venerdì 23 marzo 2012

SORRIDERE



“Qualunque sia il limite del Nirvana

Quello è il limite dell’esistenza ciclica (samsara  ) .

Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro

E nemmeno la cosa più sottile”

 (Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika 25)



‘La pacificazione di ogni oggettivizzazione e la pacificazione dell’illusione. Nessun Dharma fu insegnato dal Buddha, in nessun tempo, in nessun luogo, ad alcuna persona’

(Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika 25)




‘Ci sono parole che hanno potere’ scrivevo nella News precedente. Ci sono atti che hanno potere, too . Sorridere è uno di questi atti. Ho già scritto altre cose sul sorriso interiore ma non è mai troppo scrivere su qualcosa che è così connaturato alla meditazione buddhista e nel contempo allo star bene personale.

Ho subito di recente un lutto, la morte di mia zia, una zia con cui ho vissuto gomito a gomito negli ultimi sette / otto anni e con cui ho condiviso tante cose. Non ultima la sua agonia. Quello che le faceva bene, lo vedevo, erano il mio sorriso e le mie carezze. Non siate mai avari di sorriso e di carezze verso le persone care e verso le persone in difficoltà. A volte si ha ritrosia a fare una carezza, ma questo è uno sbaglio assoluto. Come la mano della mamma che da piccoli ci passava sulla fronte prima di dormire (me lo ricordava mia sorella, giusto qualche giorno fa), così una carezza ci riporta a quei dolci primordi della nostra vita in cui eravamo totalmente dipendenti dall’amore degli altri. Allo stesso modo una carezza ad una persona che sta male ha anche un, sia pur minimo, potere curativo. Allo stesso modo il sorriso e, perché no, anche lo scherzo? Tutto quello che può sollevare l’animo di chi è in difficoltà…

C’è il sollievo quando una persona termina le sue sofferenze, sollievo a cui, dopo breve, subentra la mancanza. Le persone care ci mancano, è indubbio. Vuol forse questo dire che NON ACCETTIAMO? No, noi accettiamo totalmente il ciclo di nascita e morte ma proprio questo ciclo ha una durata e una sedimentazione di rapporti umani, e questo produce un vuoto, una vacuità, un’assenza emozionale. Ci fu un monaco a cui fu rimproverato da qualcuno di piangere per una persona cara (un amico? Un genitore? Non ricordo) e quindi di abbandonare, apparentemente , l’equanimità. Lui diede questa risposta: ‘ Se non piango per una persona cara, per chi devo piangere?’ E quando morì il Buddha, molti monaci e dei (deva) piansero per la scomparsa di questo Grande, scomparsa che sicuramente lasciava un grande vuoto di insegnamento e di condotta di vita. Pure, fu loro dato come risposta l’insegnamento del Tathagata. ‘Tutte le cose condizionate sono della natura di decadere; praticate instancabilmente’ . Queste, dice il Mahaparinibbana Sutta , il Sutra della Grande Estinzione, furono le ultime parole del Buddha. Subito dopo, racconta quel testo, “tutti quei monaci che non avevano ancora vinto le loro passioni piansero e si strapparono i capelli… gridando: ‘Troppo presto il Signore benedetto se n’è andato, troppo presto il Benefattore se n’è andato, troppo presto l’Occhio del Mondo è scomparso’. Ma quei monaci che erano liberi dal desiderio sopportarono consapevolmente e chiaramente consci, dicendo: ‘Tutte le cose composte sono impermanenti – a che serve ciò?’

Così stamani me ne stavo in meditazione e sorridevo lievemente. La mia meditazione era il sorriso, la risposta consapevole alla sofferenza. Prilla, la mia gatta, vedendomi in meditazione, ne ha approfittato come al solito per venire a stiracchiarsi e a stirare i suoi unghioli sul mio corpo. Birbante di una Prilla! L’ho guardata sorridendo lievemente ed emettendo amorevolezza nei suoi confronti, senza però limitarla a lei ma emettendola in senso lato. Lei era semplicemente l’essere più vicino nel raggio della mia amorevolezza. Così l’accarezzavo (anche per tenerla ferma e impedire ai suoi unghioli di entrami nella carne) e sorridevo. Era felice e ronfava.

Ecco, sorridere è una meditazione semplice e senza scopo, la più semplice, e non mi stanco di raccomandarla. Ha una valenza spirituale, salvifica e anche salutare. Probabilmente si dice, a livello medico, che produce endorfine. Ma non è questo che ci deve interessare, se non come un piacevole effetto collaterale. Quello che ci deve inmteressare è il sorriso come superamento, senza scopo, del dualismo. ‘Riempirsi di sorriso’ ed emetterlo. Potete pensare a voi come una divinità che emette questo alone ma è ancora meglio emettere e basta e nemmeno pensarvi al centro dell’emissione. Non deve esserci un centro, un ego che emette, questa è ancora la limitazione dei deva o divinità (ecco perché nel buddhismo gli dei o deva, che pure godono della permanenza in una dimensione mentale superiore, sono purtuttavia considerati inferiori a un Buddha e anche a qualsiasi altro essere umano liberato). Se vi immaginate al centro del sorriso, c’è ancora dualismo, voi e gli altri. Se invece pensate all’irradiazione, senza un centro, questa è una cosa che in qualche modo rassomiglia al Nirvana.

DOMENICA 1 APRILE, INTENSIVO DI MEDITAZIONE a S. Andrea di Compito dalle 9 alle 16,30 con sosta per pranzo.
Ogni sabato vi è la solita seduta di meditazione a S. Andrea di Compito, via della Torre 9, ore 15,30.

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lunedì 5 marzo 2012

LA PAROLA MAGICA

“Qualunque sia il limite del Nirvana
Quello è il limite dell’esistenza ciclica (samsara ) .
Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro
E nemmeno la cosa più sottile”

(Nagarjuna, Mulamadhyamakakarika 25)


Ci sono parole che hanno potere. Sì, come nella vita quotidiana, dove ogni parola può cambiare i vostri rapporti con gli altri, così nella meditazione vi sono parole che hanno la magia di dischiudervi nuovi scenari. Vi è mai capitato, nella vita quotidiana, di usare una parola o una frase che nelle vostre intenzioni avrebbe dovuto essere scherzosa e che magari ha guastato un’amicizia? Oppure, in senso inverso, usare una parola di incoraggiamento verso qualcuno e notare come avvenga un suo meraviglioso cambiamento? Le parole hanno potere! Provate, come ho già detto altre volte, a mettere una firma su un assegno e ve ne accorgerete. Questo fa capire come la vacuità funzioni: non c’è quasi niente di più insostanziale di una firma, eppure funziona! E’ questa una cosa su cui riflettere. Le cose sono prive di sostanza, eppure funzionano. Il mondo è privo di sostanza stabile, eppure funziona. Un film drammatico è privo di sostanzialità, eppure ci fa star male!

Ci sono due parole magiche (molto più di due, per la verità) nella meditazione e sono, rispettivamente, CONSAPEVOLEZZA e ACCETTAZIONE. Entrambe sono un compendio della pratica meditativa. Mentre la prima è ben nota, della seconda si parla meno, pure è fondamentale. Accettazione è il fine verso cui dirigiamo la pratica, accettazione è la pratica stessa, accettazione è la visione delle cose come sono, accettazione è l’accettazione delle cose come sono.

Questo ci porta a un nodo della nostra pratica. Pratichiamo per sfuggire alla sofferenza, si dice. Ma possiamo noi sfuggire alla sofferenza (e, si badi, non mi riferisco alla sofferenza fisica, anche il Buddha ne soffrì ma l’accettò tranquillamente). Possiamo sfuggire alla sofferenza mentale? Possiamo sfuggire al frequente dolore che sorge nei rapporti con gli altri, al dolore della separazione o dell’abbandono? E se soffriamo, non è questo un fallimento della nostra pratica meditativa? Non è questo che manda all’aria la nostra stessa voglia di fare meditazione?

Come ho detto altre volte, come dico ora, la confusione è il Buddha, la sofferenza è il Buddha, la mente agitata è il Buddha. Ma al di là di queste, che possono sembrare frasi retoriche (e non lo sono) come fronteggiare la sofferenza?

Lontano da me l’idea di dare formule semplici, valide per tutti. Ognuno ha un suo rapporto speciale con la sofferenza, ognuno poi ha livelli di maturità e consapevolezza diversi. Ma è alle persone che hanno una consapevolezza più profonda che dico: se si sa cambiare il punto di vista, quella è l’illuminazione, quella è la realtà ultima. Facevamo un discorso su questo in una recente seduta. Una nostra amica, che medita da anni, diceva, in quella seduta e parlando appunto della sofferenza che viene da certi rapporti personali: ‘E’ la vita quotidiana che è il nostro campo di battaglia!’

_Bene, pensa di essere un soldato su un campo di battaglia, che cosa vedi?

_Vedo morte, scontro, sofferenza.

_Pensa ora di essere Napoleone, in cima a una collina, che cosa vedi?

_ Vedo tutta la battaglia, vedo il tutto.

_ Bene, tu sei nella battaglia, provi dolore, fisico e mentale, perché sei nella tua situazione particolare, nel tuo piccolo. Napoleone non prova le stesse sensazioni, eppure siete entrambi nello stesso quadro!

Non voglio dare soluzioni facili. Riflettiamo su questo esempio e ciascuno trovi la soluzione e magari me la comunichi. E ancora una volta torniamo alla frase di Nagarjuna: ‘Non c’è nemmeno la più piccola differenza fra loro (fra il samsara o vita mondana e Nirvana), e nemmeno la cosa più sottile’. Non sarà, allora, che l’illuminazione è semplicemente un cambio di prospettiva, un altro lato della stessa collina?

Mi siedo e mi ripeto nella mente: ‘ Accettazione’. Ma accettazione di cosa? E’ chiaro che mi riferisco alla visione di qualcosa. Di che cosa? Del mondo esterno e di come influisce su di me? Di me stesso? Di come sono?

Qualunque risposta io dia – e volutamente non la do, accettazione implica visione, visione profonda. Non posso accettare quello che non vedo. Certo, mi si dirà, ma se sono in confusione, non riesco a ‘vedere’ . Come no, rispondo. Osserva la confusione e ne saprai certamente intuire le cause.

Accettazione è anche pacificarsi con le cose, con il mondo. Così com’è. E’ come la Storia. Non esiste la Storia del ‘se fosse andata così’ . La Storia è quello che è. Le cose come sono.

E’ a questa pacificazione a cui allude Nagarjuna quando dice: ‘La pacificazione di ogni oggettivizzazione e la pacificazione dell’illusione. Nessun Dharma fu insegnato dal Buddha, in nessun tempo, in nessun luogo, ad alcuna persona’. Un’altra frase misteriosa (?) su cui riflettere.



DOMENICA 1 APRILE, INTENSIVO DI MEDITAZIONE a S. Andrea di Compito dalle 9 alle 16,30 con sosta per pranzo.

Ogni sabato vi è la solita seduta di meditazione a S. Andrea di Compito, via della Torre 9, ore 15,30.


PUBBLICITA’: CORSO DI TAIJIQUAN E MEDITAZIONE PER LA SALUTE, Piazza S. Francesco (Lucca) , mercol. e ven. , ore 19,30-21. CORSO DI KUNGFU (BAGUAZHANG, XINGYI, TANGLANG, YONGCHUN (Wingchun) , stessa locazione e orari, lunedì e mercoledì.

Le sedute comuni di Meditazione si svolgono ogni sabato pomeriggio, dalle 15, 30 alle 16,30 circa, a S. Andrea di Compito (Lucca) - Via della Torre 9.
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