“Qualunque sia il limite del Nirvana
Quello è il limite dell’esistenza ciclica (samsara ) .
Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro
E nemmeno la cosa più sottile”
(Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika 25)
Ci sono parole che hanno potere. Sì, come nella vita quotidiana, dove ogni parola può cambiare i vostri rapporti con gli altri, così nella meditazione vi sono parole che hanno la magia di dischiudervi nuovi scenari. Vi è mai capitato, nella vita quotidiana, di usare una parola o una frase che nelle vostre intenzioni avrebbe dovuto essere scherzosa e che magari ha guastato un’amicizia? Oppure, in senso inverso, usare una parola di incoraggiamento verso qualcuno e notare come avvenga un suo meraviglioso cambiamento? Le parole hanno potere! Provate, come ho già detto altre volte, a mettere una firma su un assegno e ve ne accorgerete. Questo fa capire come la vacuità funzioni: non c’è quasi niente di più insostanziale di una firma, eppure funziona! E’ questa una cosa su cui riflettere. Le cose sono prive di sostanza, eppure funzionano. Il mondo è privo di sostanza stabile, eppure funziona. Un film drammatico è privo di sostanzialità, eppure ci fa star male!
Ci sono due parole magiche (molto più di due, per la verità) nella meditazione e sono, rispettivamente, CONSAPEVOLEZZA e ACCETTAZIONE. Entrambe sono un compendio della pratica meditativa. Mentre la prima è ben nota, della seconda si parla meno, pure è fondamentale. Accettazione è il fine verso cui dirigiamo la pratica, accettazione è la pratica stessa, accettazione è la visione delle cose come sono, accettazione è l’accettazione delle cose come sono.
Questo ci porta a un nodo della nostra pratica. Pratichiamo per sfuggire alla sofferenza, si dice. Ma possiamo noi sfuggire alla sofferenza (e, si badi, non mi riferisco alla sofferenza fisica, anche il Buddha ne soffrì ma l’accettò tranquillamente). Possiamo sfuggire alla sofferenza mentale? Possiamo sfuggire al frequente dolore che sorge nei rapporti con gli altri, al dolore della separazione o dell’abbandono? E se soffriamo, non è questo un fallimento della nostra pratica meditativa? Non è questo che manda all’aria la nostra stessa voglia di fare meditazione?
Come ho detto altre volte, come dico ora, la confusione è il Buddha, la sofferenza è il Buddha, la mente agitata è il Buddha. Ma al di là di queste, che possono sembrare frasi retoriche (e non lo sono) come fronteggiare la sofferenza?
Lontano da me l’idea di dare formule semplici, valide per tutti. Ognuno ha un suo rapporto speciale con la sofferenza, ognuno poi ha livelli di maturità e consapevolezza diversi. Ma è alle persone che hanno una consapevolezza più profonda che dico: se si sa cambiare il punto di vista, quella è l’illuminazione, quella è la realtà ultima. Facevamo un discorso su questo in una recente seduta. Una nostra amica, che medita da anni, diceva, in quella seduta e parlando appunto della sofferenza che viene da certi rapporti personali: ‘E’ la vita quotidiana che è il nostro campo di battaglia!’
_Bene, pensa di essere un soldato su un campo di battaglia, che cosa vedi?
_Vedo morte, scontro, sofferenza.
_Pensa ora di essere Napoleone, in cima a una collina, che cosa vedi?
_ Vedo tutta la battaglia, vedo il tutto.
_ Bene, tu sei nella battaglia, provi dolore, fisico e mentale, perché sei nella tua situazione particolare, nel tuo piccolo. Napoleone non prova le stesse sensazioni, eppure siete entrambi nello stesso quadro!
Non voglio dare soluzioni facili. Riflettiamo su questo esempio e ciascuno trovi la soluzione e magari me la comunichi. E ancora una volta torniamo alla frase di Nagarjuna: ‘Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro (fra il samsara o vita mondana e Nirvana), e nemmeno la cosa più sottile’. Non sarà, allora, che l’illuminazione è semplicemente un cambio di prospettiva, un altro lato della stessa collina?
Mi siedo e mi ripeto nella mente: ‘ Accettazione’. Ma accettazione di cosa? E’ chiaro che mi riferisco alla visione di qualcosa. Di che cosa? Del mondo esterno e di come influisce su di me? Di me stesso? Di come sono?
Qualunque risposta io dia – e volutamente non la do, accettazione implica visione, visione profonda. Non posso accettare quello che non vedo. Certo, mi si dirà, ma se sono in confusione, non riesco a ‘vedere’ . Come no, rispondo. Osserva la confusione e ne saprai certamente intuire le cause.
Accettazione è anche pacificarsi con le cose, con il mondo. Così com’è. E’ come la Storia. Non esiste la Storia del ‘se fosse andata così’ . La Storia è quello che è. Le cose come sono.
E’ a questa pacificazione a cui allude Nagarjuna quando dice: ‘La pacificazione di ogni oggettivizzazione e la pacificazione dell’illusione. Nessun Dharma fu insegnato dal Buddha, in nessun tempo, in nessun luogo, ad alcuna persona’. Un’altra frase misteriosa (?) su cui riflettere.
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