Poiché viviamo in un mondo di "mentazione", certe parole fanno bene.
C'è un'altra pratica parlata che svolge un effetto benefico, la presa di rifugio. Questa è una tradizione classicamente buddhista ma ogni tradizione ha la sua (il Cristianesimo ad es. ne ha in sovrabbondanza, dal Padre Nostro all'Ave Maria a molte forme liturgiche). Però, in una tradizione non-sostanzialista, non si può e non si deve prendere rifugio in qualcuno o in qualcosa. Piuttosto, la "presa di rifugio" avverrà rivolta verso le capacità e visioni inerenti alle nostre forme individuali e alle nostre predisposizioni. Ciascuno di noi può essere un Buddha (o comunque un Liberato, un Illuminato ecc.). E' questa possibilità a cui deve alludere la "presa di rifugio". Non quindi la presa di rifugio classica in qualcosa che realmente non ha sostanza (‘io prendo rifugio nel Buddha, io prendo rifugio nel Dharma, io prendo rifugio nel Sangha') ma la presa di rifugio nella nostra fiducia e possibilità di essere un Buddha. Non migliore appare, a mio parere, una elaborazione ancora più complessa elaborata ad es. da Thich Nhat Hanh, piena di valori tradizionali e, in ultima analisi, troppo lunga e discorsiva. Occorre qualcosa di semplice e che riassuma, allo stesso tempo, la visione che abbiamo.
Ora, lo ripeto - e qui di sicuro scandalizzerò qualche ‘buddhista': non esiste alcun Buddha sostanziale, non esiste alcun Dharma (Legge, dottrina) sostanziale, non esiste alcun Sangha (comunità) sostanziale. Come ho detto altre volte è fare un brutto scherzo al Buddha, al Dharma e al Sangha parlarne come se si trattasse di entità sostanziali, reali. In realtà la visione buddhista è una visione dell'assoluta mancanza di sostanzialità, dell'assenza di un sé reale, assoluto. La visione buddhista è quella dell'assoluta interdipendenza di tutti i fenomeni, è quella di un'assoluta "RELATIVITA'". Sì, caro Ratzinger, è proprio qui il relativismo di cui parli e contro cui ti scagli. E' l'esperienza stessa e non un dogma a farci ‘vedere' come tutto sia relativo, come le visioni assolutiste siano infarcite di fantasie e, in ultima analisi, castelli di carte pronti a crollare (peccato originale, Adamo ed Eva, sic... tutte cose mai esistite e allora: da cosa saremmo stati salvati? E dove si vede questa salvezza?) .....
Se c'è perciò qualcosa in cui prendere rifugio è appunto in questa visione dell'insostanzialità, dell'impermanenza, dell'assenza di un sé reale e della dipendenza reciproca di tutti i fenomeni: tutto questo viene riassunto facilmente in una sola parola: VACUITA'!
E allora la formula che io mi ripeto mentalmente all'inizio di ogni mia pratica meditativa è questa:
"Io prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti concetti che è il Buddha"
"Io prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti concetti che è il Dharma"
"Io prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti concetti che è il Sangha"
E poi, come nella tradizione classica:
"Per la seconda volta io prendo rifugio nella vacuità di..."
"Per la terza volta io prendo rifugio nella vacuità di.'
Sì, l'essenza di un Buddha è la visione della vacuità ed il Buddha stesso è privo di un sé stabile, quindi è ‘introvabile' (che differenza da tutte le altre tradizioni religiose: una religione senza religione!).
Quello in cui dobbiamo rifugiarci non è una sorta di ‘idolatria' quindi, l'adesione a... (al Buddha, a Gesù, alla Madonna ecc.) ma, al contrario, una consapevolezza che le cose sono insostanziali, sono impermanenti. La mia stessa vita è un fiore. Al mattino sorge, alla sera non c'è più. Lontano dal creare disperazione, questa visione deve e può creare accettazione delle cose come sono, deve e può creare distacco. Tutte le credenze religiose vengono dalla paura. Paura di essere soli al momento della morte, paura di annientamento, paura derivante dai rapporti che abbiamo in vita e a cui siamo così attaccati.... Se ci interroghiamo con onestà ci accorgiamo di quanto ciò sia vero. E invece possiamo ‘calmare' le nostre predisposizioni: Io prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti...' , questa è la cura per le nostre angosce. Tutti i fenomeni, me compreso, sono privi di sostanza, sono passeggeri, sono come una bolla di sapone, acqua che scorre, schiuma sul mare della vita. Ha un senso comune questo, è razionale, lo posso accettare? Sì. E allora sorge la calma di fronte alla vita, alla malattia, alla morte. Vivere, decadere, morire... è il destino di ogni essere, perfino del Buddha e di Gesù.
" Basta di piangere e lamentarti, Ananda" disse il Buddha al discepolo che lo aveva seguito per tutta la vita e che piangeva perché il Buddha stava per morire, " non ti ho già detto che tutte le cose che sono piacevoli e deliziose sono impermanenti, soggette a separazione (da esse) e a divenire altre? Così come potrebbe essere, Ananda, poiché ogni cosa che è nato, divenuto, composto è soggetto a decadenza - come potrebbe essere che esso non passi via?". E quando il Buddha morì, i monaci non ancora liberati completamente piansero e si lamentarono; ma i monaci liberati dissero: 'Tutte le cose composte sono impermanenti. Che senso c'è nel piangere?"
lunedì 19 maggio 2008
Le parole che fanno bene - 2
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