Il mio amico Stefano Poletti ha pubblicato una lettera in cui fa qualche accenno su Metta (che a me piace tradurre come empatia e apertura - apertura verso gli altri). Concordo su molte cose che scrive però vorrei fare qualche precisazione su Metta. Metta non viene praticata per cambiare gli altri o influire sul mondo. Non è questo il suo scopo. Lo scopo è quello della liberazione della mente, lo scopo è quello di abolire, dentro noi stessi, le barriere fra noi e gli altri e di arrivare con questo anche all'altro 'infinito', quello dell'equanimità.
Sì, perché quando si giunge ad abbattere le barriere con gli altri, quando si arriva a porre tutti gli esseri sullo stesso piano, quando poi (almeno come pratico io) tutti gli esseri si dissolvono e resta irradiazione pura, senza nemmeno più un centro rappresentato da noi stessi, si giunge alla meditazione senza alcuna rappresentazione, quell'infinito 'senza segno' (animitta) che è, nel Buddhismo classico, una delle tre porte alla liberazione (le altre due essendo la vacuità e la non-direzione). Quando tutte le barriere sono abbattute si ha l'equanimità, che è forse la componente più importante della liberazione.
Il Buddha elencò quattro stati, definiti come le 'residenze infinite' e questi sono precisamente metta / apertura, karuna / com-passione, mudita / gioia altruistica e upekkha / equanimità. Quest'ultima è il coronamento e il superamento delle altre tre, e, guarda caso, è anche, sia pure in un 'formato' leggermente diverso, la componente più importante del quarto Jhana o Dhyana che è il punto dove il Buddha raggiunse la liberazione. Queste quattro residenze infinite, essendo anche chiamate Brahma-vihara, residenze di Brahma o residenze divine, hanno poi subito, nel corso del tempo, nel Buddhismo classico, una sorta di svalutazione rispetto, ad esempio, all'insight o Vipassana ma Richard Gombrich e altri hanno recentemente dimostrato come il Buddha usasse il termine Brahma nel contesto di conversazioni con i brahmini, che appunto credevano in questa divinità, in un senso che Gombrich definisce ironico.
Il Buddha usava spesso la terminologia di altri con un detournement, cioè portando gradualmente l'ascoltatore all'accettazione di un altro significato superiore. In questo caso, raggiungere Brahma, indicava il raggiungere non Dio, ma il Nirvana, la liberazione. Non essendo teista, il Buddha non era certo interessato a raggiungere un Brahma qualsiasi, che però faceva parte del contesto induista. Partendo dal background mentale dell'ascoltatore, Il Buddha indicava le 4 'residenze infinite' come una via per raggiungere Brahma, che però era qualcos'altro, la liberazione. E siccome la liberazione è per forza una liberazione della mente, una liberazione che trascende tutti i segni (animitta), basata com'è sulla equanimità, quale via migliore di quella di spazzare ogni preferenza o avversione e di giungere a una irradiazione infinita e senza oggetto o rappresentazione?
Sì, perché quando si giunge ad abbattere le barriere con gli altri, quando si arriva a porre tutti gli esseri sullo stesso piano, quando poi (almeno come pratico io) tutti gli esseri si dissolvono e resta irradiazione pura, senza nemmeno più un centro rappresentato da noi stessi, si giunge alla meditazione senza alcuna rappresentazione, quell'infinito 'senza segno' (animitta) che è, nel Buddhismo classico, una delle tre porte alla liberazione (le altre due essendo la vacuità e la non-direzione). Quando tutte le barriere sono abbattute si ha l'equanimità, che è forse la componente più importante della liberazione.
Il Buddha elencò quattro stati, definiti come le 'residenze infinite' e questi sono precisamente metta / apertura, karuna / com-passione, mudita / gioia altruistica e upekkha / equanimità. Quest'ultima è il coronamento e il superamento delle altre tre, e, guarda caso, è anche, sia pure in un 'formato' leggermente diverso, la componente più importante del quarto Jhana o Dhyana che è il punto dove il Buddha raggiunse la liberazione. Queste quattro residenze infinite, essendo anche chiamate Brahma-vihara, residenze di Brahma o residenze divine, hanno poi subito, nel corso del tempo, nel Buddhismo classico, una sorta di svalutazione rispetto, ad esempio, all'insight o Vipassana ma Richard Gombrich e altri hanno recentemente dimostrato come il Buddha usasse il termine Brahma nel contesto di conversazioni con i brahmini, che appunto credevano in questa divinità, in un senso che Gombrich definisce ironico.
Il Buddha usava spesso la terminologia di altri con un detournement, cioè portando gradualmente l'ascoltatore all'accettazione di un altro significato superiore. In questo caso, raggiungere Brahma, indicava il raggiungere non Dio, ma il Nirvana, la liberazione. Non essendo teista, il Buddha non era certo interessato a raggiungere un Brahma qualsiasi, che però faceva parte del contesto induista. Partendo dal background mentale dell'ascoltatore, Il Buddha indicava le 4 'residenze infinite' come una via per raggiungere Brahma, che però era qualcos'altro, la liberazione. E siccome la liberazione è per forza una liberazione della mente, una liberazione che trascende tutti i segni (animitta), basata com'è sulla equanimità, quale via migliore di quella di spazzare ogni preferenza o avversione e di giungere a una irradiazione infinita e senza oggetto o rappresentazione?
La pratica di metta e upekkha è accessibile a tutti e va verso la liberazione, la libertà. Rendendoci accettanti e aperti poi essa ha anche influenza sugli altri e quindi partecipa a trasformare il mondo intorno a noi ma solo come una ricaduta indiretta che purtuttavia avviene (e io potrei citare molti casi). Nulla a che fare dunque con il 'pensiero positivo' o simili americanate commerciali. Qui si tratta di enunciazioni nemmeno mie, ma del Buddha storico. Per una mente libera.