L’ultimo numero di questa News ha suscitato qualche approvazione e qualche discussione.
La discussione è sorta sul problema linguistico, se cioè occorra o no accettare il cambiamento anglofono che sta avvenendo nella nostra lingua con l’introduzione di una notevole quantità di parole inglesi.
Questo potrà sembrare un tema piuttosto secondario e poco ‘congruente’ con una News (ancora!) chiamata ‘Meditazione’ ma lo è invece molto in quanto riguarda la nostra visione delle cose, la visione che abbiamo del mondo. Una mia collega, peraltro progressista, non ha esitato a definirsi (benevolmente) reazionaria rispetto a questo.
Il fatto è che mentalmente, da Aristotele in poi, siamo portati a ‘reificare’, a ‘cosizzare’, a costruire ovunque ‘sostanze’ più o meno immaginarie e IMMOBILI (nella nostra fantasia) laddove invece esistono solo processi, processi dinamici in continua trasformazione /evoluzione.
Questo è anche testimoniato storicamente: la Chiesa pensava che Dio, nella sua perfezione, avesse creato il mondo ‘così com’era’ , come cioè appariva, già bell’e apprestato, con gli animali che c’erano, gli uomini che c’erano (Adamo, Eva e la loro discendenza, già uguali a noi come siamo ora), il paesaggio che c’era... Ogni idea di evoluzione contraddiceva l’immobilità della perfezione.
Per questo la Chiesa si oppose violentemente a Darwin e a tutt’oggi certi fondamentalisti (ad es. i testimoni di Geova) la negano. Ora, l’evoluzione è importante e non è limitata solo alla specie umana o al mondo animale ma è avvenuta prima ancora nel mondo vegetale e ancor prima a livello cellulare. Riguarda ogni aspetto della Vita.
Poiché insegno in una Terza Elementare, mi capita spesso di parlare di evoluzione e cito, a volte, questo esempio:
Il nostro dito ‘piccolo’ del piede sta scomparendo ed è probabile che fra qualche migliaio di anni (ma forse anche meno) esso sia scomparso del tutto. Il motivo è semplice: scesi dagli alberi quando eravamo scimmie, questo dito cominciò a servire sempre meno. Anche grandi imperi che si immaginavano eterni, con la missione di civilizzare il mondo, sono crollati e scomparsi (anche noi siamo stati testimoni di uno di questi crolli, quello dell’Unione Sovietica e stiamo assistendo, sembra, al declino di quello americano) .
Un altro caso: se l’evoluzione, invece di essere un processo impersonale e indifferente ai risultati fosse una forza/Dio o guidata da uno spirito divino, il tentativo medioevale del Papato di diventare una entità governante gli uomini del mondo intero in nome di Dio, sarebbe pienamente riuscito.
Cosa ci sarebbe stato di meglio, di superiore rispetto a un governo gestito, sia pure indirettamente, da Dio? Poiché, però, questo presunto agire in nome di un’entità superiore non aveva nulla a che fare con le motivazioni reali che muovono il mondo e con l’impersonalità dei suoi processi, il Papato come entità fisica e politica ha fatto la fine miserabile di tutti gli altri imperi, riducendosi a pochi edifici in Roma.
L’evoluzione, si potrebbe dire, è l’impermanenza descritta con altro nome. Essa ha caratteristiche particolari: tutto ciò che è utile o comunque capace di adattamento al mutare delle circostanze (le ‘condizioni’ di cui si parla nel discorso meditativo) sopravvive, tutto ciò che è inutile o non adattabile scompare.
L’evoluzione è un processo impersonale, non è un ENTE che distingua tra ciò che è buono e ciò che è cattivo: è una forza impersonale o meglio, non è nemmeno questa: c’è il rischio di reificarla, cosizzarla, renderla un ‘qualcosa’.
Si pensi a quando, anche parlando in termini evoluzionistici, diciamo: la Natura ha provveduto a dotare l’animale X di artigli ecc. per cacciare e difendersi. Come si vede il linguaggio non è neutro: la dove esistono forze anonime in movimento permanente, abbiamo involontariamente creato un Ente, la Natura.
Ma l’avete mai vista la Natura, con la N maiuscola? Eppure il nostro inconscio crea in continuazione entità astratte: ci sembra di vederla la Natura, appena nascosta dietro il velo delle cose, una matrona seduta (è di genere femminile) che dice: “ A te servono artigli: che ti spuntino!”, “ A te non serve più la coda; che scompaia!”. Simpatica scenetta, no? Personalmente mi rendo conto che il mio inconscio la vede così. Ciò è significativo e può far riflettere su come facilmente sorgano le religioni teiste (poli- o mono- che siano). Viviamo in un mondo di costruzioni mentali, un mondo immaginario che copre e vela il reale. E’ un mondo dove il pensiero e il linguaggio giocano ruoli fondamentali.
Si pensi a come un pensiero o una parola hanno cambiato le nostre vite o quelle del mondo. Se ci accorgessimo dell’oceano concettuale che oscura il reale, potremmo apprezzare la lotta ai ‘punti di vista’, alle costruzioni mentali che ci accecano.
Qui torno al discorso della lingua. Le lingue dominanti sono, normalmente, quelle degli imperi dominanti. Al tempo dei Romani era il Latino. Oggi l’impero dominante è quello americano. L’affermazione sempre più rapida dell’Inglese è dovuta a questo ma anche a una sua modalità particolare: l’Inglese è ‘semplice’ e, come tale, trova facilità di adattamento alle circostanze.
Vi sono parole utili e pressoché insostituibili. Con cosa sostituiremmo software? Insomma, la sua ‘condizione’ lo rende adatto al mutare delle condizioni.
Anche le lingue non sono cose, sostanze, ma fenomeni in continua evoluzione. Non esiste una ‘cosa’ chiamata Italiano: esistono processi linguistici definiti come ‘Italiano’. Ci può dispiacere che l’Italiano cambi, ma solo perchè abbiamo una visione possessiva (io, mio, il mio paese, la mia lingua, statica e ‘cosistica’ della realtà. Perché allora non ci lamentiamo dell’intrusione di parole italiane nelle altre lingue? Perfino in Cina dicono ‘pizza’ e una volta, all’aereoporto di Hongkong, volendo chiedere degli spaghetti, chiesi dei ‘noodles’ e mi dissero: “Spaghetti?”. E non è, tutto sommato, meglio se l’umanità va verso una maggiore integrazione, anche linguistica, superando le forme egoistiche del passato che tanto male (guerre, odio) hanno provocato?
Tutte le cose, tutti i fenomeni e tutti i concetti, sono privi di sostanza reale. La lingua non fa eccezione, anzi forse è uno dei fenomeni più labili fra la labilità dei fenomeni. Anch’essa dipende da cause e condizioni. Paradossalmente è così difficile accettare questo! Chi pratica la ‘visione profonda’ non può essere ‘reazionario’, creare attrito con l’evoluzione dell’esistente. Ma se ci accorgiamo che questo attrito c’è, OK (dai!), accettiamo anche questo (la furbizia del meditante: con la visione profonda si riesce a salvare capra e cavoli).
lunedì 19 novembre 2007
Evoluzione / reazione
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Meditazione senza saggezza?
Può esistere una meditazione che miri alla liberazione ma che sia priva dell’aspetto conoscitivo?
Per qualcuno sembra che la meditazione possa essere solo una specie di limbo più o meno piacevole. Sempre per qualcuno l’impegno conoscitivo rispetto al reale andrebbe evitato. Soprattutto non sarebbe necessario né auspicabile mettersi in crisi, esplorare a fondo quelli che sono i propri bagagli culturali...non sarebbe necessario per esempio vedere come i propri bagagli culturali siano in realtà una congerie informe di contenuti che vanno dalla scientificità alla superstizione, il tutto mescolato in proporzioni variabili, e come , quindi, non vi sia prova certa o dimostrata dei contenuti che proponiamo. In sostanza si vuole salvare capra e cavoli. Datemi un bel rilassamento che non mi faccia pensare (non a caso molte persone, parlando, ci dicono: “ Tu, che sei esperto di rilassamento....” ) .
Invece noi pensiamo che meditare debba servire soprattutto come un modo per migliorare il vivere ( e sicuramente qualche manciata di minuti di rilassamento non basta-subito dopo i problemi si ripresentano) e per darci una prospettiva sulla realtà ultima, una prospettiva che non abbia a che fare con i concetti. Quest’ultima frase può sembrare contraddittoria con il fatto che siamo qui ad usare una logica concettuale stringente ma certamente noi, come tutti, dobbiamo fare uso del linguaggio per comunicare. Però non abbiamo nessun concetto da propagandare o da difendere- non chiediamo a nessuno di credere in qualcosa, offriamo solo un metodo di lavoro. Non chiediamo di credere in un Dio, in un Gesù, in un profeta, in un guru, in un Buddha; non accendiamo incenso e non alziamo altari né Gonzohon; non chiediamo di aderire a Cristianesimo, Islam o Buddhismo. Volutamente non abbiamo nemmeno un Centro di Meditazione vero e proprio, “professionale” per intenderci ma solo un ritrovo casalingo. Non proponiamo paradisi o inferni. Proponiamo una pratica scarna che porta a cercare la trascendenza non in altri mondi, paradisi o dimensioni, ma una trascendenza nelle cose, la trascendenza delle cose come sono. A chi pratica chiediamo solo di realizzare in sé un’esperienza di osservazione interiore, di cercare di vedere ciò che c’è davvero, non quindi dei contenuti ma il brulicare incessante del dualismo contenutistico e chiediamo di separare con la maggior chiarezza possibile l’esperienza dai concetti: questa è l’esperienza di un dato fisico (contatto, rumori, vista) , questi sono i concetti conseguenti ai dati sensoriali; questo è il corpo, questa è la coscienza e, nello stesso tempo, questo è il complesso corpo-coscienza.
Cominciando a vedere così, cominciamo forse a renderci conto delle volte in cui la concettualizzazione entra in campo e trasforma (inquina) l’esperienza. Ecco che le cose non sono più “come sono” ma “come le vediamo”- in genere come le vogliamo vedere o come siamo condizionati a vederle. Cominciamo forse a vedere il momento in cui i concetti sorgono. Potremo forse cominciare a chiederci come sorgono i concetti – buffo come la conoscenza si alimenti con nuova conoscenza; è come quando comprai il primo computer. Timoroso com’ero posi subito dei limiti: “ questo computer mi servirà solo come macchina da scrivere” – ma subito dopo i primi impauriti tentativi, man mano le nuove conoscenze spingevano verso nuove conoscenze.
Poiché i concetti hanno generalmente a che fare con giudizi di valore (positivo o negativo, bello o brutto, spirituale o materiale e così via) possiamo probabilmente dedurre che questo schema di valori sorga dalle nostre predisposizioni vicine, lontane e più che lontane. Se queste predisposizioni (che hanno origine dalla sensazione, piacevole o spiacevole) ci portano a concetti dualistici (buono, cattivo ecc.) e sono in noi così radicate e inquinanti, com’è possibile che esse non entrino in ciascuna delle nostre idee, credenze, fedi, visioni del mondo?
E’ questo che rende ciechi tutti gli “aderenti” a qualcosa. Aderiscono, si afferrano a qualcosa. Questo qualcosa è qualcosa che a loro piace (sensazione gradevole) , qualcosa che dà quindi loro consolazione, che permette anche, in una certa misura, di vivere meglio. Come tali queste predisposizioni non hanno sempre un valore negativo. Vanno però colte nel loro aspetto relativo: “ Io, X tal dei tali, abitante in Y, con la posizione sociale Z, vedo le cose così e così” . Questo per far capire che la “verità” espressa da questa persona X sarà relativa, determinata dalla sua condizione sociale, dalla sua cultura, persino dalla sua posizione geografica. Sempre per chiarire: Berlusconi vede una realtà diversa da quella di Follini e ancor più diversa da quella di Prodi o Fassino. Buffo: partecipano tutti della stessa situazione geo-socio-culturale eppure ognuno la vede con occhi diversi. E sono tutti sinceri! E lo stesso ci accade nella vita di ogni giorno. Una persona in salute, con un buon lavoro, vedrà le cose in maniera molto più “bella” di chi sia angosciato dalla mancanza di salute e/o di lavoro. Ecco come si spiegano le varie visioni del mondo, incluse quelle politiche e religiose. Ecco che qualcuno, in una determinata posizione, potrà pensare: “ Il mondo è meraviglioso, Dio ci vuole davvero bene e ci fa provare sensazioni splendide” mentre qualcun altro, un pastore eritreo alla fame per la siccità incalzante, con i propri animali pelle e ossa e i propri cari morenti di fame e malattia, potrà pensare che questo mondo è un inferno, magari raccomandandosi allo stesso Dio, in questo caso stranamente indifferente.
Perciò tutto è relativo e in relazione alle predisposizioni ed alle condizioni esistenziali di chi dà il giudizio. La stessa verità è relativa, nonostante tutta la polemica attuale contro il relativismo, portata avanti dal nostro buon conterraneo, senatore Pera. L’’unica verità assoluta sembra essre la mancanza di una verità assoluta o, detto meglio, che proprio la relatività dei vari tipi di verità è la verità. Ma anche questo è solo un concetto e va accettato nella sua relatività (vedo già che questo scatenerà la voglia di discussione di molti lettori) .
Ci sono persone che praticano la meditazione da anni e che nonostante ciò sono portatori di contenuti vari, accettandoli acriticamente o quasi senza neanche rendersene conto, essendosi accostati alla pratica con la tazza già piena e senza la voglia di svuotarla per cui continuano ad asserire qualcosa. Tutti asseriamo qualcosa nella vita quotidiana però il problema è se siamo consci della sua relatività o se dentro di noi la consideriamo una verità assoluta. Se siamo su questo piano non potremo mai metterci in discussione, la nostra tazza sarà sempre piena di contenuti ed avrà poco a che fare con il silenzio della mente. Anche questo comunque è un giudizio e come tale relativo.
Per qualcuno sembra che la meditazione possa essere solo una specie di limbo più o meno piacevole. Sempre per qualcuno l’impegno conoscitivo rispetto al reale andrebbe evitato. Soprattutto non sarebbe necessario né auspicabile mettersi in crisi, esplorare a fondo quelli che sono i propri bagagli culturali...non sarebbe necessario per esempio vedere come i propri bagagli culturali siano in realtà una congerie informe di contenuti che vanno dalla scientificità alla superstizione, il tutto mescolato in proporzioni variabili, e come , quindi, non vi sia prova certa o dimostrata dei contenuti che proponiamo. In sostanza si vuole salvare capra e cavoli. Datemi un bel rilassamento che non mi faccia pensare (non a caso molte persone, parlando, ci dicono: “ Tu, che sei esperto di rilassamento....” ) .
Invece noi pensiamo che meditare debba servire soprattutto come un modo per migliorare il vivere ( e sicuramente qualche manciata di minuti di rilassamento non basta-subito dopo i problemi si ripresentano) e per darci una prospettiva sulla realtà ultima, una prospettiva che non abbia a che fare con i concetti. Quest’ultima frase può sembrare contraddittoria con il fatto che siamo qui ad usare una logica concettuale stringente ma certamente noi, come tutti, dobbiamo fare uso del linguaggio per comunicare. Però non abbiamo nessun concetto da propagandare o da difendere- non chiediamo a nessuno di credere in qualcosa, offriamo solo un metodo di lavoro. Non chiediamo di credere in un Dio, in un Gesù, in un profeta, in un guru, in un Buddha; non accendiamo incenso e non alziamo altari né Gonzohon; non chiediamo di aderire a Cristianesimo, Islam o Buddhismo. Volutamente non abbiamo nemmeno un Centro di Meditazione vero e proprio, “professionale” per intenderci ma solo un ritrovo casalingo. Non proponiamo paradisi o inferni. Proponiamo una pratica scarna che porta a cercare la trascendenza non in altri mondi, paradisi o dimensioni, ma una trascendenza nelle cose, la trascendenza delle cose come sono. A chi pratica chiediamo solo di realizzare in sé un’esperienza di osservazione interiore, di cercare di vedere ciò che c’è davvero, non quindi dei contenuti ma il brulicare incessante del dualismo contenutistico e chiediamo di separare con la maggior chiarezza possibile l’esperienza dai concetti: questa è l’esperienza di un dato fisico (contatto, rumori, vista) , questi sono i concetti conseguenti ai dati sensoriali; questo è il corpo, questa è la coscienza e, nello stesso tempo, questo è il complesso corpo-coscienza.
Cominciando a vedere così, cominciamo forse a renderci conto delle volte in cui la concettualizzazione entra in campo e trasforma (inquina) l’esperienza. Ecco che le cose non sono più “come sono” ma “come le vediamo”- in genere come le vogliamo vedere o come siamo condizionati a vederle. Cominciamo forse a vedere il momento in cui i concetti sorgono. Potremo forse cominciare a chiederci come sorgono i concetti – buffo come la conoscenza si alimenti con nuova conoscenza; è come quando comprai il primo computer. Timoroso com’ero posi subito dei limiti: “ questo computer mi servirà solo come macchina da scrivere” – ma subito dopo i primi impauriti tentativi, man mano le nuove conoscenze spingevano verso nuove conoscenze.
Poiché i concetti hanno generalmente a che fare con giudizi di valore (positivo o negativo, bello o brutto, spirituale o materiale e così via) possiamo probabilmente dedurre che questo schema di valori sorga dalle nostre predisposizioni vicine, lontane e più che lontane. Se queste predisposizioni (che hanno origine dalla sensazione, piacevole o spiacevole) ci portano a concetti dualistici (buono, cattivo ecc.) e sono in noi così radicate e inquinanti, com’è possibile che esse non entrino in ciascuna delle nostre idee, credenze, fedi, visioni del mondo?
E’ questo che rende ciechi tutti gli “aderenti” a qualcosa. Aderiscono, si afferrano a qualcosa. Questo qualcosa è qualcosa che a loro piace (sensazione gradevole) , qualcosa che dà quindi loro consolazione, che permette anche, in una certa misura, di vivere meglio. Come tali queste predisposizioni non hanno sempre un valore negativo. Vanno però colte nel loro aspetto relativo: “ Io, X tal dei tali, abitante in Y, con la posizione sociale Z, vedo le cose così e così” . Questo per far capire che la “verità” espressa da questa persona X sarà relativa, determinata dalla sua condizione sociale, dalla sua cultura, persino dalla sua posizione geografica. Sempre per chiarire: Berlusconi vede una realtà diversa da quella di Follini e ancor più diversa da quella di Prodi o Fassino. Buffo: partecipano tutti della stessa situazione geo-socio-culturale eppure ognuno la vede con occhi diversi. E sono tutti sinceri! E lo stesso ci accade nella vita di ogni giorno. Una persona in salute, con un buon lavoro, vedrà le cose in maniera molto più “bella” di chi sia angosciato dalla mancanza di salute e/o di lavoro. Ecco come si spiegano le varie visioni del mondo, incluse quelle politiche e religiose. Ecco che qualcuno, in una determinata posizione, potrà pensare: “ Il mondo è meraviglioso, Dio ci vuole davvero bene e ci fa provare sensazioni splendide” mentre qualcun altro, un pastore eritreo alla fame per la siccità incalzante, con i propri animali pelle e ossa e i propri cari morenti di fame e malattia, potrà pensare che questo mondo è un inferno, magari raccomandandosi allo stesso Dio, in questo caso stranamente indifferente.
Perciò tutto è relativo e in relazione alle predisposizioni ed alle condizioni esistenziali di chi dà il giudizio. La stessa verità è relativa, nonostante tutta la polemica attuale contro il relativismo, portata avanti dal nostro buon conterraneo, senatore Pera. L’’unica verità assoluta sembra essre la mancanza di una verità assoluta o, detto meglio, che proprio la relatività dei vari tipi di verità è la verità. Ma anche questo è solo un concetto e va accettato nella sua relatività (vedo già che questo scatenerà la voglia di discussione di molti lettori) .
Ci sono persone che praticano la meditazione da anni e che nonostante ciò sono portatori di contenuti vari, accettandoli acriticamente o quasi senza neanche rendersene conto, essendosi accostati alla pratica con la tazza già piena e senza la voglia di svuotarla per cui continuano ad asserire qualcosa. Tutti asseriamo qualcosa nella vita quotidiana però il problema è se siamo consci della sua relatività o se dentro di noi la consideriamo una verità assoluta. Se siamo su questo piano non potremo mai metterci in discussione, la nostra tazza sarà sempre piena di contenuti ed avrà poco a che fare con il silenzio della mente. Anche questo comunque è un giudizio e come tale relativo.
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