Io sono razzista.
Me ne accorgo con chiarezza quando incontro un ‘diverso’, un nero, uno zingaro, un musulmano particolarmente identificabile (soprattutto le donne con le loro mascherature). Benché lo sospettassi, me ne sono reso conto con pienezza l’altro giorno quando, dalle mie parti, passando vicino a una casa-famiglia, ho visto uno stuolo di giovani neri che in bicicletta si recavano verso Lucca. Un urto emotivo, accompagnato da un pensiero: ‘Le avranno rubate [le biciclette]?”.
Bene, mi sono visto per quello che sono, un razzista. La cosa né mi sorprende, né mi sgomenta. Lo sono anche i miei cani, quando vedono un venditore nero abbaiano come lupi (ultimamente assai meno: forse anche loro ci hanno fatto l’abitudine). Il fatto è, comunque, che grazie alla pratica meditativa, alla consapevolezza accumulata in tutti questi anni, IO ME NE ACCORGO. ME NE ACCORGO E NON LO MASCHERO A ME STESSO. Ho invece parecchi amici che, o lo mascherano, oppure dicono: “Io non sono razzista, ma questi vengono e il governo gli dà le case… ecc.”. Il problema per me è che non dovremmo mascherare il nostro razzismo, ma ACCORGERCENE. Accorgercene lasciando andare tutte le giustificazioni sociali e politiche. Accorgercene, semplicemente. Purtroppo, questo livello di consapevolezza non è normalmente alla portata immediata di tutti. Se ce ne accorgiamo, possiamo chiederci se essere razzisti ci piace. Oddio, già il nome è brutto, come tutti gli incasellamenti.
Se ci pensiamo bene creiamo gli incasellamenti sempre per paura dell’altro, per circoscrivere l’altro: razzista, comunista, fascista, buonista, opportunista, maschilista, femminista, buddhista… tutti gli –ista o –isti che ci possono venire in mente. Ci servono a imprigionare l’altro nella gabbia di una definizione: tu sei il tale –ista e per me resterai sempre quello. Eh, sì, caro mio, puoi fare gli sforzi che vuoi ma non ne uscirai più. Poi c’è il passa-parola: ‘ quello è un –ista’ , con il senso implicito: ‘diffidiamone a priori’ e, soprattutto, non facciamolo uscire da questa gabbia. Il buffo è che queste gabbie definitorie le creiamo anche per noi stessi.
Ricordo bene quando, verso il 1989, cominciai a dichiararmi ‘buddhista’ (ancora un –ista) , la fatica mentale che feci poiché sapevo che tutti mi classificavano come ‘uno di sinistra’, anzi di estrema sinistra . Che poi questo sistema di ingabbiamento è tipico degli schedari polizieschi. Più o meno in quello stesso periodo mi fermò la polizia a un posto di blocco e, fatti i controlli via radio, un poliziotto mi disse: “ Lei è ricercato per estorsione”. “Eh?!”. Controllarono meglio e si accorsero che sullo schedario c’era scritto ‘est.’, ‘estremista’. Questo per dire il danno delle identificazioni. E notiamo questa tendenza all’auto-ingabbiamento che abbiamo: ho due amici apparentemente opposti ma in realtà uguali che dichiarano orgogliosamente: “Io sono fascista!” dice uno, “Io sono stalinista” dice l’altro. Entrambi si ascrivono una realtà immutabile che non esiste in natura. Per entrambi vedo, nel loro carattere, una diversità caratteriale rispetto alla ‘terribilità’ di cui vorrebbero fregiarsi (roba da borgatari: qualcuno ricorda ‘Er Terribbile’ di Romanzo Criminale ? ) . In realtà sono, normalmente [non sempre] , due persone buone che per comodità o per autodifesa rispetto al mondo, non hanno il CORAGGIO, quello sì, davvero difficile da trovare, di abbandonare ogni auto definizione e di dichiararsi semplicemente ‘uomo’ . [Sia chiaro, non sto qui entrando nel merito delle ideologie politiche, ma solo dell’aspetto umano] . Non hanno il coraggio di abbandonare gli schemi concettuali (che ci fanno tanto comodo, permettendo di identificarci) e di essere LIBERI.
Me ne accorgo con chiarezza quando incontro un ‘diverso’, un nero, uno zingaro, un musulmano particolarmente identificabile (soprattutto le donne con le loro mascherature). Benché lo sospettassi, me ne sono reso conto con pienezza l’altro giorno quando, dalle mie parti, passando vicino a una casa-famiglia, ho visto uno stuolo di giovani neri che in bicicletta si recavano verso Lucca. Un urto emotivo, accompagnato da un pensiero: ‘Le avranno rubate [le biciclette]?”.
Bene, mi sono visto per quello che sono, un razzista. La cosa né mi sorprende, né mi sgomenta. Lo sono anche i miei cani, quando vedono un venditore nero abbaiano come lupi (ultimamente assai meno: forse anche loro ci hanno fatto l’abitudine). Il fatto è, comunque, che grazie alla pratica meditativa, alla consapevolezza accumulata in tutti questi anni, IO ME NE ACCORGO. ME NE ACCORGO E NON LO MASCHERO A ME STESSO. Ho invece parecchi amici che, o lo mascherano, oppure dicono: “Io non sono razzista, ma questi vengono e il governo gli dà le case… ecc.”. Il problema per me è che non dovremmo mascherare il nostro razzismo, ma ACCORGERCENE. Accorgercene lasciando andare tutte le giustificazioni sociali e politiche. Accorgercene, semplicemente. Purtroppo, questo livello di consapevolezza non è normalmente alla portata immediata di tutti. Se ce ne accorgiamo, possiamo chiederci se essere razzisti ci piace. Oddio, già il nome è brutto, come tutti gli incasellamenti.
Se ci pensiamo bene creiamo gli incasellamenti sempre per paura dell’altro, per circoscrivere l’altro: razzista, comunista, fascista, buonista, opportunista, maschilista, femminista, buddhista… tutti gli –ista o –isti che ci possono venire in mente. Ci servono a imprigionare l’altro nella gabbia di una definizione: tu sei il tale –ista e per me resterai sempre quello. Eh, sì, caro mio, puoi fare gli sforzi che vuoi ma non ne uscirai più. Poi c’è il passa-parola: ‘ quello è un –ista’ , con il senso implicito: ‘diffidiamone a priori’ e, soprattutto, non facciamolo uscire da questa gabbia. Il buffo è che queste gabbie definitorie le creiamo anche per noi stessi.
Ricordo bene quando, verso il 1989, cominciai a dichiararmi ‘buddhista’ (ancora un –ista) , la fatica mentale che feci poiché sapevo che tutti mi classificavano come ‘uno di sinistra’, anzi di estrema sinistra . Che poi questo sistema di ingabbiamento è tipico degli schedari polizieschi. Più o meno in quello stesso periodo mi fermò la polizia a un posto di blocco e, fatti i controlli via radio, un poliziotto mi disse: “ Lei è ricercato per estorsione”. “Eh?!”. Controllarono meglio e si accorsero che sullo schedario c’era scritto ‘est.’, ‘estremista’. Questo per dire il danno delle identificazioni. E notiamo questa tendenza all’auto-ingabbiamento che abbiamo: ho due amici apparentemente opposti ma in realtà uguali che dichiarano orgogliosamente: “Io sono fascista!” dice uno, “Io sono stalinista” dice l’altro. Entrambi si ascrivono una realtà immutabile che non esiste in natura. Per entrambi vedo, nel loro carattere, una diversità caratteriale rispetto alla ‘terribilità’ di cui vorrebbero fregiarsi (roba da borgatari: qualcuno ricorda ‘Er Terribbile’ di Romanzo Criminale ? ) . In realtà sono, normalmente [non sempre] , due persone buone che per comodità o per autodifesa rispetto al mondo, non hanno il CORAGGIO, quello sì, davvero difficile da trovare, di abbandonare ogni auto definizione e di dichiararsi semplicemente ‘uomo’ . [Sia chiaro, non sto qui entrando nel merito delle ideologie politiche, ma solo dell’aspetto umano] . Non hanno il coraggio di abbandonare gli schemi concettuali (che ci fanno tanto comodo, permettendo di identificarci) e di essere LIBERI.
Da anni ho iniziato il mio percorso verso la Libertà. Benché abbia ancora, a livello della vita di tutti i giorni, qualche tipo di identificazione, a un livello superiore mi sento più libero. In questi ultimi tempi ho poi accentuato la meditazione di benevolenza, Metta o Maitri, che io preferisco definire APERTURA, apertura e ACCOGLIENZA verso l’altro. Ciò non mi impedisce di essere in disaccordo con altri su qualcosa e di discuterne, credo però di non sentire che minime tracce di avversione in questo. Ricordo, al proposito, di aver letto, anni fa, sul Visuddhimagga (Il Sentiero verso la Liberazione ) che l’avversione è l’ultimo degli ostacoli, nelle sue tracce più sottili, da eliminare prima della liberazione. Questo mi consola molto. E la pratica di APERTURA porta a liberare la mente, ad abbattere gli ostacoli che ci separano dagli altri, a considerare l’altro come essere umano, a identificarci, questa volta positivamente, con lui.
Avete mai pensato, guardando un nero, un emigrato, uno zingaro: “Quello potrei essere io”? Essere nati qui è stato, in un certo senso, un caso. Ma quel ragazzo là potrei essere io, quella donna mia madre. In genere tutti preferiscono rimanere nel proprio EGOCENTRISMO. Io sono quello che conta e gli altri vadano a…
Avete mai pensato, guardando un nero, un emigrato, uno zingaro: “Quello potrei essere io”? Essere nati qui è stato, in un certo senso, un caso. Ma quel ragazzo là potrei essere io, quella donna mia madre. In genere tutti preferiscono rimanere nel proprio EGOCENTRISMO. Io sono quello che conta e gli altri vadano a…
APERTURA. Quando si medita con Metta o apertura / accoglienza, c’è una scaletta di identificazione e di condivisione con l’altro, dalla persona più cara a quella con cui non vorremmo avere niente da spartire. E’ forse difficile all’inizio ma poi si arriva davvero a quella liberazione della mente dove sorge l’EQUANIMITA’, dove tutti sono sullo stesso piano, il senza-barriere che porta apertura e felicità. Sì, davvero : felicità, piacevolezza. Ci si libera. E stamani, passando davanti alla casa-famiglia, mi è sorto questo pensiero: “Che bello che lo Stato e il comune abbiano trovato queste sistemazioni. Che gioia per questi nostri fratelli” .