Ci capita di renderci conto che la nostra vita si è estremamente complicata. Come se fosse accaduto da sé, tutt’a un tratto! Ce ne accorgiamo perché vediamo che la nostra mente è presa in un vortice di pensieri, e comincia a sorgere la sofferenza. Non si dorme più tranquillamente, i pensieri si rincorrono continuamente ed anche la nostra attitudine verso gli altri cambia. A volte questo è dovuto allo scatenarsi delle ambizioni: le ambizioni sono una proiezione centrifugata dell’ego, qualcosa che crea una super-immagine di se stessi e porta inevitabilmente allo scontro con gli altri. Ci accecano. Lo vediamo negli ambienti di lavoro dove l’ambizione crea conflitti continui. Le persone si trovano coinvolte in questi conflitti e la colpa è sempre dell’”altro”. Sfugge il rapporto che si crea con l’”altro”, sfugge soprattutto la consapevolezza del ruolo che la fortificazione del proprio ego ha nell’accendere o alimentare il conflitto.
Ci sarebbero tante cose da dire su questo ma mi interessa parlare del rapporto fra semplicità/semplificare e pratica meditativa. E’ questa anche una risposta ad alcune domande che ogni tanto vengono fuori nella pratica.
C’è una bella frase del maestro Zen Dogen che dice: “Le persone comuni sono quelle che si fanno illusioni sul satori (il Risveglio, l’Illuminazione), i Buddha sono quelli che illuminano le proprie illusioni”. L’ambizione verso i conseguimenti spirituali è qualcosa che va illuminata dalla nostra consapevolezza. E’ qualcosa che ad un certo punto comincia a porsi davvero come un ostacolo. In qualche maniera direi che abbiamo creato sostanza dove non c’ è nulla da sostanzializzare. Perlomeno a me è successo, ad un certo punto della mia pratica mi sono accorto di questo. Mentre il mondo è fatto di rapporti dinamici che cambiano in continuazione, mentre il centro di questi rapporti è il desiderio e l’afferramento, inconsciamente ci mettiamo in linea con questo nel voler “afferrare” risultati e creiamo perciò insoddisfazione. Non abbiamo conseguito “nulla”. Addirittura sembra di fare passi indietro. Che fare?
Naturalmente c’è anche la possibilità che davvero abbiamo fatto passi indietro, che la nostra pratica sia scaduta. Perciò dobbiamo avviare un’indagine su noi stessi, sulla nostra vita. E’ possibile che la nostra vita abbia avuto un cambiamento, cambiamento che a sua volta ha influito sulla pratica? E’ possibile e perciò un imperativo si pone, quello di renderla più semplice. Non si può coltivare una vita intensa, piena di cose mondane e pensare che la nostra consapevolezza non ne risenta. E’ un’illusione. Troppi impegni, troppi interessi, troppe complessità, troppe dipendenze. Ci accorgiamo che sorgono insoddisfazione e sofferenza. Com’è possibile non risentirne? Si sta peggio.
Non è nemmeno questione di essere meditatori o no. Occorre semplicemente avviare un processo di semplificazione se vogliamo stare meglio. E’ quello che fanno i monaci. Hanno semplificato la propria vita. Noi non siamo monaci ma senz’altro semplificare ci porterà a stare meglio! Facciamoci un piccolo elenco delle cose che possiamo lasciare andare (ce ne sarà qualcuna, no?). Staremo meglio subito, più leggeri. E se siamo meditatori ci accorgeremo che la nostra pratica migliora.
Tra l’altro c’è uno stretto nesso tra semplicità e liberazione, direi anzi che sono la stessa cosa.
C’è un’altra cosa da fare ed è quella di dare un’altra angolazione alla nostra pratica. E’ in linea con quanto detto sopra.
Può essere che, vittime di modelli culturali, siamo convinti di dover conseguire “qualcosa” e questo è in linea, dicevamo, con le forze del desiderare e dell’afferrare. E’ l’afferramento il punto di qualificazione di questo mondo. E’ chiaro perciò che nessuna tradizione che contempli forme di afferramento sia pur sottili, sia pur spirituali, ci porterà ad esser liberi. Forse dovremo metterci ad osservare le nostre illusioni.
Contemplare indica osservare. Una pratica è l’osservazione dei “segni” (nimitta ) che compaiono nella nostra mente e nel nostro corpo. Questi segni nascono fondamentalmente da desiderio e avversione. Nel corpo si presentano come tensioni fisiche (li percepiamo, in meditazione ma anche nella vita corrente, all’addome, allo stomaco, al viso). Questi segni sono spie preziose. Che ci sta dietro? Desiderio o avversione. Quando li classifichiamo sotto una di queste etichette e se ne è consapevoli, il corpo si calma e si rilassa, i segni scompaiono. Ci sono poi i segni mentali: anche nella mente che ha superato la discorsività essi appaiono. Ragionamenti inespressi verbalmente, tracce di ragionamento, immagini... sono i segni della mente. Quando si sia consci della loro causa (desiderio, avversione) essi scompaiono. Una delle vie alla liberazione è il “samadhi senza segni” (animitta samaadhi ). Impostare questa pratica è perciò essere sulla giusta via.
In maniera complementare bisogna lasciare andare ogni scopo. Questo corrisponde al samadhi senza direzione, senza desiderio. Lasciando andare i segni ci si rilassa e si lascia che le cose siano come sono. Sappiamo che tutte le cose avvengono per cause e condizioni. Perciò possiamo accettare tutto quello che c’è, inclusa la nostra personale situazione. Si accetta quello che c’è però rischiarandolo alla luce della consapevolezza e vedendo chiaramente cosa c’è.
La vita di tutti i giorni è la nostra illuminazione. Quanto più scivoliamo nella semplicità, tanto più siamo nella liberazione, nella libertà. Sembra paradossale, ma quando vedo , quando riesco a vedere la vita quotidiana, sento che “quella è la realtà”. Tanti anni fa in un ritiro di meditazione praticai a lungo e con grande intensità. Al settimo giorno di pratica intensa, caddi: caddi nella semplicità. Mi dissi: E’ tutto qui? Avevo praticato con grande intensità e grande sforzo per poi trovarmi semplicemente al punto di partenza. Ma c’era una qualità diversa. In ogni caso mi venne veramente da ridere. Che buffo: ero già dove volevo arrivare, fin dall’inizio. Risi dei miei sforzi. Ma sapevo anche che erano stati necessari.
A volte occorre semplicemente guardare. Affacciarsi alla finestra oppure fare una passeggiata o andare al cimitero. Lì dove vi sentite più semplici. Gustare il tepore della primavera, lo sbocciare dei fiori, la natura intorno. Per un attimo lasciare andare. Essere semplicemente.
Allo stesso modo, nella nostra pratica, raggiungere la semplicità del rilassamento .
Rilassamento più attenzione, una formula semplice in cui c’è solo l’esistere, senza scopo e senza direzione.
venerdì 19 gennaio 2007
Semplificare la vita
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