giovedì 19 aprile 2007
SPERIMENTARE LA LIBERAZIONE
“Essendo stato detto così, l’Ajivika prese la parola: ‘ E’ davvero possibile, vostra Reverenza?’ Dopo aver scosso la testa, prese un’altra strada e se ne andò” (Vinaya I, 8, 30-32)
Il primo di questi due passi viene, come detto, dalla messa cristiana e a mio parere rende bene quello che è il senso della Liberazione. Basta sostituire ‘peccato’, che non esiste nella nostra concezione, con ‘inquinanti mentali’ : “Libero dagli inquinanti mentali e sicuro da ogni turbamento” e questa è la miglior sintesi, a mio parere, di quella che è la Liberazione o, per meglio dire, l’essere liberi (evitando le maiuscole e i sostantivi ed usando il dinamismo dei verbi) .
Il secondo passo viene dal Vinaya buddhista e accenna all’incontro che il Buddha, appena risvegliato e liberato, ebbe con un Asceta errante (Ajivika) di nome Upaka che dopo aver ascoltato le parole di Gotama annuncianti la sua liberazione, scosse il capo ironicamente e se ne andò.
Questi due passi così diversi come origine, accennano a due fatti importanti. Uno è il contenuto della Liberazione o dell’essere liberi e l’altro alla verifica di questo fatto, verifica che è solo personale.
Ci sono vari nomi con cui si descrive il risultato della pratica meditativa: Illuminazione, Risveglio, Liberazione….Voglio esaminarli per portare alla luce le loro diverse sfumature.
Illuminazione e risveglio sono pressoché sinonimi. Entrambi alludono ad un’esperienza (in genere improvvisa) in cui una persona ‘si risveglia’ , ha un’illuminazione. Il termine illuminazione allude anche al fatto che in questa esperienza il mondo appare più vivo, brillante, nitido, ma il senso vero di illuminazione o risveglio è quello di risvegliarsi dal sonno ottuso della coscienza, di risvegliarsi a quello che realmente è il mondo, la vita. La mente è abitualmente spersa e frammentata in questo mondo dualistico, è confusa dalla dualità, è spinta continuamente a prendere posizione fra il ‘bene’ e il ‘male’ ,fra il bello e il brutto, fra il buono e cattivo e così via. Questo dualismo è la base del conflitto, la base degli schieramenti (politici, religiosi) , la base della sofferenza umana. La mente duale crea un mondo di costruzioni mentali, una sua realtà a cui tutti partecipiamo e che ha una sua validità relativa. Si tratta di una copertura di illusione che però, poiché tutti vi partecipiamo, ha il sapore della verità. Dal punto di vista del relativo è davvero una verità. Solo i mistici sono (talvolta) riusciti ad andare oltre questo velo e, guarda caso, sono stati allora attaccati dalla tradizione religiosa ufficiale, almeno qui in Occidente.
Il risveglio o illuminazione è, come dicevo, normalmente un fatto improvviso, piacevolmente traumatico. La Liberazione è qualcosa di simile ma anche diverso ed è legato in qualche maniera all’intenzione. Per avere un’idea della Liberazione occorre di nuovo fare riferimento allo stato opposto, quello della mente confusa e agitata di tutti i giorni. La mente quotidiana è una mente annebbiata e spersa fra una congerie di fatti, posizioni, punti di vista e creazioni concettuali. Guidiamo ad esempio la macchina e siamo confusi fra il guidare, l’ascoltare musica e la serie di pensieri e preoccupazioni della vita quotidiana, Il termine mente addormentata può sembrare troppo forte per indicare questo stato; forse un termine più accettabile è ‘stordimento’ , quasi una sorta di ubriachezza che ci permette di essere attivi ma senza una vera lucidità. Credo che se riflettiamo un attimo, tutti potremo riconoscerci in questo stato. E’ uno stato di quasi-felice malattia mentale.
Occorre prima di tutto riconoscere che anche la liberazione è un fatto mentale. L’obiezione più comune che viene fatta quando si parla di un episodio di liberazione è: ‘Sarà un fatto della tua mente?’ Come se vi fosse qualcosa che non sia, per noi, un fatto della mente. Certo che è un fatto della mente. E’ un fatto, un’esperienza in cui la mente scopre di essere entrata in una realtà diversa da quella ordinaria. La sensazione è quella, direi, di un’altra dimensione (ma il termine è così inflazionato dalla fantascienza da dover essere usato con precauzione) . Ma qual è il senso di differente dall’ordinario che ne fa percepire la diversità?
‘Libero dagli inquinanti e sicuro da ogni turbamento’, questo è ciò che viene percepito in questo stato. Viviamo con la mente inquinata e viviamo nella paura. Questo, il nostro quotidiano, è un mondo di continuo, martellante, inquinamento mentale e di paura. Paura economica, paura sociale, paura personale. Terrore, timore, ansia. A volte nascosti, sotterranei, a volte evidenti. Bene, nella mente liberata, tutto questo cessa. E ce ne accorgiamo, vi è certezza di questo. La mente è libera, non vi sono né inquinanti né paura. Essendo libera, si trova in una dimensione del tutto diversa da quella abituale. E’ una dimensione in cui nessuna paura ci può prendere. E non lo può perché non vi è alcuna concezione dell’io e del mio. E non vi sono inquinanti né paura dove non vi sono né io né mio. Certo, lo so per certo che anche questa stessa concezione, può creare paura: né io né mio. Ma può creare paura qui ed ora, nella nostra dimensione ordinaria, proprio perché afferriamo e ci attacchiamo. Possiamo allora avere un’esperienza negativa, di terrore. Terrore della perdita di senso dei nostri giocattoli. Anche un’esperienza del genere (io l’ho provata una volta) può essere significativa. Si tratta del rovescio della liberazione: vi sono cioè tutte le condizioni per essere liberi ma vi è la paura di essere liberi, paura dovuta all’attaccamento ai propri giocattoli. Questa esperienza di liberazione a rovescio è un ottimo esempio di visione profonda, se riuscite ad andare oltre lo sgomento. E’ una visione di ‘quel che c’è davvero’ in quel preciso momento.
Diventate consapevoli che avreste potuto gioire della libertà in cui vi siete trovati (libertà dagli attaccamenti e dalle concezioni mentali che danno significato a quegli attaccamenti- questo è in sostanza il senso di ‘mancanza di senso’) e invece siete rimasti terrorizzati da questa libertà e spaziosità improvvisa.
C’è un’altra cosa. Quando proverete un’esperienza di libertà o liberazione, vi accorgerete con certezza di trovarvi in quel tipo di esperienza. Uno dei ‘sintomi’ della liberazione è proprio l’accorgersi con chiarezza che si è liberi. Non vi è possibilità di sbaglio. Se vi è dubbio, non si è liberi. Incontrerete scetticismo su ciò. Ma solo voi saprete di essere stati liberi. La liberazione è chiara, quando c’è. Può essere temporanea (fenomeno già noto al tempo del Buddha, ad es. nel caso di Godhika) o permanente (un Arhat, un Buddha) ma essere liberato è un fenomeno o stato mentale possibile e comprensibile. Il Buddha ne parla come di “conoscenza [conoscenza!] della liberazione dagli inquinanti” .
E’ importante che sperimentiate la liberazione, anche temporanea. Il modo di raggiungerla è sicuramente variabile: per andare a Roma non c’è una sola via. Inoltre questo sentiero è già stato percorso, da migliaia e migliaia di esseri. Vi sono molte indicazioni su come divenire liberi. Ma ne riparleremo.
“Libero dal peccato e sicuro da ogni turbamento”
(Da qualche passo nella messa cristiana)
“Essendo stato detto così, l’Ajivika prese la parola: ‘ E’ davvero possibile, vostra Reverenza?’ Dopo aver scosso la testa, prese un’altra strada e se ne andò”
(Vinaya I, 8, 30-32)
Il primo di questi due passi viene, come detto, dalla messa cristiana e a mio parere rende bene quello che è il senso della Liberazione. Basta sostituire ‘peccato’, che non esiste nella nostra concezione, con ‘inquinanti mentali’ : “Libero dagli inquinanti mentali e sicuro da ogni turbamento” e questa è la miglior sintesi, a mio parere, di quella che è la Liberazione o, per meglio dire, l’essere liberi (evitando le maiuscole e i sostantivi ed usando il dinamismo dei verbi) .
Il secondo passo viene dal Vinaya buddhista e accenna all’incontro che il Buddha, appena risvegliato e liberato, ebbe con un Asceta errante (Ajivika) di nome Upaka che dopo aver ascoltato le parole di Gotama annuncianti la sua liberazione, scosse il capo ironicamente e se ne andò.
Questi due passi così diversi come origine, accennano a due fatti importanti. Uno è il contenuto della Liberazione o dell’essere liberi e l’altro alla verifica di questo fatto, verifica che è solo personale.
Ci sono vari nomi con cui si descrive il risultato della pratica meditativa: Illuminazione, Risveglio, Liberazione….Voglio esaminarli per portare alla luce le loro diverse sfumature.
Illuminazione e risveglio sono pressoché sinonimi. Entrambi alludono ad un’esperienza (in genere improvvisa) in cui una persona ‘si risveglia’ , ha un’illuminazione. Il termine illuminazione allude anche al fatto che in questa esperienza il mondo appare più vivo, brillante, nitido, ma il senso vero di illuminazione o risveglio è quello di risvegliarsi dal sonno ottuso della coscienza, di risvegliarsi a quello che realmente è il mondo, la vita. La mente è abitualmente spersa e frammentata in questo mondo dualistico, è confusa dalla dualità, è spinta continuamente a prendere posizione fra il ‘bene’ e il ‘male’ ,fra il bello e il brutto, fra il buono e cattivo e così via. Questo dualismo è la base del conflitto, la base degli schieramenti (politici, religiosi) , la base della sofferenza umana. La mente duale crea un mondo di costruzioni mentali, una sua realtà a cui tutti partecipiamo e che ha una sua validità relativa. Si tratta di una copertura di illusione che però, poiché tutti vi partecipiamo, ha il sapore della verità. Dal punto di vista del relativo è davvero una verità. Solo i mistici sono (talvolta) riusciti ad andare oltre questo velo e, guarda caso, sono stati allora attaccati dalla tradizione religiosa ufficiale, almeno qui in Occidente.
Il risveglio o illuminazione è, come dicevo, normalmente un fatto improvviso, piacevolmente traumatico. La Liberazione è qualcosa di simile ma anche diverso ed è legato in qualche maniera all’intenzione. Per avere un’idea della Liberazione occorre di nuovo fare riferimento allo stato opposto, quello della mente confusa e agitata di tutti i giorni. La mente quotidiana è una mente annebbiata e spersa fra una congerie di fatti, posizioni, punti di vista e creazioni concettuali. Guidiamo ad esempio la macchina e siamo confusi fra il guidare, l’ascoltare musica e la serie di pensieri e preoccupazioni della vita quotidiana, Il termine mente addormentata può sembrare troppo forte per indicare questo stato; forse un termine più accettabile è ‘stordimento’ , quasi una sorta di ubriachezza che ci permette di essere attivi ma senza una vera lucidità. Credo che se riflettiamo un attimo, tutti potremo riconoscerci in questo stato. E’ uno stato di quasi-felice malattia mentale.
Occorre prima di tutto riconoscere che anche la liberazione è un fatto mentale. L’obiezione più comune che viene fatta quando si parla di un episodio di liberazione è: ‘Sarà un fatto della tua mente?’ Come se vi fosse qualcosa che non sia, per noi, un fatto della mente. Certo che è un fatto della mente. E’ un fatto, un’esperienza in cui la mente scopre di essere entrata in una realtà diversa da quella ordinaria. La sensazione è quella, direi, di un’altra dimensione (ma il termine è così inflazionato dalla fantascienza da dover essere usato con precauzione) . Ma qual è il senso di differente dall’ordinario che ne fa percepire la diversità?
‘Libero dagli inquinanti e sicuro da ogni turbamento’, questo è ciò che viene percepito in questo stato. Viviamo con la mente inquinata e viviamo nella paura. Questo, il nostro quotidiano, è un mondo di continuo, martellante, inquinamento mentale e di paura. Paura economica, paura sociale, paura personale. Terrore, timore, ansia. A volte nascosti, sotterranei, a volte evidenti. Bene, nella mente liberata, tutto questo cessa. E ce ne accorgiamo, vi è certezza di questo. La mente è libera, non vi sono né inquinanti né paura. Essendo libera, si trova in una dimensione del tutto diversa da quella abituale. E’ una dimensione in cui nessuna paura ci può prendere. E non lo può perché non vi è alcuna concezione dell’io e del mio. E non vi sono inquinanti né paura dove non vi sono né io né mio. Certo, lo so per certo che anche questa stessa concezione, può creare paura: né io né mio. Ma può creare paura qui ed ora, nella nostra dimensione ordinaria, proprio perché afferriamo e ci attacchiamo. Possiamo allora avere un’esperienza negativa, di terrore. Terrore della perdita di senso dei nostri giocattoli. Anche un’esperienza del genere (io l’ho provata una volta) può essere significativa. Si tratta del rovescio della liberazione: vi sono cioè tutte le condizioni per essere liberi ma vi è la paura di essere liberi, paura dovuta all’attaccamento ai propri giocattoli. Questa esperienza di liberazione a rovescio è un ottimo esempio di visione profonda, se riuscite ad andare oltre lo sgomento. E’ una visione di ‘quel che c’è davvero’ in quel preciso momento.
Diventate consapevoli che avreste potuto gioire della libertà in cui vi siete trovati (libertà dagli attaccamenti e dalle concezioni mentali che danno significato a quegli attaccamenti (questo è in sostanza il senso di ‘mancanza di senso’) e invece siete rimasti terrorizzati da questa libertà e spaziosità improvvisa.
C’è un’altra cosa. Quando proverete un’esperienza di libertà o liberazione, vi accorgerete con certezza di trovarvi in quel tipo di esperienza. Uno dei ‘sintomi’ della liberazione è proprio l’accorgersi con chiarezza che si è liberi. Non vi è possibilità di sbaglio. Se vi è dubbio, non si è liberi. Incontrerete scetticismo su ciò. Ma solo voi saprete di essere stati liberi. La liberazione è chiara, quando c’è. Può essere temporanea (fenomeno già noto al tempo del Buddha, ad es. nel caso di Godhika) o permanente (un Arhat, un Buddha) ma essere liberato è un fenomeno o stato mentale possibile e comprensibile. Il Buddha ne parla come di “conoscenza [conoscenza!] della liberazione dagli inquinanti” .
E’ importante che sperimentiate la liberazione, anche temporanea. Il modo di raggiungerla è sicuramente variabile: per andare a Roma non c’è una sola via. Inoltre questo sentiero è già stato percorso, da migliaia e migliaia di esseri. Vi sono molte indicazioni su come divenire liberi. Ma ne riparleremo.
Note da un ritiro solitario
So bene che ci sono persone più avanzate di me che potranno sorridere di questa mia “impresa”. Ma ognuno ha il proprio cammino e questo è quello della mia esperienza.
E’ mia consuetudine fare almeno due ritiri all’anno, uno all’inizio dell’anno e l’altro verso giugno, luglio. Abitualmente facevo il ritiro di inizio anno con Corrado Pensa poi però, per qualche motivo, non sono più stati fatti e così ho dovuto organizzarmi diversamente. Infatti non posso fare molti altri ritiri durante l’inverno, dovuto a motivi di lavoro. Perciò già l’anno scorso ci organizzammo e facemmo in tre il ritiro di Capodanno (e poi uno estivo), io, Danilo e Silvia.
Quest’anno, lanciata l’idea , non ho comunque pubblicizzato più di tanto la cosa, con il presupposto implicito che non avrei rifiutato chi veniva ma non avrei nemmeno cercato che qualcuno venisse. Perciò durante il ritiro sono venute delle persone (questi non sono ritiri chiusi ma aperti) come Danilo per una giornata, Doretta per ben tre pomeriggi e qualcun altro per due mattine ma, sostanzialmente, mi sono ritrovato da solo.
Devo dire che questo mi è stato di soddisfazione. La mia casa è isolata e silenziosa ed ho potuto gustare il piacere del silenzio. Inoltre ho praticato moltissimo il sorriso interiore e bilanciato fra loro due tipi diversi di meditazione, quello dell’osservazione degli afferramenti (cioè del sorgere, soprattutto del sorgere dei concetti) e quello della visione e accettazione delle cose come sono.
Prima di tutto devo osservare che questo ritiro mi è volato e che mi è stato quasi sempre pervaso dalla gioia. Trovarsi solo può essere fonte di disperazione e irrequietezza oppure può essere fonte di calma interiore e di gioia. Intendiamoci, si sentono spesso le persone parlare del silenzio, del loro desiderio di silenzio, della propria voglia di stare un po’ in silenzio… ma quanti lo fanno realmente, quanti ne godono realmente? E’ inutile avere il silenzio intorno se non si ha il silenzio dentro. Io credo che solo una metodologia dell’attenzione possa fare gustare effettivamente il silenzio. Una metodologia dell’attenzione ma anche della gioia. Samatha (quiete, calma) e vipassanaa (visione profonda) secondo le tre metodologie suddette del sorriso, della visione e accettazione e della non-intenzione o senza-scopo.
Anche quest’ultima indicazione, non-intenzione o senza-scopo, così intrinsecamente contraddittoria è difficile da praticare. Come si fa a praticare una non-pratica? Ma se vi è l’intenzione all’inizio, tutto deve essere lasciato andare poi, anche questa intenzione. La realtà è dualistica e contraddittoria e solo la realizzazione permette la riunificazione degli opposti. Una delle cose che ci hanno sempre fatto sorridere nella nostra pratica è proprio la presenza di molti paradossi. Ci sono ed è anche divertente notarli.
Un’altra nota che va fatta è sulla meditazione camminata. Come si sa questa è forse la pratica più difficile ma è importantissima. In questi giorni ho portato la mia attenzione, mentre la facevo, soprattutto al momento in cui scattava un afferramento (di un concetto, di un’idea, di una situazione) . E’ stato divertente vedere come la mente, dall’assenza di pensiero passava improvvisamente ad afferrare anche il più insignificante dei pensieri.
Questo mi porta ad un’altra nota. Molti credono che meditare sia riflettere su qualcosa. Meditare, per lo meno nella consapevolezza e visione profonda, non è riflettere, entrare nei concetti, ma semplicemente osservare la funzione del riflettere, vedere il movimento e basta. Non bisogna stancarsi di dirlo. La funzione della riflessione è caso mai quella della ricapitolazione delle esperienze.
Un’altra nota (vado a ruota libera) . Viene qualcuno e mi parla in termini religiosi. Chissà (riferito a non ricordo cosa) che questo non faccia parte di un disegno d’amore….ecc.
Appunto. Chi lo sa? Perché farsi dei concetti? Una mente libera (anche momentaneamente) dai concetti e comunque consapevole quando sorgono concettualizzazioni, non sarà più limpida di quella dove anche un sottile velo concettuale aleggia nell’aria? Oppure: a tutti noi capita, credo, di favoleggiare su energie occulte che possono guidare la nostra vita (facevo notare come l’astrologia abbia soppiantato la religione nella fiducia delle persone… la prima domanda (ridicola) che viene fatta anche e soprattutto in televisione è: “ Di che segno sei?”) . Mi è stato letto il mio oroscopo in questi giorni. Non ricordo riguardo a quale argomento mi diceva: vi andrà tutto bene… e poco dopo mi diceva, con altre parole, che sarebbe potuto andarmi tutto male!!! Mentre energie misteriose potranno anche esistere (nel senso di non percepibili dai nostri sensi, ad es. le onde elettromagnetiche) non è più semplice cercare nella causalità e nella condizionalità ciò che muove le nostre vite?
Tempo fa una mia coetanea e compagna d’infanzia venne a cercarmi. Era affascinata dal Karma, voleva sapere del karma. Quando le spiegai che il Karma era la causalità (e cercai di non essere brutale) perse come interesse e se ne andò certamente un po’ delusa…
La gente cerca il misterioso.
Se ne parlava con Doretta. Le persone vengono a meditazione entusiaste… e non tornano. Perché? Perché non trovano accenno del fascino e del mistero che pensavano di trovare. Doretta invece diceva: “ Mi piace questa meditazione perché è scarna” (infatti non facciamo riti, non bruciamo incenso, non crediamo in niente di particolare…niente di niente) . E continuava: “ Dovessi dire ora perché la faccio, non saprei nemmeno” . Ed è vero. Neanch’io so di preciso perché la faccio.
Altro punto. La gioia. Durante questo ritiro ho sperimentato spesso la gioia, piti , un tipo di gioia che ti scuote e ti fa tremare. E naturalmente ho sperimentato passaddhi, la calma. Comunque quando provo queste cose come la gioia, lascio andare. Stranamente risorge più forte.
Altro punto. Ancora sulle concettualizzazioni e gli afferramenti. Dobbiamo essere come i cacciatori in agguato. Il cacciatore in agguato non sta lì teso e ingrugnito. Sta attento ma rilassato (almeno credo). Così dobbiamo stare noi nei confronti della nostra coscienza. Appena afferra un pensiero dobbiamo inquadrarlo nel mirino della nostra attenzione. Il pensiero, l’afferramento concettuale, svanisce.
Riguardo all’ingrugnimento, durante i ritiri a cui ho partecipato, ho visto tante facce serie, ingrugnite. E la gioia? Si può praticare ed essere gioiosi senza per questo sprecare l’attenzione. Ma abbiamo troppi stereotipi per la testa.
Trovo per esempio che un’ottima meditazione è guardare il telegiornale. Lo faccio, durante i “miei” ritiri. So che questo scandalizzerà i “meditanti seri”. Pure non c’è meditazione migliore, riguardo agli afferramenti della nostra mente. Possiamo lì vedere come la nostra mente reagisce alle notizie, le antipatie e simpatie, i punti di vista che emergono… E’ un ottimo allenamento per il vedere e il lasciare andare.
Ci sono tanti pre-concetti sulla meditazione.
Un’altra cosa è lo stare senza scopo. Qui ho visto all’opera alcuni preconcetti (miei). Stavo lì senza scopo, senza particolare attenzione a nulla ma attento… e per un attimo mi sono sentito in colpa. Mi colpevolizzavo come se fossi disattento, semplicemente perché ero proprio rilassato e senza alcun scopo di osservazione. Pure ero attento. Ho capito che avevo fatto una concettualizzazione e ho ripreso l’attenzione rilassata. Lo stesso in un periodo di sonnolenza. Stavo lì e osservavo, sornione, la sonnolenza. OK.
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CHIUNQUE E’ BENVENUTO
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