E' in arrivo nelle sale il film di Sean Penn ‘Into the Wild' che narra la storia di un giovane, quasi un ragazzo, che abbandona tutto della sua tranquilla esistenza borghese per un vagabondaggio esistenziale estremo. Riporto una cosa che ho trovato: "Frustrando le aspettative familiari, non appena conseguita la laurea, il ventenne Chris rinuncia alle prospettive di una brillante carriera, dona tutti i suoi risparmi in beneficenza, distrugge le carte di credito e inizia un lungo viaggio che diventa una sorta di percorso di iniziazione verso la maturità..." . Egli si reca nell'ancora selvaggia Alaska scontrandosi con problemi estremi di sopravvivenza e di solitudine nella natura.
Ecco, come dicevo non ho ancora visto il film, quindi mi sono creato una mia immagine di esso e mi è venuto di confrontarlo a quella che è la nostra pratica meditativa, dove la mente sembra muoversi in una landa deserta, dove il silenzio è reale, dove c'è la ricerca di aumentare lo stato di povertà e di deprivazione della mente e non di arricchirla.
Una di queste sere sono stato a una riunione del nascente Partito Democratico (che c'entra questo? Lo vedremo) . La mia storia personale, le mie tendenze e una certa curiosità per questa formazione che, almeno parzialmente, sta nascendo dal basso (in contrapposizione, ad es. ad un certo ‘partito-azienda') , mi hanno spinto lì. Qualcuno mi ha anche proposto di candidarmi e ne sono stato tentato. Penso di avere delle idee, a mio parere interessanti, ‘diverse', e mi sono chiesto se non fosse il caso di condividerle con altri.
Vi ho riflettuto un po', vi ho anche meditato, però ho scelto di non farlo. Benché questo partito stia nascendo dal basso e benché mi sembri di condividerne le idee e il metodo di crescita, in sé davvero democratico, ritengo che la via della liberazione e quella della politica non siano, almeno per me, compatibili. Per lo meno in questa fase ritengo così. Quando, venti anni fa, inizia una mia ricerca spirituale e mi avvicinai alla meditazione, ebbi qualche divergenza con qualcuno che voleva usare i temi meditativi in chiave politica. A venti anni di distanza ho cambiato molte delle mie idee iniziali ma, almeno personalmente, vedo che fare politica attiva mi porterebbe più danni che benefìci. Non in senso materiale, ovviamente, ma mentale. Un'analisi che feci di me venti anni fa, agli inizi della pratica, mi portò a cogliere gli aspetti negativi, se così si può dire, della mia personalità: l'ambizione, il tentativo di usare gli altri a scopo politico, in generale l'egocentrismo e pensai anche a tutte le volte che ero stato male come conseguenza di questi miei difetti. Cominciai un lento processo di trasformazione, cercando di ‘vedermi' e non essendo cieco a quello che ero. Venti anni dopo non credo che questo processo sia arrivato a termine,no di certo, ma certamente un po' sono cambiato. Impegnarsi in politica implica, secondo me, alcune caratteristiche che non portano a calmare e pacificare le nostre predisposizioni mentali e a liberare la mente. Implica sviluppare, volenti o nolenti, l'ambizione personale, una certa dose di avversione, attaccamento alle proprie idee e ai propri risultati. E' evidente che tutto ciò ha un alto potere inquinante e, per conoscenza personale, so che sarebbe la fonte di future sofferenze. Certo si potrebbero trovare tante obiezioni validisse a questo ragionamento. Non ho nulla in contrario, in generale, all'impegno sociale e politico, anzi. Non apprezzo il qualunquismo, il ‘sono tutti uguali' , poiché non è così, molti politici sono persone degne. So soltanto che per quanto mi riguarda, e solo per quanto mi riguarda, una scelta del genere sarebbe nociva.
Mi si accuserà di esagerazione ma, sempre per quanto mi riguarda, mi sono davvero visto di fronte a una scelta fondamentale. O andare di qui o andare di là. Ed ecco la connessione con'Into the Wild'. Ho scelto di andare di qui, ho scelto la piacevole pratica dell'abbandono delle anbizioni , di vivere insomma nella landa relativamente desolata che è la mia mente (a volte) . Una landa in cui non solo non c'è nulla da conquistare ma in cui si gode giusto di questo nulla. Una landa in cui non solo non si ripropone la catena condizionante di ‘desiderio, afferramento, nascita' [di concetti o situazioni ] ma in cui la non realizzazione di obiettivi, di conseguimenti ecc. , insomma il ‘non riuscire' è visto come la massima pratica, il massimo conseguimento. Per non riproporre quello che tutte le politiche e le religioni (a parte il Buddhismo) ripropongono più o meno inconsciamente, senza consapevolezza (nel buddhismo questo è chiamato ‘ignoranza') : il pregare qualcuno o qualcosa per ottenere qualcosa, fosse anche solo l'asservimento a questo qualcuno, sia pure nell'idea di ‘conseguire' un'alta spiritualità' . Sempre di afferramento si tratta, sempre di fascinazione si tratta. La fascinazione è una delle chiavi di questo mondo, non a caso definito a suo tempo da Guy Debord la Società dello Spettacolo. Bisogna starne alla larga per non riproporre la catena del sorgere condizionato di cui parlavo sopra. Fascinazione, desiderio, afferramento, sorgere. La vera pratica religiosa è quando tutto questo non viene in essere.
E' strano questo. L'essere contenti di non ottenere nulla nella nostra pratica ‘spirituale' . E' abnorme, è contrario ad ogni aspirazione umana. In questo mondo siamo abituati a fare per ottenere. Anzi è così che SORGE IL MONDO. Eppure si deve guardare a questo con consapevolezza nella pratica, intenzionalmente, ED ESSERE CONTENTI DI QUESTA PRATICA POVERA. Questo è davvero ANDARE INTO THE WILD.
martedì 19 febbraio 2008
INTO THE WILD
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