"Prendo rifugio nella vacuità di tutti i fenomeni e di tutti i concetti ..."
Una mia amica mi ha detto che il mio Buddhismo è molto radicale e questo probabilmente è vero. Altre persone che praticano meditazione mi dicono che la nostra pratica è davvero molto scarna e quasi senza scopo: da cui pochi restano, molti se ne vanno. Ma come sono giunto a questa pratica?
Tutti partiamo con scopi, è nella natura umana farlo. E' l'abbandonarli che resta difficile. Non avevo una grande considerazione per Nagarjuna inizialmente, ritenevo che bisogna andare ai Sutra / testi più antichi per avere una pratica corretta. Fu la lettura del Sutta Nipata, sotto l'influsso di un articolo della rivista Philosophy East and West [PEW ] (Louis Gomez, ‘Protomadhyamika in Early Buddhism', PEW 26, 2, April 1976, 137-165 - si trova anche su Internet) a farmi cercare il Sutta Nipata (Sn) che avevo già letto ma con poco interesse (esiste anche in una traduzione italiana). L'articolo di Gomez richiamava l'attenzione sulle due ultime sezioni del Sn, Atthakavagga e Parayanavagga, in particolare la sezione delle Ottadi, Atthakavagga.
Secondo Gomez in queste due sezioni troviamo brani che ‘colpiscono il lettore come alcune delle affermazioni più esplicite e rappresentative di una tendenza estremamente apofatica [cioè volta al silenzio] trovata altrove nella letteratura buddhista. Questa tendenza - o è una tradizione contemplativa di qualche tipo? - compare di nuovo più tardi nella letteratura della Perfezione della Saggezza e, in maniera ancor più evidente, nel Prasangika Madhyamika e nelle varie linee del Chan [Zen]'.
Queste parole mi colpirono e mi spinsero a una ricerca che mi ha portato a travalicare il confine della tradizione Theravada a cui facevo riferimento e ad allargare i miei orizzonti fino ad includere il Madhyamika o Via di Mezzo di Nagarjuna e, almeno in parte, anche il Chan / Zen (anche se quest'ultimo appare influenzato più dalla corrente idealista del Buddismo, quella del ‘Solo Mente' e meno dal Madhyamika; non solo: in alcuni testi sembra rendere sostanziale la Mente). La tendenza apofatica del Buddismo mette in evidenza la critica a ‘tutti i punti di vista' per portare al silenzio la mente. Ebbene, nell'Atthakavagga del Sutta Nipata noi troviamo molti passaggi che parlano di questo, senza nemmeno parlare di un ‘retto punto di vista' come invece appare nel [più tardo] Ottuplice Sentiero. Questo e molti altri dati fanno pensare che il Canone buddista più antico, quello Theravada, sia tuttavia un'opera redazionale relativamente tarda. Dell'Atthakavagga e del Parayana abbiamo invece evidenza di come essi fossero recitati già durante la vita del Buddha stesso ed essi appaiono quindi come i pochi testi che ci possono rivelare davvero il contenuto del Buddhismo primitivo. Personalmente vi ho sempre trovato grande ispirazione e a distanza di tempo li ho letti e riletti.
Mentre era mia intenzione cominciare la presentazione di alcuni di questi testi, mi rendo conto che dovrò rimandarla ad un prossimo numero della News, per mancanza di spazio. Qui, riprendendo dall'articolo di Gomez, metterò invece l'accento su alcuni dati. Così, dice Gomez (pag. 140):
Al contrario dell'abituale insistenza sul'retto punto di vista', l'Atthakavagga parla di abbandonare i punti di vista. Non si può evitare la sensazione che l'ingiunzione dei Nikaya [i Sutra] ad abbandonare la bramosia per la verità, per i punti di vista , per la moralità e per i voti sia presa sul serio solo nell'Atthaka. Gli uomini di saggezza sono descritti più e più volte come coloro che non trovano sostegno o preferenza in niente.
Essi non si fanno fantasie, essi non hanno preferenze, e nemmeno un singolo dharma essi adottano. Nessun vero brahmana può essere guidato dai voti di moralità; egli che è così, andato al di là, non si basa su niente (Sutta Nipata, verso 803).
Già in questo breve passaggio si notano alcuni concetti forti. Alcuni concetti soteriologici, cioè di guida alla liberazione: ‘Essi non si fanno fantasie, essi non hanno preferenze, e nemmeno un singolo dharma essi adottano'.
Cioè, detto con una terminologia diversa: ESSI SI SBARAZZANO DEL MONDO CONCETTUALE. ‘egli che è così, andato al di là, non si basa su niente'.
Apparentemente ancor più sconcertante è: ‘Nessun vero brahmana può essere guidato dai voti di moralità'. Non è con questo che il Buddha rigettasse la moralità: nessuna pratica liberatoria lo può fare. Esso però rigettava la moralità come unica base della liberazione. Anche l'attaccamento alla moralità può rivelarsi un ostacolo se esso, come in qualche caso, diventa una fissazione. Lo stesso vale per le liturgie e i rituali: non a caso il B. disse che di rituali erano il terzo ostacolo di cui sbarazzarsi sulla via alla libertà. Questo illumina, probabilmente, alcune delle affermazioni che faccio usualmente nei miei testi.
E così, dice Gomez, ‘le istruzioni al seguace del sentiero non potevano essere meno esplicite':
Rinunciate a tutti i voti e le moralità e a tutti gli atti, sia biasimevoli che non biasimevoli, gettate via [ogni idea di] purezza o impurità, siate spassionati e non afferrate [nemmeno] la pace (Sutta Nipata, verso 900).
Cioè, ancora una volta: abbandonate ogni concettualizzazione di ciò che praticate. Praticate per praticare.