venerdì 19 dicembre 2008

INDIFFERENZA AL VIVERE O AL MORIRE = LIBERAZIONE

Parlerò di qualcosa che normalmente viene taciuto, di cui ci si vergogna. Poiché predico la spaziosità e l'assenza di sostanzialità, la metto apertamente a disposizione. A qualcuno potrà servire.


Vi è mai capitato di pensare a porre fine alla vostra vita? A me è capitato un paio di volte nella vita, una per disperazione amorosa a 23 anni e una di recente (ieri). E' sorta in me, mentre tornavo da scuola, questa idea: che non ho niente per cui vivere, che in assenza di questo qualcosa potrei anche morire: in sostanza, potrei porre fine alla mia vita. Ho cullato l'idea per un bel po', con mia grande sorpresa. Ho riflettuto che essa deriva dall'attaccamento, dall'attaccamento a situazioni da me vissute. In assenza di queste si è formata questa idea. Quello che mi ha colpito in ciò è l'assenza di paura. Quando non c'è senso nella vita, non c'è rimpianto, non c'è nemmeno disperazione.


Ho riflettuto sulle varie persone che si sono suicidate, anche di recente. Evidentemente quest'assenza di senso le ha colpite, da cui la disperazione. Nel mio caso non c'era disperazione (forse solo una piccola traccia). C'era anzi come un senso di libertà. Mi sono focalizzato, incuriosito, su questo senso di libertà. Ho riflettuto che esso era, in negativo, quello che si prova (che ho provato) in esperienze di liberazione, anche temporanee. In queste esperienze esso ha un valore, diciamo positivo. In realtà questa è una concettualizzazione: positivo, negativo. E' come il discorso della tazza mezza piena o mezza vuota: solo mezza è (e anche mezza non è soddisfacente come termine, essendo la negazione dualistica di ‘tutta' - il linguaggio, come notato da Nagarjuna e Wittgenstein, non è neutro)! Da questo cogliere eventualmente il senso di angoscia o quello di spaziosità / liberazione, viene fuori quella ambivalenza delle esperienze che è caratteristica del fatto dei due livelli di verità: è come quando Nagarjuna dice che non vi è linea di confine fra Samsara (il mondo fenomenico) e Nirvana. Le due cose si sovrappongono anche se si tratta di due stati (mentali) non propriamente identici (si potrebbe dire che il Nirvana è la qualità che eccede la quantità samsarica).


Ringraziatemi, o meglio, poiché non esiste nessun essere sostanziale, ringraziate le esperienze che vi comunico. Vi sto offrendo la possibilità di una riflessione di prima mano su quello che è un'esperienza di liberazione, quasi in presa diretta. Sempre ho tentato di fare questo, nelle newsletter e nelle discussioni che seguono le sedute. Portare l'esperienza, anche la più piccola e apparentemente insignificante, piuttosto che leggere libri - come vedevo si faceva altrove.


Cos'è allora questa esperienza? Si tratta di entrare a piedi pari, senza paura, nel dominio della morte. Si noti che anche qui il linguaggio non è neutro: ‘il dominio della morte', un concetto che non corrisponde a nulla di sostanziale, ma che bene rende l'idea. E' un po' come quando si sperimenta la liberazione: si ha l'idea come di essere entrati in un'altra dimensione, ma è solo un'idea, siete sempre qui.


[E' importantissima questa attenzione al linguaggio!]


Vi porto nella mente di una persona che prima, senza sgomento, pensa di porre fine alla sua vita [e quanti si saranno fermati e si fermeranno solo qui?] e che poi riflette come questo senso di vuoto, di spaziosità [il vuoto è spazio], di libertà sia, appunto, lo stesso senso di libertà della Liberazione (intesa come esperienza mistica). L'altra Faccia della Collina, come scrissi un tempo: la capacità di vedere nei fattori apparentemente negativi, l'aspetto illuminante, liberatorio.


Ancora una volta sgomento e angoscia [e, nel caso di almeno una persona che conosco, anche rabbia] vengono fuori dall'attaccamento cieco, quasi inconsapevole. E' il sorgere in dipendenza, la genesi condizionata. Dall'aver sperimentato belle sensazioni sorge il desiderio, sorge l'attaccamento, sorge l'afferramento, sorge il venire in essere [la NASCITA] delle situazioni. Ma con queste sorgeranno anche inevitabilmente decadenza delle situazioni e fine delle stesse [la MORTE]. E' tutto qui.


Quindi ieri sera e nella meditazione di stamani ho colto questo meraviglioso senso di liberazione, di libertà dalla paura. E' la libertà di cui godono i Liberati, i Buddha. Nel mio caso è temporanea, so che appena si ripresenteranno le condizioni, cioè da stamani stesso, sarò rigettato nel vortice mondano, con attaccamenti, giudizi, sofferenze. Ma intanto ho vissuto questa grande esperienza di libertà, di momentanea assenza di attaccamenti (che sono i creatori diretti della paura). Ringraziamo quest'esperienza.

mercoledì 10 dicembre 2008

Senza scopo, perché?





"Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti …"



In un numero precedente (ottobre 2008), abbiamo parlato del ‘senza scopo, senza direzione’  E’ difficile ma bello stare senza scopo. Si può praticare il ‘senza scopo’ durante la meditazione ma anche nella vita. C’è un rapporto complesso tra i due momenti. Nella seduta meditativa ci possiamo proporre il mantra ‘senza scopo / senza direzione’ ma possiamo anche chiederci da dove provenga questa parola d’ordine. Il meditatore sano non deve approdare a nessuna dogmatica.


Cosa c’è dunque a monte di questa frase?


Ricordo un fatto del mio inizio meditativo. Dopo due anni che praticavo, quindi nel 1989, mi accorsi ad un certo punto di come ci fosse qualcosa di sbagliato nello sforzo meditativo che facevo. Non che la tecnica fosse sbagliata: allora ero molto più ‘tecnico’ di ora, con una pratica di consapevolezza più strutturata. Mi accorsi comunque che c’era in essa qualcosa di malsano, questo desiderio di essere consapevolmente attento e preciso mi creava una certa tensione. Sentivo che c’era un desiderio forte che, pur avendo una valenza positiva ‘spiritualmente’, si volgeva in negativo, creandomi appunto tensione. Meditazione e tensione non vanno d’accordo. Illuminazione e tensione, me ne sarei accorto anni dopo, sono antitetici. Perciò l’ideale meditativo è quello di una presenza vigile ma non tesa.


In questo episodio isolai un elemento che era di fastidio. Come chiamarlo se non desiderio? Benché questo desiderio (di attenzione, di consapevolezza) fosse apparentemente positivo, esso, per sua natura, diveniva negativo implicando costrizione e repressione. Un dualismo fra l’essere e il dover essere insomma. In base a questo ho in seguito capito meglio la ‘genesi condizionata’ spiegata dal Buddha. Questa genesi condizionata indica gli elementi dinamici (non statici) che fanno sorgere i vari tipi di situazione. Al centro di questa rete di condizionamenti vi è appunto il DESIDERARE.


E’ sulla base del desiderare che sorge ogni situazione nel mondo degli esseri viventi (di ogni tipo- al contrario delle dottrine teiste/dualiste, il Buddhismo non prende in esame solo l’uomo ma tutti gli esseri viventi).


A sua volta il desiderare ha a monte qualche altra componente che ne determina il venire in essere. Non si desidera qualcosa se questo qualcosa non ci ha prima, in qualche occasione, fornito una SENSAZIONE piacevole, sia pure entrando in contatto semplicemente con gli organi di senso, anche solo con la vista o l’udito. Quindi il Buddha, il Risvegliato alla verità delle realtà [questo significa il suo nome] asserì che tutto nel mondo, incluse le speculazioni intellettuali, deriva dalla sensazione. E’ la sensazione (piacevole o spiacevole) che fa nascere il desiderio (o il suo rovescio, l’avversione).


Il desiderio implica voler afferrare o realizzare quello che si desidera (‘Ma la passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie’ – F. de Andrè). Questa è la fase dell’AFFERRAMENTO che a sua volta dipende dal DESIDERARE che a sua volta dipende dalla SENSAZIONE. Ecco, ho spiegato con pochi concetti una teoria assai più complessa, quella del SORGERE DIPENDENTE.


Una volta capito cos’è il sorgere dipendente o genesi condizionata, possono sorgere vari interrogativi alla persona intelligente. Mi spiego: se questo mondo ha la sua nascita in questa serie di legàmi, come si può pensare che sia una pratica di liberazione, dalla miseria di questo stesso mondo, quella che ha implicito qualcuno di questi elementi?


Lo dicevo l’altro giorno, facendo jogging, ad una mia amica. Mi parlava criticando quelli della Soka Gakkai, con il loro discorso basato sul cercare di ottenere ciò che si desidera. A parte che io ritengo che non tutti gli esseri umani siano uguali come predisposizioni e che quindi per qualcuno vada bene anche questo (meglio che niente), facevo rilevare come questo avesse poco a che fare con il discorso originario del Buddha (loro si dichiarano buddhisti) con questo loro insegnare una sorta di preghiera per conseguire i propri desideri. Le dicevo anche di aver conosciuto, tra l’altro, delle persone che ne erano rimaste molto deluse non essendo, in effetti, riuscite ad ‘afferrare’ ciò che desideravano. E questo ha a che fare qualcosa con l’eliminazione della sofferenza che era il vero discorso del Buddha? Il desiderio alimenta il desiderio e prima o poi si incappa nell’insoddisfazione. “Tutti i tipi di preghiera” asserivo “ hanno in sé questo elemnto impuro, il desiderare, il voler soddisfare qualcosa”.


“ Ci sono tipi di preghiera” disse lei” che non sono necessariamente così” .


“ Credo comunque che ci sia sempre un dualismo, un porsi verso ‘qualcosa’ o ‘qualcuno’ che poi si risolve in una creazione concettuale. Si crea un’entità inverificabile e ci si pone in sua adorazione. Io penso invece che tutti i fenomeni e tutti i concetti siano privi di una verità assoluta; perlomeno quello che viene costruito in questo modo non ha niente di verificabile” .


Ecco il perché del ‘senza scopo / senza direzione’, senz’altro la pratica più povera e più scarna che esista. La pratica senz’altro più difficile, il deserto di tutti i concetti e, quando questi si presentino, la loro verifica tramite questa unità di misura: ‘E’ questo concetto senza scopo o ha uno scopo, dipendendo quindi dal desiderare?”. Questo crea davvero il deserto concettuale.

martedì 4 novembre 2008

VOX CLAMANS IN DESERTO




di Loriano Belluomini


"Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti ...."


SCONFITTA.


A tredici anni dal 1995, quando ebbi un'esperienza meditativa ultramondana di liberazione sia pure momentanea, mi capita di fare un bilancio. Il senso (terreno) di questo bilancio è appunto questo: sconfitta!


Quell'esperienza (di cui potrete tovare traccia diaristica in uno degli articoli intitolati ‘Esperienze'), esperienza che può essere condensata in un senso di LIBERAZIONE dalla paura, di libertà da ogni vincolo, laccio o timore terreno e dal senso che ‘TUTTO E' IMPORTANTE, NIENTE E' IMPORTANTE', fu ciò che mi spinse a iniziare con grande forza questa pratica meditativa di gruppo. Sotto la spinta di quell'entusiasmo vi fu all'inizio una notevole partecipazione alla pratica meditativa, PARTECIPAZIONE CHE SI E' ANDATA SEMPRE più RAREFACENDO in corrispondenza a un parallelo cambiamento nella società (a conferma che tutto avviene determinato da cause e condizioni). In quel periodo vi era una notevole effervescenza culturale e mentale che faceva vedere i limiti del pensiero tradizionale e apriva verso esperienze e modi di pensare diversi. Vi era in molti una ricerca che andava oltre i limiti angusti del pensiero occidentale tradizionale e faceva scoprire che potevano esistere altri orizzonti della mente. Un pensiero come quello buddhista che appariva così eccentrico (nel senso di fuori-centro) rispetto alla tradizione dualista cristiano-ebraico-musulmana appariva degno di essere preso in considerazione. Anche per questa apertura mentale si potrebbe stabilire nell'11 Settembre 2001 la fine di un'epoca. Con l'11 Settembre, con l'irruzione del cosìddetto terrorismo islamico sulla scena internazionale (dico cosìddetto non perché non si tratti di terrorismo ma perché si subisce altrettanto terrorismo quando si viene bombardati a casaccio o volontariamente in Afganistan - ma qui, con sottile distinzione, si parla di ‘danni collaterali' [sic!] ) con l ‘attacco alle Torri Gemelle, dicevamo, si è andati a una radicalizzazione dualistica dello scontro millenario fra Oriente e Occidente (o forse dovrei dire fra sfruttati e sfruttatori - in senso globale, s'intende). In questo scontro dualistico la parte più sfruttata da secoli, quella orientale, ha fatto valere come arma il proprio pensiero religioso, creando una polarizzazione fra Islamici e non Islamici. In questa polarizzazione si sono gettate le forze più reazionarie e retrive a livello mondiale, trascinando con sé si può dire tutti quanti. Perfino nel nostro paese, dove si andava affermando gradualmente una liberazione dall'ideologia religiosa (ideologia intesa come ‘falsa coscienza'), sull'onda di questa bipolarizzazione si è creato uno schieramento dove perfino forze con tratti neo-pagani (si pensi alla Lega) si ergono a difensori del Cristianesimo. Allo stesso tempo si è assistito a una perdita di tratti democratici della nostra società che sembra andare verso un nuovo principato.


Per questo parlo di sconfitta. Non sconfitta mia (io certamente ne partecipo) ma sconfitta di un'epoca di apertura mentale, di un'epoca che si volgeva verso la liberazione. Sconfitta di tutti coloro che si sono ripiegati su se stessi - o che non hanno mai trovato il coraggio di uscire dai condizionamenti. Sconfitta anche mia: non sono riuscito a far passare quello che è il senso della liberazione persino tra le persone che mi stavano più vicino. Sconfitta anche mia, difficoltà di un discorso che non promette nulla perché vede in tutto ciò che promette, in tutto ciò che affascina (si vedano le varie fascinazioni delle madonne che piangono o di nuovi predicatori , dal defunto Osho a vere e proprie cricche semigangsteristiche come Scientology) una forma di afferramento, di desiderio-afferramento che fa riferimento e diviene nutrimento per una visione del sé, per una riaffermazione nascosta dell'ego. Sconfitta anche mia poiché anch'io mi sento partecipe e coinvolto da quest'epoca di cambiamenti e trasformazioni.


C'è bisogno di un ripensamento. Dobbiamo, innanzitutto, ricominciare a vedere quella che è la prima Nobile Verità. Si soffre, c'è sofferenza, c'è insoddisfazione. Io lo vedo in me, mi accorgo della sofferenza che viene dall'attaccarsi, dall'identificarsi con qualcosa: con posizioni politiche, ad es., o con situazioni personali. NESSUNA FELICITA' PUO' SORGERE DA QUESTO.


Solo l'osservarsi attento, introspettivo, lo smettere di identificarsi, la rinuncia alle ossessioni, anche alle più ‘nobili', può permettere di uscire da questa macchina creatrice di sofferenza. Lo dico pensando a me, lo dico soprattutto per le persone che mi sono vicine o mi sono state vicine. Lo dico per tutti. Partecipare allo scontro, agli scontri che vengono dall'attaccamento, non può portare a nulla di positivo. Può creare solo insoddisfazione, sofferenza. Il Buddha lo enunciò chiaramente: il mio scopo, disse in sostanza, non è fondare una religione o assumere un qualsiasi punto di vista, politico o religioso. Il mio scopo, egli disse, è aiutare tutti gli esseri ad uscire dalla sofferenza!


L'origine della sofferenza, la seconda nobile verità, è appunto l'attaccarsi a qualcosa, sia emotivo, sia intellettuale. Questo attaccarsi viene dal fatto che presupponiamo un sé stabile, un ‘io' che invece non esiste, è transitorio. Dobbiamo vedere, dobbiamo vederci, dobbiamo portare una critica al nostro attaccarci e all'idea di un sé stabile, di qualcosa di stabile in questo universo. Vediamo che tutto muta, tutto sorge e scompare, tutto è transitorio. Dobbiamo davvero prendere rifugio NELLA VACUITA' DI TUTTI I FENOMENI E DI TUTTI I CONCETTI.


Tutti i fenomeni sono privi di sostanza stabile, di realtà intrinseca: anche la nostra vita è questo, un atto dinamico, un passare. Tutti i concetti sono questo, privi di sostanza stabile, determinati da cause e condizioni. E questo è davvero mistico, SI RIFERISCE A TUTTO IL NOSTRO ORIZZONTE MENTALE, NULLA ESCLUSO. PER FORTUNA ANCHE A QUESTO CONCETTO DI SCONFITTA. Infatti c'è sconfitta se esiste vittoria, ma questo è un dualismo, inaccettabile. Vedere e accettare che cause e condizioni impediscono alle persone di svegliarsi ed essere libere significa superare il dualismo di sconfitta-vittoria. E questo è un esempio di come la visione non-dualista aiuti a superare l'insoddisfazione e la sofferenza che provengono dal modo convenzionale di pensiero.


(Scritto pensando a qualcuno in particolare...)

sabato 4 ottobre 2008

Senza scopo, senza direzione




"Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti che è il Buddha."


Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti che è il Dharma.”


“Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti che è il Sangha.”



















Questa è la formula con cui inizio la mia meditazione. Apparentemente una formula dogmatica, invece essa svolge un ruolo importante. Vi si parla del Buddha, del Dharma (la Legge o dottrina buddhista) e del Sangha (la comunità) ma vi se ne parla in termini direi negazionisti: queste cose sono vuote, non bisogna attaccarvisi! Non solo: vi si parla della Vita!
Partiamo dall’inizio. E’ precisamente perché le cose e i concetti non hanno una sostanza reale, stabile, che si può dire che questo è il Buddha, che noi stessi siamo dei Buddha (incapaci di riconoscerci tali). Il Buddha non si pose mai come una divinità. Fu un aspetto storico-peggiorativo adottato dal Mahayana o Grande Veicolo quello di divinizzarlo, più o meno inconsciamente. La storicità irrompe nelle religioni quasi sempre in senso peggiorativo o comunque trasformativo. “ Gesù non ha mai detto di voler fondare una religione, una Chiesa, che portassero il suo nome; mai ha detto di dover morire per sanare con il suo sangue il peccato di Adamoi ed Eva, per ristabilire cioè l’alleanza fra Dio e gli uomini; non ha mai detto di essere nato da una vergine che lo aveva concepito per intervento di un dio; mai ha detto di essere l’unica e indistinta sostanza con suo padre, Dio in persona, e con una vaga entità immateriale denominata Spirito. Gesù non ha mai dato al battesimo un particolare valore; non ha istituito alcuna gerarchia ecclesiastica finché fu in vita; mai ha parlato di precetti, norme, cariche, vestimenti, ordini di successione, liturgie, formule, mai ha pensato di creare una sterminata falange di santi….” Lo stesso è accaduto in tutte le religioni, ivi incluso il Buddhismo. La stessa formula adottata nel Buddhismo, io prendo rifugio nel Buddha ecc., presente già nei testi più antichi ma riferito a un periodo in cui il Buddha era effettivamente presente come persona fisica, ingenera / può ingenerare l’equivoco di una sostanzialità, di un’esistenza reale, assoluta, sostanziale del Buddha, del Dharma e del Sangha. In realtà questo va contro il messaggio del Buddha che non trovava in nessun luogo del mondo una ‘sostanza stabile’, nemmeno in se stesso o nel suo messaggio. Fece infatti la profezia che la sua stessa dottrina ad un certo punto (storicamente) avrebbe cominciato a corrompersi per poi sparire dal mondo: questo perché niente in questo mondo è eterno, ivi inclusi Buddha, Dharma e Sangha.
Quindi la mia stessa ‘presa di rifugio’ è contraddittoria perché ha poco senso prendere rifugio in qualcosa che non ha sostanza. Ma proprio in questo vi è la forza di questa formula; essa presenta un paradosso e chi medita sa da molto come il paradosso sia una pratica costante e direi necessaria poiché esso ci presenta una riunificazione degli opposti.
Quindi prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti.
Ma questa è la Vita! L’assenza di sostanza stabile della mia vita mi fa perdere ogni illusione al riguardo e mi prepara a quello che sono: un fenomeno di passaggio (la chiamano anche impermanenza). L’assenza di sostanza reale di ogni concetto poi, mi fa prendere le distanze da ogni assolutismo, anche nelle piccole cose della vita di tutti i giorni. Qualcuno si irrita con me per il mio relativismo. Una mia amica in particolare dice: ‘Facile per lui! Tanto tutto è relativo!’e non a caso questa mia amica è assolutista anche nelle più piccole cose, scontrandosi in continuazione e frontalmente con il mondo in cui viviamo in nome di concetti astratti. E non a caso un assolutista come Ratzinger è così spesso all’attacco del relativismo. Eppure sono stati geni come Darwin ed Einstein ad introdurre il relativismo nella Scienza ed è stata la Chiesa stessa ad ammettere la fallacia del proprio assolutismo quando ha riconosciuto che la favola di Adamo ed Eva era appunto una favola e che (bontà sua) l’evoluzionismo storico non era in contrasto con la dottrina della Chiesa- che si ricordi, sosteneva che Dio creò il mondo e l’uomo da un momento all’altro!
E’ presente nella natura dell’uomo il desiderio di conseguire qualcosa, di dare stabilità e senso alla sua esistenza. Questo fa parte della tendenza più generale all’afferrare, al desiderio che vuole ‘afferrare’ , sia rivolto a cose concrete che a concetti. Ecco perché la preghiera, anche la più spirituale, è inquinata (a volte molto sottilmente). Perché essa non vede il desiderio (grossolano o sottile) dell’ego che la produce, non vede che il desiderio produce ‘afferramento’ e ‘nascita delle situazioni’. Ecco perché invece nella meditazione dobbiamo metterci nello stato di animo di non voler ottenere niente. Io lo uso proprio come formula meditativa, che mi ripeto nella mente: ‘Senza scopo, senza direzione’. Perché questa è una delle tre Porte della Liberazione, insieme alla vacuità e al senza-segno.
Certo c’è in questa formula un paradosso: proporsi di non avere uno scopo è di per sé avere uno scopo. Ma questo è appunto un paradosso mistico, la presentazione di un dualismo che si riunifica!

SENZA SCOPO - E SORGERE IN DIPENDENZA.


Si può praticare il ‘senza scopo’ durante la meditazione ma anche nella vita. C’è un rapporto complesso tra i due momenti. Nella seduta meditativa ci possiamo proporre il mantra ‘senza scopo / senza direzione’ ma possiamo anche chiederci da dove provenga questa parola d’ordine. Il meditatore sano non deve approdare a nessuna dogmatica.
Cosa c’è dunque a monte di questa frase?
Ricordo un fatto del mio inizio meditativo. Dopo due anni che praticavo, quindi nel 1989, mi accorsi ad un certo punto di come ci fosse qualcosa di sbagliato nello sforzo meditativo che facevo. Non che la tecnica fosse sbagliata: allora ero molto più ‘tecnico’ di ora, con una pratica di consapevolezza più strutturata. Mi accorsi comunque che c’era in essa qualcosa di malsano, questo desiderio di essere consapevolmente attento e preciso mi creava una certa tensione. Sentivo che c’era un desiderio forte che, pur avendo una valenza positiva ‘spiritualmente’, si volgeva in negativo, creandomi appunto tensione. Meditazione e tensione non vanno d’accordo. Illuminazione e tensione, me ne sarei accorto anni dopo, sono antitetici. Perciò l’ideale meditativo è quello di una presenza vigile ma non tesa.
In questo episodio isolai un elemento che era di fastidio. Come chiamarlo se non desiderio? Benché questo desiderio (di attenzione, di consapevolezza) fosse apparentemente positivo, esso, per sua natura, diveniva negativo implicando costrizione e repressione. Un dualismo fra l’essere e il dover essere insomma. In base a questo ho in seguito capito meglio la ‘genesi condizionata’ spiegata dal Buddha. Questa genesi condizionata indica gli elementi dinamici (non statici) che fanno sorgere i vari tipi di situazione. Al centro di questa rete di condizionamenti vi è appunto il DESIDERARE. E’ sulla base del desiderare che sorge ogni situazione nel mondo degli esseri viventi (di ogni tipo - al contrario delle dottrine teiste / dualiste, il Buddhismo non prende in esame solo l’uomo ma tutti gli esseri viventi).
A sua volta il desiderare ha a monte qualche altra componente che ne determina il venire in essere. Non si desidera qualcosa se questo qualcosa non ci ha prima, in qualche occasione, fornito una SENSAZIONE piacevole, sia pure entrando in contatto semplicemente con gli organi di senso, anche solo con la vista o l’udito. Quindi il Buddha, il Risvegliato alla verità delle realtà [questo significa il suo nome] ,asserì che tutto nel mondo, incluse le speculazioni intellettuali, deriva dalla sensazione. E’ la sensazione (piacevole o spiacevole) che fa nascere il desiderio (o il suo rovescio, l’avversione).
Il desiderio implica voler afferrare o realizzare quello che si desidera (‘Ma la passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie’ – F. de Andrè) . Questa è la fase dell’AFFERRAMENTO che a sua volta dipende dal DESIDERARE che a sua volta dipende dalla SENSAZIONE. Ecco, ho spiegato con pochi concetti una teoria assai più complessa, quella del SOEGERE DIPENDENTE.
Una volta capito cos’è il sorgere dipendente o genesi condizionata, possono sorgere vari interrogativi alla persona intelligente. Mi spiego: se questo mondo ha la sua nascita in questa serie di legàmi, come si può pensare che sia una pratica di liberazione, dalla miseria di questo stesso mondo, quella che ha implicito qualcuno di questi elementi?
Lo dicevo l’altro giorno, facendo jogging, ad una mia amica. Mi parlava criticando quelli della Soka Gakkai, con il loro discorso basato sul cercare di ottenere ciò che si desidera. A parte che io ritengo che non tutti gli esseri umani siano uguali come predisposizioni e che quindi per qualcuno vada bene anche questo (meglio che niente), facevo rilevare come questo avesse poco a che fare con il discorso originario del Buddha (loro si dichiarano buddhisti) con questo loro insegnare una sorta di preghiera per conseguire i propri desideri. Le dicevo anche di aver conosciuto, tra l’altro, delle persone che ne erano rimaste molto deluse non essendo, in effetti, riuscite ad ‘afferrare’ ciò che desideravano. E questo ha a che fare qualcosa con l’eliminazione della sofferenza che era il vero discorso del Buddha? Il desiderio alimenta il desiderio e prima o poi si incappa nell’insoddisfazione. “Tutti i tipi di preghiera” asserivo “ hanno in sé questo elemento impuro, il desiderare, il voler soddisfare qualcosa”.
“ Ci sono tipi di preghiera” disse lei” che non sono necessariamente così” .
“ Credo comunque che ci sia sempre un dualismo, un porsi verso ‘qualcosa’ o ‘qualcuno’ che poi si risolve in una creazione concettuale. Si crea un’entità inverificabile e ci si pone in sua adorazione. Io penso invece che tutti i fenomeni e tutti i concetti siano privi di una verità assoluta; perlomeno quello che viene costruito in questo modo non ha niente di verificabile” .
Ecco il perché del ‘senza scopo / senza direzione’, senz’altro la pratica più povera e più scarna che esista. La pratica senz’altro più difficile, il deserto di tutti i concetti e, quando questi si presentino, la loro verifica tramite questa unità di misura: ‘E’ questo concetto senza scopo o ha uno scopo, dipendendo quindi dal desiderare?” . Questo crea davvero il deserto concettuale. Non solo: questo crea un tipo di meditazione che non ha nulla a che fare con gli scopi di questo mondo.

venerdì 19 settembre 2008

Praticare la libertà

Incontro un mio conoscente che non vedo da anni. Siamo a Lucca, in via Roma, è il 12 agosto, le 11 di mattina. Scambio di saluti poi gli chiedo cosa faccia. “Mah, frequento il Villaggio Globale (a Bagni di Lucca), faccio delle attività lì”. ”Ah, il Villaggio Globale” dico io. Ed esprimo, un po’ radicalmente il mio pensiero non esattamente positivo su di esso.



Lui si trova un po’ in difficoltà. “ Capisco perché pensi così, ma fanno tante cose e di spiritualità se ne parla assai poco. Diciamo che fanno delle ‘cose di base’”.

Mah, che faranno ‘di base’?-penso tra me e me.”Come ti ho detto-riprendo- diffido di tutti coloro che fanno queste cose di ‘business’ spirituale (mi viene da pensare a tutti i seguaci di Osho, poiché anche questo mio conoscente lo era, ai cosiddetti Buddha-cafe che avevano messo su per un periodo, ai loro negozietti, ….). Gli chiedo se pratica ancora con Osho (o meglio con gli Oshani, visto che Osho è morto). “Andai un po’ in crisi su di lui dopo che ci fu quello scandalo” “ In Oregon?” “Sì, e per dieci anni non ho più praticato. Però proprio lassù, al Villaggio Globale, ho trovato un maestro, un suo seguace, fa delle cose interessanti….”

“Ma perché non pratichi semplicemente la libertà?”, gli chiedo, forse ancor più provocatorio. “Io-proseguo- personalmente non seguo più nessuno. Se lo scopo di ogni pratica spirituale è la libertà, perché non praticarla da subito? Perché legarsi a qualcuno o a qualcosa? In questo mi trovo d’accordo con Krishnamurti. Krishnamurti, lo trovo noioso da leggere, ma sicuramente questa cosa l’aveva capita”.

“Io” risponde “non credo che Krishnamurti avesse ragione. Per me raggiungere la libertà è uno scopo. Io non mi sento affatto libero. Praticare mi deve indirizzare verso quell'obiettivo”.

“Quindi ancora una volta si ripropone la separazione tra lo scopo e la Via. Ma perché non praticare direttamente la Via? E’ come la separazione, in affari militari, di strategia e tattica. Ma perché non praticare direttamente l’essere liberi?”

Ripensando in seguito a questa conversazione penso di averlo abbastanza sconvolto. Ma penso che sia giusto così. Con qualcuno ci vuole la dolcezza, con qualcuno occorre la scossa. So per esperienza che quando subiamo questi scossoni, il fatto resta nella mente, nell’inconscio, e comincia a lavorare. Un giorno si potrà essere grati a questo tipo di esperienza (spiacevole). Io so che ho imparato molto da questo tipo di shock spiacevoli in vita mia. Perciò non mi pento di questa mia rudezza discorsiva, infarcita tra l’altro di giudizi. Penso che sia stato ‘un mezzo abile’. Dentro di me non sento rimorso ma neppure rancore nei suoi confronti o verso il cosiddetto mercato spirituale. E’ solo che non con tutti si può o si deve parlare alla stessa maniera. Il medico pietoso fa la piaga verminosa. La compiacenza verso gli altri non sempre fa loro del bene.

Praticare la libertà. Ma tu sei libero?

Diciamo che cerco di praticare l’essere libero, se poi mi riesca o meno, agli altri (e a me stesso) l’ardua sentenza. Diciamo che ci provo, diciamo che questa è la tendenza che percorro. Diciamo che evito di attaccarmi spiritualmente ed ho rinunciato abbastanza, direi quasi completamente, anche alle cosiddette ‘domande spirituali’, la metafisica (Dio esiste? Esiste un altro mondo? Esiste la rinascita? C’è il Nirvana?) . Così come ho smesso di fare riferimento a ‘maestri’. Non dico che non ci vogliano ma se dopo così tanti anni uno ha ancora bisogno di un maestro, vuol dire che non c’è speranza e allora, anche in quel caso, tanto vale farne a meno. Ma ci si attacca ai maestri come a una sorta di proiezione fantasmagorica del proprio ego. Me ne accorgo quando parlo anch’io, anche a livello semplicemente di kungfu, del mio maestro / maestri’. Quanto ci fa belli e importanti. Mi sembra che si tratti di una proiezione / arricchimento del sé da una parte e di una mancanza di crescita dall’altra. Ci si continua a trastullare con delle ‘cose’, ‘giocattoli’,insomma. Qui l'accusa è facile nei miei confronti: ‘presuntuoso’ - e l’ho già sentita fare diverse volte.

Praticare la libertà. Che vuole dunque dire? Vuol dire diverse cose: Vedersi / vedere per esempio. Vedersi quando sorgono in noi i fenomeni mentali della rabbia, dell’attaccamento, dell’egocentrismo. Vuol dire però anche accettarsi, accettare di essere così: in questo preciso momento sono così, è dovuto a cause e condizioni, non posso essere diversamente. Vedendo quello che sono, sapendo quello che sono lo accetto; in seguito avverrà il cambiamento, spontaneamente avverranno le correzioni. Parafrasando un detto celebre: ACCETTARE, ACCETTARE, ACCETTARE, lo considero metà della pratica. Praticare la libertà vuol dire saltare audacemente i gradualismi: il qui e ora è già la realtà ultima, non occorre cercare altrove. E’ ancora una volta il vedere che è importante: non si può accettare senza sapere cosa c’è dentro la nostra esperienza.

Torniamo al concetto di libertà. Il Buddha parafrasò l’essere liberi alla liberazione da un debito. Con ciò lasciando intendere che la liberazione, la libertà, porta gioia, porta soddisfazione. Liberazione in questo caso significa svuotamento, svuotamento dal peso di un debito. E’ un lasciare andare quel peso che ci fa tirare un sospiro di sollievo. E’ sollievo.

Ora è interessante notare che libertà (scritta volutamente con la minuscola, evitando anche il più pomposo ‘liberazione’) è la traduzione di Nirvana. Cioè, Nirvana è l’essere liberi, non è un’altra dimensione, un paradiso, un ‘pieno’ di qualcosa. Forse siamo colpiti da ciò. Dunque, essere liberi e sarò breve per mancanza di spazio. Poiché tutto ciò che ci pesa è concettuale, in ultima analisi dobbiamo fare pulizia dei concetti. Ma, riflettendoci, notiamo che anche LIBERTA’ è un concetto. E se ci liberiamo anche da quello cosa rimane? Pensateci. Rispondetemi (potete usare il forum del sito o la mia e-mail). Cosa resta se eliminiamo anche il concetto di libertà?

Rispondetemi (potete usare il Forum del sito o la mia e-mail). Cosa resta se eliminiamo anche il concetto di libertà?

lunedì 19 maggio 2008

Le parole che fanno bene - 2

Poiché viviamo in un mondo di "mentazione", certe parole fanno bene.

C'è un'altra pratica parlata che svolge un effetto benefico, la presa di rifugio. Questa è una tradizione classicamente buddhista ma ogni tradizione ha la sua (il Cristianesimo ad es. ne ha in sovrabbondanza, dal Padre Nostro all'Ave Maria a molte forme liturgiche). Però, in una tradizione non-sostanzialista, non si può e non si deve prendere rifugio in qualcuno o in qualcosa. Piuttosto, la "presa di rifugio" avverrà rivolta verso le capacità e visioni inerenti alle nostre forme individuali e alle nostre predisposizioni. Ciascuno di noi può essere un Buddha (o comunque un Liberato, un Illuminato ecc.). E' questa possibilità a cui deve alludere la "presa di rifugio". Non quindi la presa di rifugio classica in qualcosa che realmente non ha sostanza (‘io prendo rifugio nel Buddha, io prendo rifugio nel Dharma, io prendo rifugio nel Sangha') ma la presa di rifugio nella nostra fiducia e possibilità di essere un Buddha. Non migliore appare, a mio parere, una elaborazione ancora più complessa elaborata ad es. da Thich Nhat Hanh, piena di valori tradizionali e, in ultima analisi, troppo lunga e discorsiva. Occorre qualcosa di semplice e che riassuma, allo stesso tempo, la visione che abbiamo.

Ora, lo ripeto - e qui di sicuro scandalizzerò qualche ‘buddhista': non esiste alcun Buddha sostanziale, non esiste alcun Dharma (Legge, dottrina) sostanziale, non esiste alcun Sangha (comunità) sostanziale. Come ho detto altre volte è fare un brutto scherzo al Buddha, al Dharma e al Sangha parlarne come se si trattasse di entità sostanziali, reali. In realtà la visione buddhista è una visione dell'assoluta mancanza di sostanzialità, dell'assenza di un sé reale, assoluto. La visione buddhista è quella dell'assoluta interdipendenza di tutti i fenomeni, è quella di un'assoluta "RELATIVITA'". Sì, caro Ratzinger, è proprio qui il relativismo di cui parli e contro cui ti scagli. E' l'esperienza stessa e non un dogma a farci ‘vedere' come tutto sia relativo, come le visioni assolutiste siano infarcite di fantasie e, in ultima analisi, castelli di carte pronti a crollare (peccato originale, Adamo ed Eva, sic... tutte cose mai esistite e allora: da cosa saremmo stati salvati? E dove si vede questa salvezza?) .....

Se c'è perciò qualcosa in cui prendere rifugio è appunto in questa visione dell'insostanzialità, dell'impermanenza, dell'assenza di un sé reale e della dipendenza reciproca di tutti i fenomeni: tutto questo viene riassunto facilmente in una sola parola: VACUITA'!

E allora la formula che io mi ripeto mentalmente all'inizio di ogni mia pratica meditativa è questa:
"Io prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti concetti che è il Buddha"

"Io prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti concetti che è il Dharma"

"Io prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti concetti che è il Sangha"
E poi, come nella tradizione classica:
"Per la seconda volta io prendo rifugio nella vacuità di..."

"Per la terza volta io prendo rifugio nella vacuità di.'
Sì, l'essenza di un Buddha è la visione della vacuità ed il Buddha stesso è privo di un sé stabile, quindi è ‘introvabile' (che differenza da tutte le altre tradizioni religiose: una religione senza religione!).

Quello in cui dobbiamo rifugiarci non è una sorta di ‘idolatria' quindi, l'adesione a... (al Buddha, a Gesù, alla Madonna ecc.) ma, al contrario, una consapevolezza che le cose sono insostanziali, sono impermanenti. La mia stessa vita è un fiore. Al mattino sorge, alla sera non c'è più. Lontano dal creare disperazione, questa visione deve e può creare accettazione delle cose come sono, deve e può creare distacco. Tutte le credenze religiose vengono dalla paura. Paura di essere soli al momento della morte, paura di annientamento, paura derivante dai rapporti che abbiamo in vita e a cui siamo così attaccati.... Se ci interroghiamo con onestà ci accorgiamo di quanto ciò sia vero. E invece possiamo ‘calmare' le nostre predisposizioni: Io prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti...' , questa è la cura per le nostre angosce. Tutti i fenomeni, me compreso, sono privi di sostanza, sono passeggeri, sono come una bolla di sapone, acqua che scorre, schiuma sul mare della vita. Ha un senso comune questo, è razionale, lo posso accettare? Sì. E allora sorge la calma di fronte alla vita, alla malattia, alla morte. Vivere, decadere, morire... è il destino di ogni essere, perfino del Buddha e di Gesù.

" Basta di piangere e lamentarti, Ananda" disse il Buddha al discepolo che lo aveva seguito per tutta la vita e che piangeva perché il Buddha stava per morire, " non ti ho già detto che tutte le cose che sono piacevoli e deliziose sono impermanenti, soggette a separazione (da esse) e a divenire altre? Così come potrebbe essere, Ananda, poiché ogni cosa che è nato, divenuto, composto è soggetto a decadenza - come potrebbe essere che esso non passi via?". E quando il Buddha morì, i monaci non ancora liberati completamente piansero e si lamentarono; ma i monaci liberati dissero: 'Tutte le cose composte sono impermanenti. Che senso c'è nel piangere?"

sabato 19 aprile 2008

Le parole che fanno bene - 1

Tutto è mente nel nostro universo.

Con ciò non voglio parlare di una mente suprema come fa qualcuno ma accennare al fatto che viviamo in un ‘campo’ mentale. La coscienza è una possibilità che esiste ovunque ve ne siano le condizioni. Poiché nel nostro mondo umano la coscienza ha bisogno di parole per esprimersi (anche quando usa altri linguaggi, ad es. quello corporeo), possiamo e dobbiamo riconoscere alla parola un potere importante. Con parola qui intendo anche il semplice pensiero.

Le parole possono fare bene o possono fare male. Quando siamo incentrati su una visione vasta, ‘spaziale’, della realtà, quando vediamo le forze all’opera in questa spazialità e le consideriamo tutte della stessa importanza, saremo in grado di comprendere la sofferenza e di volgerci verso il bene. Quando siamo incentrati su una visione dualistica della realtà, noi e gli altri per intenderci, saremo portati a privilegiare ‘noi’ sempre e comunque. Volgersi al bene è dunque vedere la sofferenza universale e cercare di cambiare per il meglio.

Usciamo ora da questo discorso generale ed entriamo nello specifico del nostro essere quotidiano. Esiste un ‘sé’ relativo, non assoluto, che vive, invecchia, scompare come tutte le cose in natura. Se questo fosse un ‘sé’ assoluto e indipendente da cause e condizioni, non vi sarebbe alcun cambiamento possibile e tutto sarebbe statico, fermo. Poiché invece questo sé è vuoto di sostanza intrinseca, che sia cioè indipendente da cause e condizioni ma anzi da queste è continuamente trasformato, esiste la via della trasformazione. Non si consideri alla leggera ciò che sto scrivendo: quello che voglio dire è che, poiché noi viviamo in un mondo di ‘mentazione’ (parola sconosciuta al vocabolario, credo) e di parola, abbiamo la possibilità di trasformare noi stessi e il mondo intorno a noi. Di essere più felici insomma.

Com’è possibile questo, sono chiacchiere, si dirà il lettore scettico. Ma proprio l’uso della parola (e della mente che vi sta dietro) può permetterci questo. Insomma la parola può avere un effetto taumaturgico e liberatorio. Non a caso in alcune tradizioni orientali il Buddha viene definito ‘il Grande Taumaturgo’.

La prima condizione per essere felici è l’accettazione delle cose come sono, il non urtarsi contro il corso naturale delle cose. Le parole che ci aiutano in questa accettazione critica e non fideistica sono “VI SONO CAUSE E CONDIZIONI PER QUESTO”. E’ vero, qualunque cosa succeda, vi sono state cause e condizioni per cui sia successa. Questo vale sia per il mondo in generale - dove la credenza nel sé e l’egoismo la fanno da padroni - che per la nostra situazione particolare: se anche, guardandoci dentro, ci facessimo letteralmente schifo, ebbene questa frase ci farebbe accettare il come siamo qui e ora, perché questa è la nostra fotografia attuale. Il processo cognitivo e di saggezza della meditazione è cioè ‘storico’. Noi siamo come la nostra ‘storia’ ci ha formati e nella nostra storia hanno avuto un peso importante le nostre predisposizioni e le condizioni che ci hanno determinato.

Le nostre stesse predisposizioni forse vengono da molto lontano, forse anche da vite precedenti; ad ogni modo anch’esse sono state modificate dalle condizioni storico-ambientali in cui si è vissuti. A questo proposito ricordo che poche sere fa, ad una cena tra amici e parlando di queste cose, la mia ex cognata Annamaria, ha detto, più o meno: “ Ma allora che fine fa l’autodeterminazione dell’individuo?”. Questa domanda è tipica del nostro ambiente influenzato dal Cristianesimo. Annamaria voleva dire: allora noi siamo, secondo la tua visione, completamente determinati dalle condizioni e non esiste libero arbitrio. Una risposta buddhista tipica è la ‘via di mezzo’. Siamo, sì, completamente determinati da altro ma nello stesso tempo esiste anche una possibilità di autodeterminazione, di liberazione. Questa possibilità non esiste nemmeno essa in assoluto, vi sono persone totalmente determinate dalle situazioni che vivono, vi sono persone che in questo momento non sono mature – lo saranno forse in seguito, ma esiste nella misura in cui l’uomo, nel suo essere sociale, sviluppa / ha sviluppato nei millenni una tendenza alla riflessione, alla coscienza della propria situazione e quindi una tendenza alla necessità del cambiamento.

Il potere taumaturgico della frase “Vi sono cause e condizioni per questo” sta nel fatto di riconoscere la storicità sia del mondo che del nostro essere. Con questo viene tolta ogni base di lamentazione: se il nostro essere qui ed ora è così, noi non ci possiamo fare niente se non accettare questa nostra fotografia attuale, perché le cose che viviamo vengono davvero da lontano. E se non ci possiamo fare niente, saremo in pace con le cose come sono. Saremo quindi felici o almeno relativamente felici.

Questo non significa che noi dobbiamo sempre restare come siamo. Proprio il ‘vedere’ come siamo davvero, a meno che non siamo completamente stolti, innesca la necessità del cambiamento. E sicuramente, se abbiamo questo tipo di consapevolezza, cambieremo in meglio. Così questa frase taumaturgica, che personalmente io mi dico dopo un po’ di tempo che ‘mi guardo’ in meditazione, ci permette di ‘accettare’ e di cambiare allo stesso tempo, senza eccessivi sforzi volontaristici e idealistici ma anzi gradualmente e dolcemente.

UN’ESPERIENZA NEL LATO NIRVANICO DELLA NOSTRA MENTE

Potete vedere e udire l'autrice di questo discorso su:


http://www.ted.com/index.php/speakers/view/id/203


Ringrazio Nicola Mei per avermelo segnalato. L'ho tradotto in quanto lo ritengo interessante per capire meglio certi aspetti della realizzazione.


Loriano , 4 Aprile 2008


12 March 2008


Stroke of insight: Jill Bolte Taylor on TED.com


Neuroanatomist Jill Bolte Taylor had an opportunity few brain scientists would wish for: One morning, she realized she was having a massive stroke. As it happened -- as she felt her brain functions slip away one by one, speech, movement, understanding -- she studied and remembered every moment. This is a powerful story of recovery and awareness -- of how our brains define us and connect us to the world and to one another. (Recorded February 2008 in Monterey, California. Duration: 18:44.)




Cominciai a studiare il cervello perché ho un fratello a cui è stato diagnosticato un disturbo mentale, la schizofrenia. E come sorella e come scienziato, io volli capire perché posso prendere i miei sogni, posso connetterli alla mia realtà, e posso fare realizzare i miei sogni --cosa ne è del cervello di mio fratello e della sua schizofrenia, perché egli non può connettere i suoi sogni ad un terreno di proprietà comune, la realtà condivisa, e così essi divengono invece inganni?
Quindi dedicai la mia carriera ad indagare sulle malattie mentali gravi. Mi trasferii dal mio stato dell' Indiana a Boston dove lavoravo nel laboratorio del Dott. Francine Benes, nel Reparto di Psichiatria di Harvard. E nel laboratorio, noi ci ponevamo la domanda: qual è la differenza biologica tra i cervelli di individui che sarebbero diagnosticati come normali in confronto ai cervelli di individui diagnosticati con schizofrenia, schizoaffettività, o disturbo bipolare?

Quindi noi essenzialmente stavamo riducendo a mappa il microcircuito del cervello, quali cellule stanno comunicando con quali cellule, con quali elementi chimici, e poi con quali quantità di questi elementi chimici. C'era quindi molto significato nella mia vita perché io stavo compiendo questo genere di ricerca durante il giorno. Ma poi di sera e nei fine-settimana io viaggiavo come un sostenitore di NAMI, l'Alleanza Nazionale per la Malattia Mentale.
Ma nella mattina del 10 dicembre 1996 io mi svegliai per scoprire che io personalmente avevo un disturbo al cervello. Un vaso di sangue esplose nella metà sinistra del mio cervello. E nel corso di quattro ore io guardai il mio cervello deteriorarsi completamente riguardo alla sua capacità di trattare le informazioni. Nella mattina dell'emorragia io non potevo camminare, parlare, leggere, scrivere o richiamare alcunché della mia vita . Io essenzialmente divenni un infante nel corpo di una donna.
Se avete mai visto un cervello umano, è ovvio che i due emisferi sono completamente separati l'uno dall'un l'altro. Ed io ho portato per voi un vero cervello umano. [Grazie.] [Nota di traduzione: questo è tratto da un video dove evidentemente viene effettuata questa azione ]

Così, questo è un vero cervello umano. Questa è la fronte del cervello, il retro del cervello con una corda spinale che pende in giù e questo è come sarebbe posizionato nella mia testa. E quando voi guardate il cervello, è ovvio che le due cortecce cerebrali sono completamente separate l'una dall' altra. Per quelli di voi che capiscono di computer,il nostro emisfero destro funziona come un microprocessore parallelo, mentre il nostro emisfero sinistro funziona come un microprocessore seriale. I due emisferi comunicano l'uno con l'altro attraverso il corpo calloso che è fatto di circa 300 milioni di fibre assonali (?). Ma, a parte questo, i due emisferi sono completamente separati. Perché essi trattano differentemente le informazioni, ogni emisfero pensa a cose diverse, essi si curano di cose diverse, e ,oserei dire, hanno personalità molto diverse. [Mi scusi. Grazie. È stato una gioia.]
Il nostro emisfero destro è tutto basato su questo momento presente. E' del tutto qui e ora. Il nostro emisfero destro pensa in immagini ed apprende kinesthetically (?) attraverso il movimento dei nostri corpi. Informazioni nella forma di energia irrompono simultaneamente attraverso tutti i nostri sistemi sensori, poi esplodono in questo collage enorme di quello che sembra questo momento presente. Ciò di cui questo momento presente profuma o di cui ha il gusto. Io sono un'energia che è connessa all'energia tutta intorno a me attraverso la coscienza del mio emisfero destro. Noi siamo esseri di energia connessi l'uno all'altro attraverso la coscienza dei nostri emisferi destri come una famiglia umana. E proprio qui, adesso, tutti noi siamo fratelli e sorelle su questo pianeta, qui per rendere il mondo un luogo migliore . Ed in questo momento noi siamo perfetti. Noi siamo interi. E noi siamo belli.
Il mio emisfero sinistro è un luogo molto diverso. Il nostro emisfero sinistro pensa linearmente e metodicamente. Il nostro emisfero sinistro è tutto basato sul passato, e è tutto basato sul futuro. Il nostro emisfero sinistro è progettato per prendere quel collage enorme del momento presente e poi comincia a scegliere dettagli e più dettagli e più dettagli su quei dettagli. Categorizza poi ed organizza tutte quelle informazioni. Le associa con tutto quello che abbiamo appreso nel passato e proietta nel futuro tutte le nostre possibilità. Ed il nostro emisfero sinistro pensa in un linguaggio. È quel continuo chiacchierio mentale che connette me ed il mio mondo interno al mondo esterno. È quella piccola voce che dice a me, "Ehi, devi ricordarti di prendere le banane durante il ritorno a casa, e mangiarle in mattinata." È quell'intelligenza calcolatrice che mi ricorda quando io devo lavare la mia biancheria. Ma forse più importante, è quella piccola voce che dice a me, "io sono. Io sono." Ed appena il mio emisfero sinistro dice a me "io sono", io divengo separato. Io divengo un solo individuo solido separato dal flusso di energia intorno me e separato da te.
E questa era la porzione del mio cervello che io ho perso nella mattina del mio infarto.
La mattina dell'infarto, io mi svegliai per un dolore martellante dietro il mio occhio sinistro. Ed era quel genere di dolore, dolore caustico che provi quando mordi un gelato. Ed esso subito mi afferrò e poi mi rilasciò. Poi di nuovo mi afferrò e poi mi rilasciò. Ed era molto insolito per me sperimentare un genere di dolore, così io pensai: OK, comincerò la mia routine normale. Quindi mi alzai e saltai sopra il mio cardioglider che è una macchina per esercizio fisico intenso. Ed io sto bloccandomi su questa cosa, ed io sto comprendendo che le mie mani sembrano artigli primitivi che afferrano la sbarra. Io pensai : "Questo è molto strano" , guardai giù al mio corpo e pensai, "whoa, io sono una ‘cosa' di aspetto strano". Ed era come se la mia coscienza si fosse spostata via dalla mia percezione normale della realtà, dove sono la persona sulla macchina che ha l'esperienza , ad un po' di spazio esoterico dove io sto osservando me stesso avere questa esperienza.
Ed era tutto molto particolare ed il mio mal di testa stava divenendo solo peggio, così io scendo dalla macchina, e sto camminando attraverso il mio pavimento di soggiorno, e comprendo che ogni cosa dentro mio corpo si è rallentata. Ed ogni passo è molto rigido e molto intenzionale. Non c'è fluidità nel mio ritmo, e c'è questa compressione nella mia area di percezioni così io mi sono concentrata solo sui miei sistemi interni. Ed io sto in piedi nel mio bagno, pronta ad entrare nella doccia e davvero potei sentire il dialogo dentro il mio corpo. Io sentii una piccola voce dire, "OK , muscoli, contraetevi, muscoli rilassatevi."
Ed io perdo il mio l'equilibrio e vengo sbattuta contro il muro. Guardo in giù al mio braccio e comprendo che non posso definire più i confini del mio corpo. Io non posso definire dove io comincio e dove io finisco. Perché gli atomi e le molecole del mio braccio si sono mescolati con gli atomi e le molecole del muro. E tutto ciò che io potevo sentire era questa energia. Energia. E mi sto chiedendo: " Che c'è di sbagliato in me, cosa sta succedendo?" Ed in quel momento, il discorsio del mio cervello , il rumore dell'emisfero sinistro del mio cervello divenne totalmente silenzioso . Proprio come se qualcuno avesse preso un telecomando e avesse spinto il bottone'muto' --silenzio totale.
E all'inizio io fui scioccata nel trovarmi in una mente silenziosa. Ma poi immediatamente fui incantata dalla magnificenza di energia intorno a me. E poiché io non potevo identificare più i confini del mio corpo, io mi sentii enorme ed espansiva. Io mi sentii tutt'una con tutta quella energia che c' era, ed era bello là.
Poi all'improvviso il mio emisfero sinistro ritorna on-line e mi dice , "Ehi! Abbiamo un problema, abbiamo un problema, abbiamo bisogno di qualche aiuto." Quindi è come, OK, OK, abbiamo un problema, ma poi, immediatamente, andai di nuovo alla deriva fuori dalla coscienza, ed io mi riferii affettuosamente a questo spazio come la Terra di 'La-la'. Ma era bello là. Immaginate come sarebbe essere totalmente sconnessi dal discorsìo del vostro cervello che vi connette al mondo esterno. Quindi qui io sono qui in questo spazio ed ogni stress riferito a me, al mio lavoro, è andato. E mi sentii più leggera nel mio corpo. Ed immaginate tutte le relazioni nel mondo esterno ed i molti fattori stressanti riferiti ad alcune di quelle, erano svaniti. Io sentii un senso di pace. Ed immaginate come ci si sentirebbe a perdere 37 anni di bagaglio emotivo! Io sentii euforia. L'euforia era bella--e poi il mio emisfero sinistro viene on-line e dice "Ehi! Devi prestare attenzione, dobbiamo trovare aiuto", ed io sto pensando, "Devo trovare aiuto, Devo concentrarmi". Quindi esco dalla doccia , mi vesto meccanicamente e sto passeggiando per il mio appartamento, e sto pensando, "Devo andare a lavorare, devo andare a lavorare, Posso guidare? Posso guidare? "
Ed in quel momento il mio braccio destro divenne totalmente paralizzato al mio fianco. Ed io compresi, "Oh ,mio dio! Sto avendo un infarto! Sto avendo un infarto! " E la prossima cosa che il mio cervello mi dice è, "Wow! Questo è così fico. Questo è così fico. Quanti scienziati del cervello hanno l'opportunità di studiare il loro proprio cervello dall'interno? "
E poi attraversa la mia mente: "Ma io sono una donna molto occupata. Io non ho tempo per un infarto! " Quindi è come, "OK, io non posso fermare l'infarto dall'accadere così io farò questo per una settimana o due, e poi io ritornerò alla mia routine, OK."
Quindi io devo chiamare aiuto, devo chiamare il mio posto di lavoro. Io non potevo ricordare il numero di lavoro, così io ricordai che, nel mio ufficio, avevo una scheda di impegni col mio numero su . Quindi vado nella mia stanza di affari ed estraggo un pila alta tre pollici di schede di impegni. Sto guardando in cima alla scheda , e quantunque io potessi vedere chiaramente con l'occhio della mia mente quello che sembrava la mia scheda di impegni, io non potevo dire se questa fosse la mia scheda o no, perché tutto ciò che potevo vedere erano pixels (puntini). Ed i pixels delle parole si mescolavano coi pixels dello sfondo ed i pixels dei simboli, ed io non potevo dire niente. Ed avrei dovuto aspettare quello che io chiamo un'onda di chiarezza. Ed in quel momento, io sarei stata capace di riattaccarmi alla realtà normale ed avrei potuto dire, quella non è la scheda, quella non è la scheda, quella non è la scheda. Mi occorsero 45 minuti per scendere di un pollice in quella pila di schede.
Nel frattempo, per 45 minuti l'emorragia sta divenendo sempre più grande nel mio emisfero sinistro. Io non capisco numeri, io non capisco il telefono, ma è l'unico piano che io ho. Quindi io prendo il blocco del telefono e lo metto proprio qui, prendo la scheda di affari, la metto proprio qui, e sto assimilando la forma degli scarabocchi sulla scheda alla forma degli scarabocchi sul blocco del telefono. Ma poi io vado alla deriva di nuovo fuori nel paese di La-La, e non ricordo, quando ritorno, se io già avessi composto quei numeri.
Quindi io dovevo maneggiare il mio braccio paralizzato come un ceppo, e contrassegnare i numeri man mano che li scorrevo e li pigiavo, così che una volta tornata alla realtà normale io sarei stata capace di dire, sì, io già ho composto questo numero. Infine tutti i numeri furono composti, ed io sto ascoltando il telefono, ed il mio collega alza il telefono e mi dice , "Whoo ,woo, wooo, woo, woo, woo" [ risata] Ed io penso tra me, "Oh mio dio, sembra un cane da riporto ! " E così gli dico, chiaramente nella mia mente io dico a lui: "Questa è Jill! Ho bisogno di aiuto! " E ciò che viene fuori dalla mia voce è"Whoo ,woo, wooo, woo, woo." Io sto pensando, "Oh mio dio, sembro un cane da riporto." Quindi io non potevo sapere, io non seppi che io non potevo parlare o capire il linguaggio finché io non tentai.
Quindi lui riconosce che io ho bisogno di aiuto, e mi trova aiuto. Ed un po' più tardi, io sto correndo in un'ambulanza da un ospedale attraverso Boston fino al Mass General Hospital. E mi arriccio in una piccola palla fetale. E proprio come un pallone con solo gli ultimi residui d'aria , proprio fuori del pallone io sentii la mia energia alzarsi e sentii la resa del mio spirito. Ed in quel momento io seppi che io non ero più il coreografo della mia vita . E, o i dottori salvano il mio corpo e mi danno una seconda opportunità di vita o questo forse era il mio momento di transizione.
Quando mi svegliai più tardi quel pomeriggio, fui scioccata nello scoprire che ancora ero viva. Quando io sentii la resa del mio spirito, dissi ciao alla mia vita, e la mia mente ora è sospesa tra due piani molto opposti della realtà. La stimolazione che entra attraverso il mio sistema sensorio entra come dolore puro. La luce scottava il mio cervello come fiamma e i suoni erano così forti e caotici che io non potevo estrarre una voce fuori dal rumore di fondo e volevo solo scappare. Poiché io non potevo identificare la posizione del mio corpo nello spazio, io mi sentii enorme e grandiosa, come un genio appena liberato dalla sua bottiglia. Ed il mio spirito volò in alto gratuitamente come una grande balena che scivola attraverso il mare di una euforia silenziosa. Armonico. Ricordo di aver pensato che non c'è modo di comprimere di nuovo l'enormità di me in questo piccolo, piccolo corpo.
Ma compresi: "Ma io sono ancora viva! Io ancora sono viva ed ho trovato il Nirvana. E se io ho trovato il Nirvana e ancora sono viva, allora ognuno che è vivo può trovare il Nirvana." Io mi dipingo un mondo riempito con le belle, pacate, compassionevoli, amorose persone che avessero saputo di poter venire a questo spazio in ogni momento. E che esse potessero scegliere intenzionalmente di avanzare a destra del loro emisfero sinistro e trovare questa pace. E poi mi resi conto di quale regalo tremendo questa esperienza potrebbe essere, che colpo di insight questo potrebbe essere su come noi viviamo le nostre vite. E questo motivò la mia ripresa.
Due settimane e mezza dopo l'emorragia, i chirurghi entrarono (nel cervello) e rimossero un grumo di sangue della grandezza di una palla da golf che stava spingendo sui miei centri del linguaggio. Qui io sono con mia mamma che è un vero angelo nella mia vita . Mi occorsero otto anni per recuperare completamente.
Quindi chi siamo? Noi siamo il potere della forza vitale dell'universo, con destrezza manuale e due menti cognitive. E abbiamo il potere di scegliere, momento per momento chi e come vogliamo essere nel mondo. Proprio qui e adesso io posso avanzare nella coscienza del mio emisfero destro dove noi siamo --io sono-il potere della forza vitale dell'universo, e il potere della forza vitale dei 50 bilioni di bei geni molecolari che costituiscono la mia forma. Questo è un tutt'uno. O io posso scegliere di avanzare nella coscienza del mio emisfero sinistro. dove io divengo un singolo individuo, un solido, separato dal flusso, separato da voi. Io sono il Dott. Jill Bolte Taylor, intellettuale, neuroanatomista. Questi sono i "noi" dentro di me.
Quale scegliereste? Quale scegliete? E quando? Io credo che più tempo noi passiamo scegliendo di percorrere il circuito di pace interno e profondo del nostro emisfero destro, più pace noi proietteremo nel mondo e più pacifico il nostro pianeta sarà. Ed io pensai che era un' idea degna di essere diffusa.

UN BREVE COMMENTO:
Questo testo mi sembra molto significativo. Forse l'autrice è buddhista, forse no (ma l'accenno all'idea di Nirvana lo farebbe pensare) ad ogni caso quello che trovo interessante è il fatto che una volta fatto tacere-volente o nolente- il lato sinistro della mente, si perda ogni dualismo: non esiste più un sé, un io e un mio, ma un tutto, una massa di energia di cui facciamo parte. Questo mi ha riconnesso a un problema sulla natura del Nirvana: alcuni- in particolare la tradizione Theravada- lo vedono come una quasi dimensione separata, invece da questa esperienza possiamo rilevare come la fine del discorrere mentale porti in contatto con la vera realtà, un campo di energia appunto. Quindi Nirvana e samsara non sono due realtà separate. Ciò è ben rappresentato dal discorso di Nagarjuna:" Non vi è alcuna differenza fra Samsara e Nirvana....".
La differenza è solo di interpretazione, potremmo dire, realtà assoluta e realtà corrente sono la stessa cosa (le cose come sono stra-citato) , non vi è niente da raggiungere, siamo già dove dovremmo essere.

Questo è davvero interessante e fa capire come ogni dualismo sia fuori luogo.

mercoledì 19 marzo 2008

La mia gatta e la meditazione

Lo scopo attuale della mia pratica meditativa è il superamento della dualità, la consapevolezza di vivere in una spazialità che non ha distinzione fra l'io e il mio da una parte e ‘l'altro' dall'altra (bisticcio di parole) . Quando si conquista questa spazialità ( o spaziosità o spazio, uno dei più antichi oggetti di meditazione) si intuisce che ogni elemento che vi si trova è sullo stesso piano, che non vi è qualcosa di più o di meno importante ma tutto concorre alla formazione del qui e ora, delle cose come stanno. Per parlare francamente e con un linguaggio illuminato, che trascende e nello stesso tempo coincide con la realtà come la viviamo, tutto vi è ugualmente importante e niente vi è importante in assoluto. Così ogni essere, ogni fenomeno, ogni cosa con cui in qualche maniera siamo in relazione, concorre in maniere più vicine o più lontane ma tutte egualmente importanti al ‘come siamo' o meglio alla totalità di cui facciamo parte e al ‘così com'è'. Questa consapevolezza parte da una base materiale, non astratta. Esistono dei corridoi sensoriali che mettono in relazione i nostri sensi con i fenomeni nello spazio. Se questi fenomeni con cui i sensi entrano in contatto - e che noi classifichiamo erroneamente come persone, cose, il mondo- non esistessero, decadrebbero immediatamente anche gli organi sensoriali preposti a percepirli. Per dirla chiaramente, occhi, orecchi, contatto, papille gustative, recettori olfattivi ecc. semplicemente scomparirebbero. Questa è una cosa che nessuna religione ci dice, escluso il Buddhismo (e la scienza) . Ci parlano di anima ma che sarebbe l'anima se non esistessero i fenomeni cosìddetti esterni, gli organi sensoriali e la relazione che si crea tra loro? Niente oggetti percepibili, niente organi di senso; di conseguenza niente coscienza o anima. Scopriamo così che la cosìddetta supremazia dell'uomo nell'universo va a farsi benedire. Siamo in realtà così dipendenti da altre cose che in loro assenza semplicemente non esisteremmo, non esisterebbe la nostra coscienza, non esisterebbe la nostra anima. La relazione è valida anche in senso inverso. Senza organi sensoriali capaci di percepire altri oggetti e senza la relazione con questi, la loro esistenza semplicemente non avrebbe senso. Sarebbe nulla, nihil .

Dunque nella spaziosoità di cui facciamo parte tutto è importante. O meglio le relazioni che abbiamo sono importanti, come fondamenta del reale che viviamo. E' questo che non aveva capito il ragazzo del film ‘Into the Wild' . Vivendo in un mondo di concetti astratti (ideali, l'ideale del vivere in isolamento, l'ideale della vita naturale ecc.) , solo in fondo si è reso conto che solo nella relazione poteva trovarsi la vera felicità; e se ne è accorto dopoché, anche suo malgrado, era entrato nel mare di relazioni della vita. Peccato se ne sia accorto quando il suo karma, diciamo così, lo aveva ridotto alla disperazione.

Anche altri esseri non umani fanno parte delle relazioni che viviamo. Fra questi vi sono gli animali. La mia gatta Prilla per esempio. Prilla vive in simbiosi o quasi con me. E' molto ‘umana', prova gelosie, rabbie e gioie come noi umani. Quando io da solo o noi (il sabato) siamo in meditazione, Prilla si presenta e va a cercare Doretta o Silvia. Percepisce probabilmente la calma, la quiete, di queste persone in meditazione e trova che sia piacevole dormire fra le loro braccia. Lo stesso fa con me quando sono da solo (quando siamo in diversi preferisce Doretta o Silvia) . Comunque trovo che gli animali sono l'ideale per fare sorgere la gioia. La gioia è uno dei fattori dell'illuminazione. Coltivarla è necessario. La presenza di esseri piacevoli non umani è l'ideale per la coltivazione della gioia (piti ) .Con gli esseri umani le relazioni sono più complicate, avendo per lo più a che fare con la sensualità, il profitto, il potere ecc.. Con gli animali domestici, essendovi relazioni più semplici, è più facile il sorgere di una gioia pura, disinteressata. Perciò lungi dall'essere una distrazione, consiglio a tutti la presenza di un animale nella pratica meditativa.

Ricordo ancora una volta, tanti anni fa, sulle mura. A quel tempo meditavamo per un'ora ogni domenica mattina, sulle mura di Lucca. Un giorno arrivò un cane abbaiando. Noi restammo tranquilli. Il cane si avvicinò incuriosito e avendoci visti tranquilli, si strusciò a me e si accovacciò. Bene, questo fece sorgere in me la gioia, e sorgendo la gioia entrai nel primo Jhana o Dhyana, uno stato di assorbimento meditativo. Un effetto simile mi fa Prilla. Viene e mi abbraccia, nel senso che si alza sulle zampe posteriori e artiglia il mio maglione al petto; è poi attratta dalla cavità semichiusa della mia ascella e cerca letteralmente di scavarvi la sua tana. A volte vi penetra , credendo di trovare chissà quale tana o profondità misteriosa... per poi ritrovarsi dall'altra parte. Questo fa sorgere il sorriso in me, fa sorgere la gioia. E poiché è una gioia non sensuale è ottimo espanderla e prenderla come base meditativa.

Questo fa capire come la meditazione non sia un ritirarsi da mondo (creando un dualismo) ma un apprezzare le relazioni e accettare tutto quello che c'è come base costituente della nostra realtà. L'accettazione di tutto quello che c'è così come si presenta è la base del superamento del dualismo. La pratica della gioia viene di conseguenza.

martedì 19 febbraio 2008

INTO THE WILD

E' in arrivo nelle sale il film di Sean Penn ‘Into the Wild' che narra la storia di un giovane, quasi un ragazzo, che abbandona tutto della sua tranquilla esistenza borghese per un vagabondaggio esistenziale estremo. Riporto una cosa che ho trovato: "Frustrando le aspettative familiari, non appena conseguita la laurea, il ventenne Chris rinuncia alle prospettive di una brillante carriera, dona tutti i suoi risparmi in beneficenza, distrugge le carte di credito e inizia un lungo viaggio che diventa una sorta di percorso di iniziazione verso la maturità..." . Egli si reca nell'ancora selvaggia Alaska scontrandosi con problemi estremi di sopravvivenza e di solitudine nella natura.

Ecco, come dicevo non ho ancora visto il film, quindi mi sono creato una mia immagine di esso e mi è venuto di confrontarlo a quella che è la nostra pratica meditativa, dove la mente sembra muoversi in una landa deserta, dove il silenzio è reale, dove c'è la ricerca di aumentare lo stato di povertà e di deprivazione della mente e non di arricchirla.

Una di queste sere sono stato a una riunione del nascente Partito Democratico (che c'entra questo? Lo vedremo) . La mia storia personale, le mie tendenze e una certa curiosità per questa formazione che, almeno parzialmente, sta nascendo dal basso (in contrapposizione, ad es. ad un certo ‘partito-azienda') , mi hanno spinto lì. Qualcuno mi ha anche proposto di candidarmi e ne sono stato tentato. Penso di avere delle idee, a mio parere interessanti, ‘diverse', e mi sono chiesto se non fosse il caso di condividerle con altri.

Vi ho riflettuto un po', vi ho anche meditato, però ho scelto di non farlo. Benché questo partito stia nascendo dal basso e benché mi sembri di condividerne le idee e il metodo di crescita, in sé davvero democratico, ritengo che la via della liberazione e quella della politica non siano, almeno per me, compatibili. Per lo meno in questa fase ritengo così. Quando, venti anni fa, inizia una mia ricerca spirituale e mi avvicinai alla meditazione, ebbi qualche divergenza con qualcuno che voleva usare i temi meditativi in chiave politica. A venti anni di distanza ho cambiato molte delle mie idee iniziali ma, almeno personalmente, vedo che fare politica attiva mi porterebbe più danni che benefìci. Non in senso materiale, ovviamente, ma mentale. Un'analisi che feci di me venti anni fa, agli inizi della pratica, mi portò a cogliere gli aspetti negativi, se così si può dire, della mia personalità: l'ambizione, il tentativo di usare gli altri a scopo politico, in generale l'egocentrismo e pensai anche a tutte le volte che ero stato male come conseguenza di questi miei difetti. Cominciai un lento processo di trasformazione, cercando di ‘vedermi' e non essendo cieco a quello che ero. Venti anni dopo non credo che questo processo sia arrivato a termine,no di certo, ma certamente un po' sono cambiato. Impegnarsi in politica implica, secondo me, alcune caratteristiche che non portano a calmare e pacificare le nostre predisposizioni mentali e a liberare la mente. Implica sviluppare, volenti o nolenti, l'ambizione personale, una certa dose di avversione, attaccamento alle proprie idee e ai propri risultati. E' evidente che tutto ciò ha un alto potere inquinante e, per conoscenza personale, so che sarebbe la fonte di future sofferenze. Certo si potrebbero trovare tante obiezioni validisse a questo ragionamento. Non ho nulla in contrario, in generale, all'impegno sociale e politico, anzi. Non apprezzo il qualunquismo, il ‘sono tutti uguali' , poiché non è così, molti politici sono persone degne. So soltanto che per quanto mi riguarda, e solo per quanto mi riguarda, una scelta del genere sarebbe nociva.

Mi si accuserà di esagerazione ma, sempre per quanto mi riguarda, mi sono davvero visto di fronte a una scelta fondamentale. O andare di qui o andare di là. Ed ecco la connessione con'Into the Wild'. Ho scelto di andare di qui, ho scelto la piacevole pratica dell'abbandono delle anbizioni , di vivere insomma nella landa relativamente desolata che è la mia mente (a volte) . Una landa in cui non solo non c'è nulla da conquistare ma in cui si gode giusto di questo nulla. Una landa in cui non solo non si ripropone la catena condizionante di ‘desiderio, afferramento, nascita' [di concetti o situazioni ] ma in cui la non realizzazione di obiettivi, di conseguimenti ecc. , insomma il ‘non riuscire' è visto come la massima pratica, il massimo conseguimento. Per non riproporre quello che tutte le politiche e le religioni (a parte il Buddhismo) ripropongono più o meno inconsciamente, senza consapevolezza (nel buddhismo questo è chiamato ‘ignoranza') : il pregare qualcuno o qualcosa per ottenere qualcosa, fosse anche solo l'asservimento a questo qualcuno, sia pure nell'idea di ‘conseguire' un'alta spiritualità' . Sempre di afferramento si tratta, sempre di fascinazione si tratta. La fascinazione è una delle chiavi di questo mondo, non a caso definito a suo tempo da Guy Debord la Società dello Spettacolo. Bisogna starne alla larga per non riproporre la catena del sorgere condizionato di cui parlavo sopra. Fascinazione, desiderio, afferramento, sorgere. La vera pratica religiosa è quando tutto questo non viene in essere.

E' strano questo. L'essere contenti di non ottenere nulla nella nostra pratica ‘spirituale' . E' abnorme, è contrario ad ogni aspirazione umana. In questo mondo siamo abituati a fare per ottenere. Anzi è così che SORGE IL MONDO. Eppure si deve guardare a questo con consapevolezza nella pratica, intenzionalmente, ED ESSERE CONTENTI DI QUESTA PRATICA POVERA. Questo è davvero ANDARE INTO THE WILD.
Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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