Si può guardare il mondo da un’altra dimensione?
Si può e quello che vediamo è la visione nirvanica del mondo. Lo si può percorrere leggeri e sorridenti, con la mente attenta ma per niente rigida, osservare la propria mancanza di macchie (cavaliere senza macchia e senza paura), pieni di sorriso e benevolenza per tutti. Insomma, stare nel mondo ma non essere del mondo: essere pienamente nel mondo.
Questo è come ero ieri mattina, dopo la seduta di meditazione: osservavo QUELLO CHE NON C’ERA NELLA MENTE e appunto non c’erano né senso del sé, ne desiderio né avversione. C’erano invece un senso di leggerezza, di gioia e di gentilezza. Ho parlato e scherzato con gli amici, ho fatto un regalo a un amico, ho comprato un libro da un senegalese, ho dato qualche soldo qua e là. Torno a casa ancora in questa dimensione. Poi l’incidente.
Succede una cosa che coinvolge un’altra persona, una donna anziana, anche se non l’ho provocata io. Benché non vi abbia colpa immediata, questo avviene a causa di condizioni precedentemente messe in atto da me. Perciò mi sento responsabile, accompagno la persona all’ospedale, me ne prendo cura e seguo le trafile con calma e pazienza. Mentre questo accade mi osservo. Pur mantenendo la calma (e con questo aiuto anche la donna anziana che all’inizio era quasi isterica) mi rendo conto che una piccola parte della mia mente è turbata. Cerco di richiamare lo stato precedente all’incidente ma vi riesco solo in maniera meccanica. In seguito rifletto.
Mi rendo conto, allora, dell’errore. Ho ‘cosizzato’ (in termini colti ‘reificato’ o, in termini nagarjuniani, oggettivizzato) lo stato precedente, gli ho affidato una durevolezza che non ha. Se tutti i dharma (fenomeni mentali e fisici) sono privi di un sé stabile, anche lo stato nirvanico è privo di un sé stabile. Volerlo cosizzare, trasformarlo in una delle tante cose che riteniamo illusoriamente stabili, un errore fatto anche da molti buddhisti già nell’antichità, significa costruirlo come fantoccio, farlo diventare qualcosa che realmente non c’è ma che vorremmo tanto che esistesse in continuazione.
Ma non c’è niente di stabile in questo universo, l’unica cosa stabile è IL CONTINUO MUTARE, IL CAMBIAMENTO. Non capirlo e non accettarlo è opporre resistenza alle cose come sono, è introdurre la sofferenza. Attiro l’attenzione su questa cosa. Se c’è qualcosa che ha una massima affinità con il Nirvana, questa è il cambiamento. Non c’è niente che abbia il massimo di vacuità, di assenza di sostanza stabile, di un sé, come il cambiamento. ACCETTARE, ACCETTARE, ACCETTARE – il cambiamento. Questo è il nirvana (con la minuscola, altrimenti lo oggettivizzo). Evitare di creare ‘cose’. Scrivo questo anche pensando a chi si trova nella sofferenza: è, per esempio, una mia idea che la depressione venga proprio a chi ha’costruito’ (nella realtà o anche semplicemente nella propria mente) troppe ‘cose’, ha cosizzato situazioni, ha creato oggetti mentali inesistenti. Quando questi crollano, si ha anche il collasso della speranza (leggi: desiderio) , si ha il collasso della mente.
Ma non c’è niente di stabile in questo universo, l’unica cosa stabile è IL CONTINUO MUTARE, IL CAMBIAMENTO. Non capirlo e non accettarlo è opporre resistenza alle cose come sono, è introdurre la sofferenza. Attiro l’attenzione su questa cosa. Se c’è qualcosa che ha una massima affinità con il Nirvana, questa è il cambiamento. Non c’è niente che abbia il massimo di vacuità, di assenza di sostanza stabile, di un sé, come il cambiamento. ACCETTARE, ACCETTARE, ACCETTARE – il cambiamento. Questo è il nirvana (con la minuscola, altrimenti lo oggettivizzo). Evitare di creare ‘cose’. Scrivo questo anche pensando a chi si trova nella sofferenza: è, per esempio, una mia idea che la depressione venga proprio a chi ha’costruito’ (nella realtà o anche semplicemente nella propria mente) troppe ‘cose’, ha cosizzato situazioni, ha creato oggetti mentali inesistenti. Quando questi crollano, si ha anche il collasso della speranza (leggi: desiderio) , si ha il collasso della mente.
Io dico spesso, seguendo un detto del famoso maestro Zen Dogen che ‘sedere in meditazione è [essere] il Buddha’. Questo discorso, apparentemente estremo e illusorio, è mitigato dall’avverbio ‘momentaneamente’. In effetti, durante la pratica meditativa, si può raggiungere quella ‘pacificazione con il mondo’ a cui alludono ad es. le parole di Nagarjuna in MMK 25 (Mulamadhyamikakarika 25 ). Qui, in effetti non si parla di ‘pacificazione con il mondo’ ma della ‘pacificazione di ogni oggettivizzazione e di ogni illusione’. PACIFICAZIONE DI OGNI OGGETTIVIZZAZIONE E DI OGNI ILLUSIONE! Quello che dicevo sopra.
In poche righe abbiamo già messo nel piatto un mucchio di problemi cruciali per il meditatore. Che significa essere un Buddha? Sostanzialmente significa essese privi delle corruzioni o intossicazioni di desiderio, avversione e ignoranza. Quest’ultimo termine, ignoranza, si riferisce alla non-conoscenza: la non conoscenza di come le cose o meglio i fenomeni sorgono, di come essi sorgano in dipendenza da altri fenomeni e di come desiderio e avversione siano la molla che mette in movimento il tutto. Sostanzialmente si tratta dell’ignoranza del fatto che viviamo in un mondo di continua trasformazione dove tutti i fenomeni sono privi di un sé costante e assoluto, immutabile (l’anima cristiana) ma dove la stessa coscienza / anima sorge dipendendo da cause e condizioni. Questo è quello che chiamiamo vacuità, assenza di un vero sé . Ma torniamo a noi.
Noi siamo esseri condizionati. Siamo condizionati a credere in un sé e nello stesso tempo siamo condizionati a vedere le deficienze e le mancanze, nella vita quotidiana, di questo nostro ‘sé’. Questo lo vediamo quando una persona dice: ‘io non sono capace di fare meditazione’ . Sostanzialmente siamo condizionati a pensare di non avere le capacità di auto-salvazione. Dobbiamno affidarci a qualcun altro, e qui viene in campo la religione, le religioni che ci dicono di affidarci a Dio. Non importa se poi questa idea di un Dio a cui affidarci, che dunque ci vuole bene come un padre, non sia corroborata da niente nella vita, non importa che sottoponendo a un semplice sguardo razionale il castello religioso, questo crolli miseramente come un castello di carte,’Io ho fede’ e qui il discorso è finito.
Il Buddha rifiutò l’aspetto teistico come illusorio e raggiunse l’autosalvazione, la Liberazione, la libertà, da solo. Possiamo noi essere dei Buddha? Lui disse di sì, a patto che perdiamo l’illusione del sé, insomma l’egoismo, l’egocentrismo.
Pur non credendo nel sé, dobbiamo aver fiducia in noi stessi, superando i condizionamenti negativi. Questo però è un discorso che non posso trattare qui. Ad ogni modo nella pratica meditativa seduta possiamo raggiungere momenti di accettazione e pacifcazione con il mondo e riportare poi la mente così pacificata nella vita quotidiana.Purché non cosizziamo questi momenti!