Lo scopo attuale della mia pratica meditativa è il superamento della dualità, la consapevolezza di vivere in una spazialità che non ha distinzione fra l'io e il mio da una parte e ‘l'altro' dall'altra (bisticcio di parole) . Quando si conquista questa spazialità ( o spaziosità o spazio, uno dei più antichi oggetti di meditazione) si intuisce che ogni elemento che vi si trova è sullo stesso piano, che non vi è qualcosa di più o di meno importante ma tutto concorre alla formazione del qui e ora, delle cose come stanno. Per parlare francamente e con un linguaggio illuminato, che trascende e nello stesso tempo coincide con la realtà come la viviamo, tutto vi è ugualmente importante e niente vi è importante in assoluto. Così ogni essere, ogni fenomeno, ogni cosa con cui in qualche maniera siamo in relazione, concorre in maniere più vicine o più lontane ma tutte egualmente importanti al ‘come siamo' o meglio alla totalità di cui facciamo parte e al ‘così com'è'. Questa consapevolezza parte da una base materiale, non astratta. Esistono dei corridoi sensoriali che mettono in relazione i nostri sensi con i fenomeni nello spazio. Se questi fenomeni con cui i sensi entrano in contatto - e che noi classifichiamo erroneamente come persone, cose, il mondo- non esistessero, decadrebbero immediatamente anche gli organi sensoriali preposti a percepirli. Per dirla chiaramente, occhi, orecchi, contatto, papille gustative, recettori olfattivi ecc. semplicemente scomparirebbero. Questa è una cosa che nessuna religione ci dice, escluso il Buddhismo (e la scienza) . Ci parlano di anima ma che sarebbe l'anima se non esistessero i fenomeni cosìddetti esterni, gli organi sensoriali e la relazione che si crea tra loro? Niente oggetti percepibili, niente organi di senso; di conseguenza niente coscienza o anima. Scopriamo così che la cosìddetta supremazia dell'uomo nell'universo va a farsi benedire. Siamo in realtà così dipendenti da altre cose che in loro assenza semplicemente non esisteremmo, non esisterebbe la nostra coscienza, non esisterebbe la nostra anima. La relazione è valida anche in senso inverso. Senza organi sensoriali capaci di percepire altri oggetti e senza la relazione con questi, la loro esistenza semplicemente non avrebbe senso. Sarebbe nulla, nihil .
Dunque nella spaziosoità di cui facciamo parte tutto è importante. O meglio le relazioni che abbiamo sono importanti, come fondamenta del reale che viviamo. E' questo che non aveva capito il ragazzo del film ‘Into the Wild' . Vivendo in un mondo di concetti astratti (ideali, l'ideale del vivere in isolamento, l'ideale della vita naturale ecc.) , solo in fondo si è reso conto che solo nella relazione poteva trovarsi la vera felicità; e se ne è accorto dopoché, anche suo malgrado, era entrato nel mare di relazioni della vita. Peccato se ne sia accorto quando il suo karma, diciamo così, lo aveva ridotto alla disperazione.
Anche altri esseri non umani fanno parte delle relazioni che viviamo. Fra questi vi sono gli animali. La mia gatta Prilla per esempio. Prilla vive in simbiosi o quasi con me. E' molto ‘umana', prova gelosie, rabbie e gioie come noi umani. Quando io da solo o noi (il sabato) siamo in meditazione, Prilla si presenta e va a cercare Doretta o Silvia. Percepisce probabilmente la calma, la quiete, di queste persone in meditazione e trova che sia piacevole dormire fra le loro braccia. Lo stesso fa con me quando sono da solo (quando siamo in diversi preferisce Doretta o Silvia) . Comunque trovo che gli animali sono l'ideale per fare sorgere la gioia. La gioia è uno dei fattori dell'illuminazione. Coltivarla è necessario. La presenza di esseri piacevoli non umani è l'ideale per la coltivazione della gioia (piti ) .Con gli esseri umani le relazioni sono più complicate, avendo per lo più a che fare con la sensualità, il profitto, il potere ecc.. Con gli animali domestici, essendovi relazioni più semplici, è più facile il sorgere di una gioia pura, disinteressata. Perciò lungi dall'essere una distrazione, consiglio a tutti la presenza di un animale nella pratica meditativa.
Ricordo ancora una volta, tanti anni fa, sulle mura. A quel tempo meditavamo per un'ora ogni domenica mattina, sulle mura di Lucca. Un giorno arrivò un cane abbaiando. Noi restammo tranquilli. Il cane si avvicinò incuriosito e avendoci visti tranquilli, si strusciò a me e si accovacciò. Bene, questo fece sorgere in me la gioia, e sorgendo la gioia entrai nel primo Jhana o Dhyana, uno stato di assorbimento meditativo. Un effetto simile mi fa Prilla. Viene e mi abbraccia, nel senso che si alza sulle zampe posteriori e artiglia il mio maglione al petto; è poi attratta dalla cavità semichiusa della mia ascella e cerca letteralmente di scavarvi la sua tana. A volte vi penetra , credendo di trovare chissà quale tana o profondità misteriosa... per poi ritrovarsi dall'altra parte. Questo fa sorgere il sorriso in me, fa sorgere la gioia. E poiché è una gioia non sensuale è ottimo espanderla e prenderla come base meditativa.
Questo fa capire come la meditazione non sia un ritirarsi da mondo (creando un dualismo) ma un apprezzare le relazioni e accettare tutto quello che c'è come base costituente della nostra realtà. L'accettazione di tutto quello che c'è così come si presenta è la base del superamento del dualismo. La pratica della gioia viene di conseguenza.
mercoledì 19 marzo 2008
La mia gatta e la meditazione
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