribile punizione. Semplicemente partecipo della loro sofferenza. L'obiezione più semplice è: ma allora tu non provi pietà per coloro che sono stati assassinati. Certo che sì, ma questo ormai è passato! Io vivo nel presente e, nel presente, vedo queste persone che soffrono. Il motivo mi interessa poco. Vedo queste persone che soffrono, ora. E' la sofferenza che mi colpisce, non capire chi ha ragione o torto.

D'altra parte cerco di stare nel mondo con il piede in due staffe; da una parte la staffa della partecipazione: tutti, in qualche maniera, partecipiamo alla vita di questo mondo; dall'altra la staffa dell'equanimità e dell'accettazione, per cui tutto è come deve essere (per lo meno in questo preciso attimo storico; fra un altro attimo sarà già diverso). Ma quello che è importante, in ultima analisi, è vedere il mondo dal punto di vista dell'equanimità, dell'illuminazione.

Essere illuminati, come dice il termine stesso, significa avere chiarezza e questa chiarezza è riferita ovviamente al mondo e a noi stessi come processi inseriti in altri processi. Avere questa chiarezza è vedere la causalità negli avvenimenti: questo avviene perché è avvenuto quello, questo non avviene quando non sia avvenuto quello. E' la meraviglia dell'ovvio. Se si vede questo (chiamato anche ‘coproduzione condizionata') il mondo è perfetto (nella sua imperfezione assoluta), è così com'è e va preso e accettato com'è.

De Mello in un suo libro diceva che l'essenza della meditazione è: consapevolezza, consapevolezza, consapevolezza. Io aggiungo: l'essenza della meditazione è: accettare, accettare, accettare. Se si accetta, va tutto bene, si è in armonia con le cose come sono (e che devono necessariamente essere così. Ho messo il titolo mezzo in italiano e mezzo in inglese volutamente: ho un'amica infatti che si irrita per gli anglicismi nella nostra lingua. Ma il mondo va così, anche la nostra lingua cambia e questo va accettato senza rimpianti. Questo vale anche per tutti coloro che si lamentano per ‘la decadenza dei valori'. Ma i valori non sono assoluti, anch'essi sono condizionati ed è naturale che mutino col mutare delle cose.

Resistere al cambiamento significa mettersi in attrito col mondo, creare avversione verso il mondo, spesso e volentieri essere dei reazionari brontoloni.
Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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