Vacuità, vuoto.
Quando qualcuno si avvicina alla pratica meditativa e sente parlare di vacuità, pensa: "Ah, sì, devo realizzare il vuoto". E immagina una mente vuota di ogni pensiero. Ha torto, ha ragione.
Ha torto. Perché vacuità vuol dire un'altra cosa. Cominciare a comprendere l'assenza di un sé stabile, cominciare a comprendere che si ha a che fare con una realtà mutevole, cangiante finanche nei suoi aspetti più profondi, quelli dove ci immaginiamo una sostanza stabile, l'anima, che a seconda delle nostre credenze raggiungerebbe il paradiso o affronterebbe il lungo processo di reincarnazioni....
Ha ragione. Perché creare il vuoto mentale significa giungere alla fine di ogni concettualizzazione, comprese le due precedenti (paradiso, reincarnazione), entrare in contatto con le cose come sono e non come ce le rappresentiamo.
Ha torto. Non si tratta di sopprimere i pensieri, creando un dualismo fra quello che è meglio e quello che è peggio, fra il pensiero e il non pensiero.
Ha ragione. Non si può arrivare alla fine del dualismo se non si supera il pensare, il concettualizzare.
Non ha né torto né ragione.
Si deve abbandonare anche questa contrapposizione perché ancora fa parte del mondo della proliferazione mentale.
A questo punto il discorso è terminato. Siamo ridotti al silenzio. La mente ha fatto corto-circuito.
Ma allora, esaurite le possibilità, l'unica cosa da fare è vivere. Come scriveva Wittgenstein, un filosofo che ogni tanto mi capita di citare, " Il luogo dove voglio arrivare è un luogo dove sono già ora" .
Per un attimo ho realizzato il silenzio mentale, per un attimo ho goduto di uno sprazzo di misticismo apofatico (cioè basato sul silenzio). Ma poi la mente riprende il suo corso naturale, il suo pensare e discriminare, i processi psico-fisici prendono consapevolezza di se stessi e ripropongono l'immagine di un sé e restiamo col solito problema: come vivere una pratica che possa portare alla realizzazione della vacuità, cioè della comprensione dell'assenza di un sé e dell'interdipendenza di tutti i fenomeni. Perché un altro dualismo da superare è quello tra realizzazione istantanea, come sopra, e realizzazione graduale, lenta, quotidiana.
Negli anni ho sentito parlare e ho letto molto sul concetto di vacuità, però non ho trovato da nessuna parte una meditazione sulla vacuità. Sembra che tutti ne parlino senza indicare una via pratica ad una sua, diciamo così, approssimazione almeno. Sappiamo che esistono tre porte alla Liberazione, al Nirvana: la porta della Vacuità, quella del senza-segno e quella dell'assenza di direzione; sono anche tre tipi di samadhi e tre tipi di liberazione della mente. Ma c'è un sentiero specifico, degli atti pratici cioè, che portino in questa direzione? Si potrebbe dire: non c'è nessun sentiero, tutto è privo di sé. E' vero, ma questo mi lascia ancora una volta a terra. Ho bisogno di qualche indicazione pratica. Qualche specifica attenzione che mi accompagni proprio in questa direzione.
C'è, a mio parere, una risposta pratica su cui insisto da qualche tempo, la meditazione sullo spazio. Apparentemente si potrebbe obiettare che è una mia invenzione. In realtà mi limito a riproporre uno degli antichi soggetti di meditazione raccomandati dal Buddha e poi in parte abbandonati per delle complesse ragioni storiche che personalmente ho analizzato ma che manca qui lo spazio per trattare. La stessa cosa vale anche per le tre porte della Liberazione. Dove se ne sente mai parlare? Eppure sono tutte indicazioni che facevano parte del sentiero antico. Certo, lo so, si tratta di indicazioni che normalmente presuppongono un livello già avanzato di realizzazione.
Ma perché accettare questo gradualismo? E quindi il suo opposto, il subitaneismo?
Perché non superare la divaricazione dualista fra fine e mezzo? Perché non impostare già ora la pratica in queste direzioni?
Vacuità, senza-segno, assenza di scopo.
Tutte le tradizioni (religiose, politiche ecc.) subiscono, nel tempo, un processo di storicizzazione, si arricchiscono di nuovi elementi e ne mettono in ombra altri. I motivi sono complessi ma sostanzialmente non fanno che richiamarne uno fondamentale: l'impermanenza. Si pensi soltanto quanta fantasia di interpretazione ha subìto, in appena 150 anni di storia, una teoria come quella marxista e si immagini quanta fantasia e costruzione si siano infilate in religioni come la buddhista (2400 anni di storia) e la cristiana (2000 anni di storia) per non parlare di quelle ebraica e musulmana. I loro fondatori-di Buddhismo e Cristianesimo, già a pochi anni dalla morte, sono stati deificati (un processo che per la verità nel Buddhismo è iniziato solo molto tardi, con la tradizione Mahayana; per quanto riguarda il Cristianesimo si veda il discorso del "Figlio di Dio": ma tutti gli Ebrei si consideravano figli di Dio - come a volte si dichiarano anche oggi i Cristiani) e comunque hanno avuto i propri insegnamenti sottoposti a un processo di perdita o acquisizione. E' normale, è l'impermanenza. Ma tutto questo porta lontano . Torniamo al discorso sulla vacuità.
La liberazione o Nirvana ha a che fare con la comprensione, la visione profonda, che un sé reale non esiste, che esistono solo fenomeni complessi. Questa è la vacuità che significa, come dicevamo sopra, assenza di sostanza. Quindi la liberazione ha a che fare con una realtà ultima indifferenziata, incondizionata.
Ora c'è un unico concetto che si avvicina a questo , quello di spazio che non a caso venne indicato (erroneamente) da alcune tradizioni antiche come una realtà incondizionata simile al Nirvana (lo fa anche un testo theravada, Le domande di Milindha ). E non a caso lo spazio era uno dei molti oggetti meditativi raccomandati nel Mahaasakuludaahyi Sutta (MN,n.77 ) fra i dieci kasina o basi di meditazione (terra, acqua, fuoco, aria, blu, giallo, rosso, bianco, spazio e coscienza) . Ne riparleremo.
Relazione fra spazio e meditazione
Sulla relazione fra spazio e meditazione si può trovare un testo interessante in MN 62, Maharahulovada Sutta, ' Il Grande Discorso di Consigli a Rahula'. (1)
In questo sutta che ha come luogo di svolgimento il boschetto Jeta, nel Parco di Anathapindika, a Savatthi, il Buddha si alza di buon mattino e si reca a Savatthi per la questua, seguito dal figlio Rahula. Il Buddha si volge al figlio e gli dice che dovrebbe considerare ogni tipo di forma materiale in questo modo: 'Questa non è mia, questa non sono io, questa non è il mio sé'. Rahula allora chiede: 'Solo la forma materiale?'
'Forma materiale, Rahula, sensazione, percezione, formazioni e coscienza.'
Rahula si sente interessato a ricevere un insegnamento che sa prezioso, abbandona l'idea di andare a Savatthi, si siede in meditazione e stabilisce la consapevolezza davanti a sé. Non sappiamo che cosa faccia intanto il Buddha, ma ci viene detto che Sariputta, vedendolo seduto, lo consiglia a sviluppare la meditazione sul respiro poiché essa, una volta sviluppata e coltivata, 'è di grande frutto e di grande beneficio'. Rahula passa tutta la giornata in meditazione e solo a sera si alza e, recatosi dal padre, gli chiede come sia che la meditazione sul respiro sia di grande frutto e di grande beneficio.
Il Buddha sembra prendere la domanda alla larga, interessato evidentemente a spiegare in dettaglio ciò che aveva iniziato a dire la mattina. Comincia così un'esposizione su Cinque Grandi Elementi che costituiscono la materialità : tutto ciò che è solido dentro il corpo appartiene all'elemento-terra, tutto ciò che è liquido all'elemento acqua, tutto ciò che è in relazione con il calore all'elemento-fuoco e tutto ciò che è in relazione all'aria ed al movimento all'elemento-aria. Il quinto elemento è appunto lo Spazio:
I,422, 11: 'Cos'è, Rahula, l'elemento-spazio? L'elemento-spazio può essere sia interno che esterno.
"Che cos'è l'elemento-spazio interno?"
"Qualunque cosa internamente, appartenente a sé, è spazio, spaziale, ed a cui si aderisce, cioè i buchi delle orecchie, le narici, la porta della bocca, e quella (apertura) tramite cui ciò che è mangiato, bevuto, consumato e gustato viene inghiottito, e dove esso si raccoglie e da cui viene escreto da sotto, o qualsiasi altra cosa , appartenente a sé, è spazio, spaziale o a cui si aderisce: questo è chiamato l'elemento-spazio interno.
"Ora, sia l'elemento-spazio interno sia l'elemento-spazio esterno sono semplicemente elemento-spazio. E quello dovrebbe essere visto come è effettivamente: ' Questo non è mio, questo non sono io, questo non è il mio sé.' Quando si vede così come effettivamente è con la giusta saggezza, si diviene disincantati con l'elemento-spazio e si rende la mente dispassionata verso l'elemento spazio."
"Di tutti gli elementi interni si nota, con le stesse parole, che corrispondono esattamente agli elementi esterni e di ognuno viene detto: 'Questo non è mio, questo non sono io, questo non è il mio sé'. Osservando l'impersonalità di questi elementi sorge il disincanto verso di essi o meglio la disidentificazione."
A questo punto, dopo aver così osservato gli elementi che costituiscono la forma materiale, il Buddha consiglia il figlio su come sviluppare la pratica meditativa.
(I, 422,13): "Rahula, sviluppa la meditazione che sia come la terra, poiché quando tu sviluppi una meditazione che sia come la terra contatti sorti che siano piacevoli o spiacevoli non invaderanno la tua mente e non vi rimarranno. Proprio come le persone gettano cose pulite e cose sporche, escrementi, urina, sputo, pus e sangue sulla terra, e la terra non ne prova orrore, non è umiliata e disgustata causa di ciò, proprio così, Rahula, sviluppa una meditazione che sia come la terra; perché, quando tu sviluppi una meditazione che sia come la terra, contatti sorti piacevoli e spiacevoli non invaderanno la tua mente e non vi rimarranno."
Allo stesso modo, esattamente con le stesse parole, Rahula viene consigliato di sviluppare una meditazione che sia come l'acqua, come il fuoco, come l'aria ed infine come lo spazio.
(I, 424,17): 'Rahula, sviluppa una meditazione che sia come lo spazio; perché, quando tu sviluppi una meditazione che sia come lo spazio, contatti sorti piacevoli o spiacevoli non invaderanno la tua mente e non vi rimarranno. Proprio come lo spazio non è stabilito in alcun luogo, così, Rahula, sviluppa una meditazione che sia come lo spazio; perché quando tu sviluppi una meditazione che sia come lo spazio, contatti sorti piacevoli e spiacevoli non invaderanno la tua mente e non vi rimarranno.
Con un salto argomentativo, il Buddha invita poi Rahula a sviluppare la meditazione sulla gentilezza amorevole (metta), sulla compassione (karuna), sulla gioia altruistica (mudita) e sull'equanimità (upekkha), cioè sulle quattro virtù divine, per superare rispettivamente l'astio, la crudeltà, la scontentezza e l avversione.
Seguono la meditazione sulla sporcizia (del corpo umano)per superare il desiderio, sulla percezione di impermanenza per superare il concetto 'Io sono' ed infine(I, 425, 24-30) la meditazione sul respiro, anapanasati.
Qui il sutta si conclude con Rahula soddisfatto e deliziato dalle parole del Buddha.
(1) cfr. The Middle Lenght Discourses of the Buddha, Tr. Bhikkhu Ñanamoli and Bhikkhu Bodhi, p. 527 sgg.. Notare che l'equivalente cinese si trova non in Zhong Ahan jing ( l'equivalente di MN) ma in Zeng Ahan Jing, cioè in Ekottara Agama (8 juan,17,1= Luoyun - cioè Rahula). Cfr. Chizen Akanuma, The Comparative catalogue of Chinese Agamas & Pali Nikāayas, Nagoya, 1929; Delhi, Sri Satguru Public., 1990,127.
Meditazione sulla vacuità
Il metodo
La meditazione deve essere vissuta integralmente, con unità di corpo e mente. La Verità deve essere realizzata in noi stessi integralmente, non può essere solo il risultato di un'acquisizione intellettuale (anche se quest'ultima ha un ruolo importante) .
Per questo la meditazione sullo spazio è importante. Essa fornisce la struttura in cui collocare la conoscenza analitica della realtà senza per questo eccedere nella tendenza discorsiva.
Come abbiamo visto precedentemente lo spazio è neutro ed è l'esperienza che più si avvicina al Nirvana, la realizzazione suprema. Lo spazio è, apparentemente, il contenitore della nostra esperienza vitale. Vi è spazio sia fuori di noi che dentro di noi. Rimasi molto colpito, tempo fa, dalla visione (in TV) dello spazio che esiste fra le (cellule? Molecole? Non ricordo bene) del nostro corpo. Perciò, pratichiamo la meditazione sullo spazio! Essa può essere svolta con varie modalità e qui ne esporrò alcune. Non entrerò nei dettagli perché così ognuno potrà adattarla alla propria esperienza e capacità personale.
Possiamo arrivare all'esperienza dello spazio dalla pratica della benevolenza o gentilezza amorevole (metta/maitri ) . Sviluppiamo ad es. il sorriso interno, rivolgendolo ai vari organi del corpo, con gratitudine perché sostengono la nostra esperienza vitale, riempiamo tutto lo spazio interno e poi facciamo filtrare il sorriso stesso attraverso lo spazio fra le molecole del corpo, estendendolo fuori da noi; facciamolo poi passare anche attraverso lo spazio molecolare delle cose, espandendolo all'infinito.
Una variante di questa modalità è quella della meditazione sull'infinito. Osservate o ricordate nella vostra mente l'osservazione del cielo stellato. Assaporate la gioia che essa vi produce e pensate di condividerla con altri: estendetela gradualmente a una persona che vi ha fatto del bene, soffermandovi sulla condivisione del piacere della visione con questa persona; passate poi a una persona che vi è (relativamente) indifferente, a una persona verso cui provate avversione o che sapete che prova avversione per voi, a una persona cattiva, a una persona / persone che ha idee diverse dalle vostre... poi estendetelo fuori da voi a tutti gli esseri e in tutte le direzioni, all'infinito.
Una terza modalità è più strettamente vipassanica. Partite dalla pratica della consapevolezza, osservando le sensazioni fisiche (inclusi i rumori) e dei pensieri, anzi del pensare (con ciò intendendo non l'adesione ai singoli pensieri ma appunto l'osservazione distaccata del pensare, come se guardassimo da lontano, senza giudicarla, l'attività che si svolge nella nostra mente) . Fra le sensazioni osserviamo quella, piacevole, che viene dal sorriso interiore con cui dovremmo iniziare ogni meditazione e notiamo che questa non è solo una sensazione mentale ma anche fisica. Espandiamola agli spazi interni, sia alle cavità come stomaco, polmoni ecc. , sia agli spazi molecolari, facendola filtrare fuori da noi.
A questo punto, come nella prima modalità, irradiamo in ogni direzione. Una volta raggiunta una certa stabilizzazione di questa irradiazione continuiamo a praticare l'osservazione di sensazioni, rumori, pensieri con la consapevolezza di fondo che tutto ciò avviene "nello spazio" , sia interno che esterno; la stessa idea di spazio compare come un'idea nello spazio.
In una fase più avanzata di queste tre modalità si arriverà ad un buon livello di concentrazione. A questo punto si osserverà il quadro mentale che abbiamo di fronte, sia che si tratti di quello dell'irradiazione verso tutti gli esseri delle prime due modalità, sia che si tratti del quadro di osservazione di pensieri, sensazioni e percezioni "nello spazio". Immaginiamo di strappare bruscamente questo quadro dove ancora esistono "cose" e... che cosa resta? Lo spazio vuoto, dove non c'è nulla di reale. Potrete ancora avere percezioni (suoni, sensazioni, pensieri) ma saranno fenomeni momentanei che appaiono e scompaiono nello spazio.
Ecco, questa è la struttura da cui possiamo osservare le cose. All'interno di questa struttura tutto ciò che accade accade qua e là, è fenomeno transitorio non "cosa". Questo instaura una graduale e realizzativa comprensione di che cos'è la vacuità: l'assenza di un sé, l'assenza di un Io/mio.
Noto che anche Kathleen McDonald (Come Meditare/Chiara Luce Edizioni, p.60 e sgg., specialmente pag.62-63) pur partendo da una premessa più discorsiva (come fa una persona a riflettere e a rispondere - a freddo- a domande come: è il vostro io una creazione della vostra mente oppure è qualcosa che esiste concretamente ed indipendentemente di per sé? ) arriva poi a visualizzare una disintegrazione del corpo e della mente e poi dice: " Rimanete in questa esperienza di spazio senza essere distratti da pensieri."
La partenza è diversa ma il risultato è lo stesso e in ogni caso quello a cui si giunge è una comprensione, una realizzazione, che la realtà sorge in continuazione, che noi ne facciamo parte, un flusso di flussi in mezzo a un fluire più generale, che quello che esiste realmente è questo insieme di sensazioni, percezioni, materialità, pensare, coscienza, tendenze coscienziali...
Citerò qui Naagaarjuna, Mahaaprajnaaparamitaasaastra (che esiste solo nella sua traduzioine cinese, Dazhidu lun) : " Occorre considerare lo spazio (akasa ) presente nel corpo. L'asceta considera dunque ininterrottamente il vuoto del corpo, simile a quello di una gabbia o di un pentolone; pensandovi continuamente, egli si libera dalla materia e non vede più il corpo, e questo accade sia per la materia esterna che per il vuoto corporale interno. Allora l'asceta può contemplare lo spazio immenso e infinito (apramaanaanantaakaasa ) . Ottenuta questa comntemplazione, egli non prova più né dolore né felicità e il suo spirito progredisce. E' simile all'uccello che è chiuso in gabbia e che trova la sua uscita quando la gabbia è spezzata. Questa è l'aakaasasamaapatti [la realizzazione dello spazio]".