sabato 15 gennaio 2011

Noi e IL TUTTO


(Continuazione dal numero precedente)


Abbiamo visto come il fatto che ‘tutto questo esiste anziché no', il più vecchio quesito filosofico, sia effettivamente un antidoto contro la tendenza, tutta tipica dell'ego umano, di dare nomi all'indefinibile (ad es. il nome Dio) . Se si osserva che noi facciamo parte -e, sicuramente una parte minima- di tutto quello che conosciamo, noi stabiliamo un fatto puro e semplice, senza altre illazioni o concettualizzazioni. Questo serve, al meditatore, come una medicina contro la tendenza a concettualizzare, a dare nomi, a creare castelli mentali sull'esistenza o non esistenza di Dio. E' senz'altro un atto di pulizia mentale contro l'inquinamento concettuale che ha riempito la mente umana fin dai suoi primordi, radicato nel timore esistenziale dei fenomeni naturali e della morte nonché nel bisogno di protezione.
Stabilito questo TUTTO come medicina, chi ci garantisce però dal prendere anche questa totalità come un nuovo idolo, una sostituzione dell'Ente ‘tutto' all'ente ‘dio' , con tutte le sue caratteristiche? Come può esserci liberazione della mente se noi semplicemente ci asserviamo all'idolatria di un' entità cambiandole semplicemente il nome?
Si dirà: ma perché preoccuparsi tanto visto che si tratta solo di un nome? Proprio in base alla vacuità di sostanza reale che caratterizza un nome, perché preoccuparsene? Mentre questo da una parte è vero, dall'altra ci si può ricordare che anche le cose prive di sostanzialità reale possono avere efficacia. Non c'è niente di meno sostanziale di una firma ad esempio (basta una goccia d'acqua per stravolgerla o cancellarla) eppure essa ha efficacia: messa su un fogliettino di carta essa può fornirci (o toglierci) molto denaro. Non c'è niente di meno sostanziale di una parola ma a volte una sola parola ha causato un omicidio. Perciò noi distinguiamo fra vacuità ed efficacia.
Tornando al ‘tutto', che garanzia ho che questo tutto esista davvero? Io nella mia pratica meditativa uso molto l'immagine del tutto o dello spazio; ma che garanzia ho che tutto questo esista davvero e non sia una creazione della mia mente? Ricorderete il film ‘A Beautiful Mind' : in esso siamo trasportati nella storia di uno scienziato amercano degli anni cinquanta del secolo scorso, coinvolto in una storia di spie... arrivati ad un certo punto del film ci accorgiamo che tutti i personaggi più importanti della sua vita, a parte la moglie, sono creazioni della mente dello scienziato, questi cioè vive, parla e interagisce con questi fantocci mentali ritenendoli veri. E' davvero un film interessante, un film buddhista si potrebbe dire. Lo stesso tema appare in Matrix, in una forma diversa. Il Buddha, il più raffinato indagatore della mente di tutti i tempi, era ben consapevole di ciò. Egli era anche consapevole e contrario alla reificazione ( o ‘cosizzazione') dei concetti e consapevole dei pericoli sottili da essi creati. Anche a quel tempo correvano le dottrine e le definizioni più varie. Una di queste, guarda caso, era ‘il tutto'. Ma il Buddha era un empirista, cioè si basava non sulle creazioni della mente (come fa Platone che inventa un mondo delle idee dove si troverebbero gli archetipi delle cose reali) ma sulla base della realtà. E qual è questa realtà? Che l'unico mezzo valido di conoscenza è la visione analitica del rapporto fra i nostri sensi e gli oggetti. Questo rapporto è dinamico e verificabile. Non si può dire ad es. ‘il cane' come un dato a priori. Il cane esiste nella misura in cui viene percepito dall'occhio, dall'udito ecc. e quando questa informazione sensoriale viene elaborata dalla mente. Esiste cioè una specie di corridoio dinamico fra ciascuno dei nostri sensi e l'oggetto percepito. Se questi corridoi dinamici fra organi sensoriali e oggetti non esistessero, il cane semplicemente non esisterebbe (nel senso che non avremmo alcuna possibilità di conoscerne l'esistenza o meno, quindi sarebbe di fatto inesistente) . E' questo su cui il Buddha attirò sempre l'attenzione dei suoi discepoli. Egli insisteva sempre su "!'occhio e i suoi oggetti" , "l'orecchio e i suoi oggetti" e così via. Ed anche
rispetto al ‘tutto' egli pose l'accento sul fatto che l'unica maniera di conoscere questo ‘tutto' è NEL NOSTRO CORPO. Platone fa davvero una meschina figura in rapporto al pragmatismo del Buddha.
Perciò nel quarto libro del Samyukta Nikaya, egli si preoccupa di sfatare ogni visione assolutistica del ‘tutto' facendo ricorso ai sensi, al corpo.
"Monaci, vi insegnerò il tutto... Che cosa, monaci, è il tutto? L'occhio e le forme, l'orecchio e i suoni, il naso e gli odori, la lingua e il gusto, il corpo e gli oggetti tattili, la mente e i fenomeni mentali. Questo è chiamato il tutto."

Egli poi prosegue facendo notare che non vi può essere un altro ‘tutto' conoscibile distinto dalle sfere sensoriali.
"Se qualcuno, monaci, dovesse parlare così: ‘Avendo respinto questo ‘tutto', io renderò noto un altro ‘tutto' - quella sarebbe semplicemente una vuota vanteria da parte sua. Se egli fosse interrogato, egli non sarebbe in grado di rispondere e, inoltre, egli incorrerebbe in frustrazione. Per quale ragione? Perché, monaci, questo non sarebbe nella sua capacità"

Perciò possiamo usare il ‘tutto' come una medicina, un antidoto verso concetti ben più nocivi, ma dobbiamo essere consapevoli che l'unico tutto conoscibile è quello legato al rapporto dinamico-conoscitivo delle sfere sensoriali.
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Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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