Ciao Loriano.
Come stai? Qui tutto ok....finalmente posso dirlo senza riserve!
Senti ti scrivo per porti una domanda che mi è stata posta per e-mail ma a
cui non mi sento in grado di rispondere....se tu hai qualche osservazione
da fare a proposito, sarò felice di inoltrare alla persona interessata la tua
e-mail. Grazie Nicola
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> Volevo chiederti questo: nel libro di Thich Nhat Hanh "La vita di
> Siddhartha il Buddha" alla fine del capitolo 26 il re Kassapa chiese al
> Buddha "Se non c'è il sè perchè dovremmo seguire un sentiero spirituale
per
> ottenere la liberazione? Chi si libera?".
> Non sono riuscito a capire la risposta che si trovava nel capitolo
seguente,
> puoi spiegarmelo in parole semplici?
> Cioè cosa succede dopo la morte fisica?
> Grazie per il tempo che vorrai dedicarmi e perdonami per il tempo che ti
> faccio perdere.
Risposta: Noi siamo talmente radicati nella credenza di un sé stabile e reale da non
riuscire a concepire che possano esistere solo processi, pure è questa la
realtà ultima, solo processi. Dura da digerire,eh?
Questi processi creano però sofferenza per cui si dice che esiste la
sofferenza ma non colui che soffre. Naturalmente questa affermazione non va
presa alla lettera ma considerata da due livelli di realtà. Nella realtà
"normale" esistono aggregati asssai complessi che sono condizioni per il
sorgere di coscienza. Dove sorge la coscienza vi è certo posto per tutte le
sensazioni inclusa la sofferenza fisica. Se tocchi un tessuto vivo, questo
si ritrae. Questo avviene perché esiste la coscienza tattile di quel
tessuto. Più difficile è capire come possa esistere la sofferenza mentale.
Qui si arriva a risulrtati eccelsi, cioè l'aggregato della coscienza è
talmente complesso da far sorgere una sofferenza puramente mentale!
A livello di realtà ultima non possiamo dire che esista un sé finale come
postulato invece da tutte le religioni (eccetto il Buddhismo). L'esempio dei
sei tipi di coscienza: togli la coscienza tattile, quella del gusto,
dell'odorato, della vista, dell'udito e quella degli oggetti mentali (che è
anch'essa un tipo di coscienza avente come base fisica il cervello)... che
cosa resterà? Un bel nulla perchè se togliamo tutte le condizioni
sensoriali/fisiche non vi è base reale per una coscienza... naturalmente
possono (possono) esistere corpi di materia più sottile ma siamo ancora
quindi nei dati fisici....
Perciò la coscienza si sviluppa dove vi sono le condizioni fisiche perchè
esista. Pur esistendo in forma transitoria e mutante, da un punto di vista convenzionale non si può dire che non esista, così come non si può dire che non esiste la neve perché in ultimo si scioglie e diventa acqua (che poi non è nemmeno “acqua” ma molecole le quali a loro volta non sono che atomi i quali a loro volta…ecc.) .Riguardo al sé: non è dato rintracciare un sé stabile : anche convenzionalmente né esiste né non esiste, la realtà come la percepiamo convenzionalmente sta nel mezzo e quella ed è difficile da cogliere e tantomeno da accettare. Pure questo sé/non-sé è capace di sviluppare sofferenza ed ha
un'immagine propria assaI consistente e duratura ed è proprio questa immagine
che lo fa soffrire. Ho fatto un esempio nell'ultima mia newsletter: è come
un film, sai che è irreale ma ti fa soffrire... e vedi i personaggi del film
che gioiscono, soffrono ecc.
Non credo di poter essere molto soddsfacente in queste righe che dette così
sono astratte. Razionalmente si può arrivare a una certa comprensione del
problema (c'è anche chi si rifiuta, per la verità) ma è solo la realizzazione
meditativa che può permettere di arrivare a vedere le cose come sono, cioè
come processi.
Perciò la domanda che viene posta in questa lettera, pur naturale, andrebbe
riformulata. Il Buddha per esempio non ha mai detto che avrebbe dato una
risposta a questo tipo di domanda. A quanto si racconta, vedendo la
difficoltà dell'impresa per gli umani di comprendere la verità insita nel
suo risveglio, all'inizio non aveva affatto intenzione di insegnarla. Però
vedendo che nel mondo vi erano persone in grado di cogliere questa verità
(anche se non molte) si dedicò all'insegnamento. Il contenuto del suo
messaggio non è in termini sostanziali. Non dice: "Io vi parlerò di un sé
diverso da quello a cui fate riferimento, vi parlerò di una realtà ultima,
vi parlerò di chi esiste dopo la morte..." ; egli disse soltanto: "Io
insegno che esiste la sofferenza -leggi la condizione umana- e che esiste
una sua origine, una sua fine e un modo per arrivare alla sua fine" . Solo
questo ha detto il Buddha, come un dottore che di fronte a una ferita da
freccia non si pone il problema di chi l'ha scagliata e di quale fine farà
la freccia una volta estratta ma si pone il problema di curare e guarire la
sofferenza della ferita.
La domanda , dicevo, così come è posta è sbagliata. Fa riferimento a una
sostanzialità che in termini ultimi non esiste. Fose andrebbe posta così:
"Come far cessare la sofferenza esistenziale" con un corollario: " non sarà
questa credenza in un io/ mio sostanziale che mi fa soffrire?". Ma questo è
difficile. Un caro saluto.
Conoscenza impersonale = conoscenza che libera
'Qui, amico, riguardo a cose viste sentite o concepite:
All'interno del visto vi sia solamente il visto..
All'interno dei sentito vi sia solamente il sentito..
All'interno del percepito vi sia solamente il percepito
All'interno dei concepito vi sia solamente il concepito
Quando tu, amico considererai il visto come semplice vedere,
considererai il sentito come semplicemente udire,
considererai il percepito come semplicemente percepire,
considererai il concepito come solamente concezione,
allora, amico, tu non sarai o esisterai “per mezzo di quello”...
Quando non essendo 'da quello', tu non sarai ‘in quello’...
Quando non essendo ‘in quello’, tu non sarai né 'qui' né
'là', né 'oltre' né 'in mezzo'...
Questo sarà la fine della sofferenza... '
( Samyutta Nikaya IV 73)
Commenti:
La liberazione è concepita solamente nel divenire liberi dalla concezione di un sé, di un ego, di un’”anima” stabile. E’ solo quando si riesce ad essere tutt’uno con il flusso impersonale dei fenomeni, quando cioè si vedono il visto, il sentito, il percepito e l’atto di conoscere stesso come azioni e non come “cose” che si può percepire la liberazione dall’ego e dalla falsa idea di un sé stabile. Qualcuno ha fatto l’immagine di una foto del cosmo presa da un radio telescopio: c’è la visione ripresa ma non c’è colui che scatta la foto. (Only the directly observed experience itself is granted transient existence. One cannot conclude that anysubject or 'Me' is created, just because there is an object projected!Exactly like one cannot conclude that any photographer exists, just because a photo is taken [ex. a space-telescope is without any Ego!] ) . Le frasi un po’ oscure “ tu non sarai o esisterai a causa di quello”, in “quello “ ecc., stanno appunto ad indicare che proprio cogliere i processi come processi porta ad essere liberi dalla concezione di un sé e dalla perpetuazione di questa idea.
giovedì 19 luglio 2007
Una lettera...
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